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lunedì 26 dicembre 2011

Mentre il giorno muore

Esco sul balcone e, mentre vedo che il giorno muore lontano, penso al grande giorno di festa che ormai se n'è andato.

Non desideravo nulla di speciale, se non di esser vicino anche a chi mi era lontano. Ma il mio augurio di bene e serenità si spegne senza raggiungere anche tanti che mi sono vicini. Può bastare chiedere perdono?

Abbiamo ascoltato la tua Parola, nella Notte Santa, circondati da uomini e donne di cui non conoscevamo il volto. Staremo alla Tua presenza, se ne saremo degni, sommersi da una moltitudine di visi stranieri ed avremo tutto il tempo dell'eternità per sorriderci e stringere legami di amicizia.

Chissà se cercheremo ancora un volto noto, un viso che ci è familiare o finiremo per confonderli tutti, man mano che i nostri ricordi sbiadiscono nella notte della vita.

domenica 11 dicembre 2011

Caro carburante

Egregio sig. greggio,

siamo in prossimità delle festività natalizie e, come a Gesù Bambino, m'è venuta voglia di scrivere anche a lei per manifestarle tutto il mio disappunto e rincrescimento per essere aumentato così tanto in quest'ultimo periodo.

Lo so, non è da me. Solitamente sono uno che apprezza notevolmente la crescita degli altri, ma questa volta devo dissentire e, se possibile, indignarmi anche un poco per questo suo grande balzo in avanti.

Dicono che c'è la crisi e che non si poteva fare diversamente. Delle due l'una: o non è vero e la gente continuerà ad acquistare mezzi sempre più dispendiosi e, come sempre, non perderà l'occasione di andare di qua e di là senza grandi pretesti, ma solo spinta dalla noia o dal dovere oppure comincerà a pensarci su bene e le verrà meno voglia di venire a fare il pieno da lei, se non costretta da necessità o altra causa di forza maggiore.

Penso anche che lei sia fortunato perché c'è tanta gente che non potrà subito fare a meno di lei. Ha troppo bisogno di spostare questo e quello, da qui a là e non sa farlo se non con un automezzo che brucia un sacco di carburante. Ci sono poi tanti altri che non hanno necessità di muovere nulla, ma semplicemente devono recarsi al lavoro che, per loro sventura, non hanno trovato certamente sotto casa. Vorrà dire che se proprio non riescono a fare car sharing oppure ad inforcare una bicicletta, qualora la distanza ed il meteo lo consentono, se ne faranno una ragione e rinunceranno ad una gita fuori porta nel fine settimana.

Che poi si sa, andare a zonzo fa venir voglia di spendere e di questi tempi non è di certo il caso. Meglio una passeggiata a piedi verso il vicino parco oppure lungo le vie del quartiere. Come l'ultima volta, quando abbiamo avuto l'occasione di notare un sacco di alloggi in vendita, facendo il giro largo di ritorno dal verde pubblico. Anche questa cosa non l'ho compresa bene e forse me la potrà spiegare lei. Come mai i prezzi delle case non calano o, almeno, non in maniera così significativa? Non sono un economista, ma mi sembrava di aver capito che doveva essere il mercato a regolare i costi delle cose: meno richiesta, maggiore accessibilità.

Caro carburante, forse non tutti i mali vengon per nuocere e lei saprà fornirci l'occasione di regolare meglio il modo di gestire il nostro vivere quotidiano.

sabato 3 dicembre 2011

Maria, Lui sa

Quando ho detto a mia moglie che il suo nome poteva essere scandito così come compare nel titolo, s'è un po' meravigliata per non averci mai pensato.

Domani sarà il suo compleanno e, vinto dalla pigrizia, mi presenterò a lei con le mani vuote e senza un dono particolare per sottolineare la circostanza. Nonostante la giornata uggiosa, oggi mi sento un po' euforico e quindi le ho già detto che, invece dei regali, proverò a dispensarle qualche sorriso in più. Non so voi, ma a me si riempie il cuore di gioia vedendo sorridere chi mi sta dinanzi. La mia massima aspirazione è riuscire a far sorridere sempre di gioia chi ha scelto di camminare al mio fianco.

Ieri sera in TV ho rivisto assieme a mia moglie il film "L'ultimo sogno", con Kevin Kline. Lei non l'aveva mai visto e quindi l'ho preferito ad altre trasmissioni. Non voglio raccontarvi la trama e così facendo guastarvi la possibilità di goderne a pieno la visione, casomai ve ne capitasse l'occasione. Però posso tranquillamente riportare una battuta che viene detta in una delle ultime scene del film. Il figlio domanda ad un certo punto al padre cosa la madre avesse fatto per farlo innamorare. Egli risponde in tutta semplicità che lei gli aveva sorriso.

Maria Luisa ed io, girandoci di scatto l'un verso l'altra, ci siamo profusi simultaneamente in una fragorosa risata di approvazione perché è stato così anche per noi.

Qualche volta lei si rammarica perché le sembra di non vedermi così felice come vorrebbe e si sente per questo un po' sconfitta. In quelle circostanze le dico che non deve dare troppo peso al mio aspetto esteriore che risente del mio vissuto recente ed anche di quello passato. Ma dentro mi sento contento di poter dare e ricevere in reciproco scambio.

Anche se l'ho già detto, mi piace riportarlo ancora. Quando rimasi vedovo, chiesi a Dio di farmi incontrare un'altra donna da amare così da dimostrare concretamente che, se Santina fosse vissuta più a lungo, ne sarei stato capace.

La mia preghiera non è rimasta inascoltata e ben presto le nostre vite han trovato modo d'intrecciarsi. Sì Maria, perché Lui sa.


Il Natale che vorrei

Quand'ero ragazzino, come tanti miei coetanei, amavo leggere i fumetti.

Un giorno mi sono imbattuto in un breve racconto ambientato nel deserto del Sahara. Due beduini, sotto il sole cocente, per passatempo decidono di giocarsi quanto hanno di più caro: un po' della loro acqua. Il primo dice all'altro: "Vuoi scommettere una goccia d'acqua che riesco a spostare quel grosso sasso laggiù?". Il secondo accetta, ma perde perché l'amico riesce nell'impresa. Intinge quindi il dito nella propria fiaschetta e lascia poi cadere una goccia d'acqua in quella dell'amico.

Il primo beduino rilancia e dice ancora: "Vuoi scommettere due gocce d'acqua che riesco a spostare anche quel masso ancora più grosso?". L'altro acconsente nuovamente. Seppure a gran fatica, il primo riesce a smuovere il masso come si era riproposto. Quindi nuovamente lo stesso rito per trasferire ora due gocce d'acqua dalla fiaschetta di uno in quella dell'altro.

Il secondo beduino, preso da brama di rivincita, si fa avanti con intraprendenza e dice al primo: "Scommetti tre gocce d'acqua che riesco a spostare quell'enorme macigno laggiù, ben più grosso dei due che hai spostato tu?". Il primo accetta ed ha così inizio la sfida. Il secondo beduino sembra non riuscire nell'impresa, ma alla fine, con grande sforzo, riesce a spostare il pietrone spingendo di schiena. Ora è a lui che, con l'intinzione del dito, devono essere versate nella fiaschetta di pelle tre gocce d'acqua.

I due riflettono un po' e poi convengono sconsolati di aver faticato tanto per nulla.

I movimenti di capitali in questi tempi di profonda crisi economica mi sembrano ricordare tanto le inutili fatiche dei due beduini protagonisti del fumetto letto molti anni fa: un grande affanno per un effimero guadagno.

Le soluzioni che si vorrebbero attuare per rimettere in funzione il sistema produttivo sembrano ormai tentativi vani. Chi ha accumulato ingenti quantità di denaro, in teoria, sembrerebbe disposto a cedere qualcosa per far ripartire il meccanismo che s'è inceppato. Come se poi la crescita ed i consumi potessero salire nuovamente in alto e correre ancora con gli stessi ritmi vertiginosi del passato. Son pie illusioni e questo resterà vero, almeno per un po', soltanto per i mercati cosiddetti emergenti. Successivamente anche loro si troveranno a dover fronteggiare gli stessi problemi che noi tutti stiamo già patendo oggi.

Se tornassi piccino, con la voglia di scrivere a Gesù Bambino, prenderei carta e penna e gli direi di non venire quest'anno da noi. Continuando a scrivere, aggiungerei che Lo stiamo aspettando ogni anno ed ogni volta, di nuovo, ci sembra di tornare un poco più buoni o, almeno, c'impegnamo per esserlo.

Ma il lieto annuncio che Tu ci hai portato un giorno, ora non fa più al caso nostro. Quello che ci hai detto, va bene solo se siamo in tanti ad accoglierlo. Se restiamo in pochi, sono sicuro che a Te non importa, ma non funziona così bene per tutti.

Caro Gesù Bambino, fa che gli uomini tornino ad essere un po' più intelligenti e lungimiranti, così come tu li hai creati.

Ecco, questo è il Natale che vorrei. Non solo i pastori e gli angeli a cantare "Gloria nell'alto dei Cieli", ma anche tutto il resto del paese.


giovedì 24 novembre 2011

La Serva di tutti

Sono appena tornato dall'incontro di Magistero per i Catechisti e, nonostante dovrei, non voglio andarmene a letto senza soffermarmi brevemente con te, mamma, in questo quarto anniversario della tua morte.

Papà, quando l'ho sentito al telefono mentre rientravo dal lavoro, mi ha detto che ha nuovamente mal di schiena. Mi sembrava un poco rattristato per non essere potuto andare al cimitero in occasione di questa ricorrenza. Ho cercato di confortarlo dicendogli che non è di certo un delitto il non aver avuto modo di realizzare questo proposito che aveva confidato anche a Maria Luisa. Sono sicuro che non ne hai a male perché erano ben altre le cose a cui tenevi. Più di una volta ti ho sentito dire che per te era stato più importante aver voluto bene ai tuoi genitori mentre ancora erano in vita e non ti davi pena se non potevi andare tanto spesso al cimitero a pregare sulle loro tombe.

Come te, così anch'io. Ma non so se sono riuscito ad amarti a sufficienza come tu avresti desiderato. Un giorno - sì, proprio quel giorno in cui mi comportai così male con Santina - tu mi dicesti che non pensavi che io fossi così cattivo. Cosa potevo controbattere? Avevi ragione. Però la cosa non mi stava bene e negli anni a seguire ho cercato di rimediare sperando che prima o poi tu potessi cambiare quel giudizio e dirmi invece che ero buono, come avrei sempre voluto essere.

Non sei mai riuscita a dirmelo. Però mi piace pensare che in fondo in fondo tu lo pensassi e solo la tua malattia ti ha impedito di pronunciare quelle parole. Se ho fatto e sto facendo qualcosa di buono, sappi, mamma, che questo è anche merito tuo e dei tuoi insegnamenti. Quando agisco, il Vangelo mi è dinanzi ed in te ne rivedo l'interprete fedele ed instancabile.

Come non essere orgogliosi di te, o madre? Se non ho pianto troppo dopo la tua morte è anche per questo. Non ti sei mai risparmiata per nessuno e nei tuoi momenti liberi non facevi altro che spronare papà affinché ci portasse a far visita a conoscenti vari oppure a questo o quel parente. A te non importava che loro ricambiassero. Anche se gli altri non venivano da noi, tu ugualmente desideravi andare incontro a loro per tenere ben saldi i legami di affetto e di amicizia.

Ricordo che, quando sei stata ricoverata in ospedale all'inizio del tuo progressivo degrado, il medico ti chiese che lavoro tu avessi fatto nella vita. Nonostante la tua dubbia lucidità rispondesti che avevi fatto la Serva di tutti.


sabato 12 novembre 2011

Il problema della sofferenza

La cosa che può mandarci più in crisi quando pensiamo all'Assoluto, al Dio buono e misericordioso, è il problema della sofferenza ed il mistero del dolore.

Di fronte alle meraviglie del Creato non possiamo fare a meno di pensare che esista Qualcuno al di sopra di noi che sia la fonte e l'origine di tutto ciò che vediamo. E probabilmente ci sfugge il fatto di essere ancor più meravigliosi di tutte le cose che ci circondano proprio perché di Lui noi siamo impronta ed immagine.

Però questa estasi e beatitudine quasi cessa per incanto quando facciamo esperienza diretta della sofferenza. Non tanto quando ne siamo colpiti noi direttamente, ma nel momento in cui a patirne è un nostro genitore, il coniuge, il fratello, il figlio oppure un amico caro.

Non è infrequente vedere che la Fede non è salda tanto quanto noi credevamo ed il dubbio ci porta ad avere una certezza: Dio non esiste! Se Dio esistesse, non avrebbe permesso che noi fossimo separati da quell'affetto così vitale per noi.

Ed è in quel momento che ci domandiamo che senso può avere la sofferenza ed il dolore, soprattutto quello innocente di chi si è appena affacciato alla vita e subito, senza ragione, ha dovuto lasciarla.

Io credo che questa non è una delle possibili vie, ma la sola via affinché le cose siano. Se lo guardiamo in questa prospettiva, non possiamo fare a meno di pensare che il mondo sia davvero perfetto così e non c'era davvero nessun modo migliore di concepirlo.

martedì 1 novembre 2011

Credibilità della rivelazione cristiana


In fatto di fede c'è chi si contenta di un sottile pragmatismo: afferma di credere semplicemente perché lo trova bello, significativo, gratificante. Non basta però che un messaggio sia funzionale ai nostri bisogni, perché sia vero. La fede cristiana è risposta motivata e ragionevole a Dio che ci viene incontro e in qualche modo lascia trasparire la sua presenza nella storia. Ma cosa ha di così rilevante la vicenda di Israele e della Chiesa, perché si possa vedere in essa una speciale manifestazione di Dio? Non presenta forse luci e ombre come ogni altra vicenda umana?
E' vero: in questa storia,  per chi non vuol vedere, c'è abbastanza oscurità; ma c'è anche abbastanza luce per chi vuol vedere.

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
LA VERITA' VI FARA' LIBERI
CATECHISMO DEGLI ADULTI

sabato 22 ottobre 2011

Bozze di vita

Sono uscito dal lavoro un'ora prima, come ogni venerdì. Ero intenzionato a fare un salto dal meccanico per cambiare il contrassegno dell'assicurazione dell'auto ormai scaduto da quasi un mese. Dovevo farlo anche prima, ma non c'è pericolo che torni in strada tanto presto da quando ho rotto la cinghia della distribuzione e di conseguenza anche il motore. I guai per l'alluvione del garage patiti l'anno scorso non erano terminati con le successive rotture dell'alternatore e del servosterzo. Mentre andavo da Maria Luisa in autostrada all'altezza dell'uscita di Pontevico, m'è capitato all'auto quest'ennesimo guaio. Con il carro attrezzi l'ho portata fin davanti al concessionario Peugeot di Cremona dove, il giorno seguente, mi hanno confermato ciò che temevo.

L'ho lasciata là per un po' di giorni, ma poi, visto che l'onere per la riparzione sarebbe stato eccessivo, ho deciso di andarmela a riprendere con l'autocarro del mio meccanico di fiducia. Memore della trafila precedente, non ho indugiato molto nel comprare una nuova automobile. Con Andrea, il mattino del sabato seguente all'appiedamento, ho passato in rassegna i vari concessionari della città facendo tesoro anche dei suoi buoni consigli di giovane appassionato di motori. E così, già lo stesso pomeriggio, concretizzavo l'acquisto di una nuova autovettura disponibile in pronta consegna. Mia moglie, quando l'ha vista esposta in vetrina, ha esclamato che era fin troppo bella. Dato che quasi nessuno era disposto a ritirarmi il veicolo danneggiato o che non ne avrei comunque ricavato un grande sconto nonostante non abbia raggiunto ancora i cinque anni di vita, mi son deciso a tentarne la riparazione, sperando che la spesa non superi il paio di migliaia di euro. Ma ci vuole pazienza, finché il meccanico riuscirà a trovare nell'usato i pezzi di ricambio in sostituzione di quelli rotti.

E così, mentre rincasavo per prendere il nuovo contrassegno da esporre sull'autovettura, vedo nella cassetta delle lettere uno scontrino lasciato in seguito ad una mancata consegna di atti giudiziari. Cosa potrà mai essere? Forse una multa? M'è sembrato di essere sempre stato abbastanza rispettoso del codice della strada. Forse un altro accertamento fiscale? Dopo l'ultima notifica, credo di essere diventato molto più attento e non dovrei aver commesso altri errori nelle mie recenti dichiarazioni dei redditi. Beh, c'è tempo:  non sono ancora le diciannove e posso fare subito un salto all'ufficio postale che si trova vicino a casa e soddisfare immediatamente la mia curiosità. Una volta uscito, mentre mi dirigo, sempre a piedi, verso l'officina del meccanico, comincio ad aprire il plico che mi arriva dall'Agenzia delle Entrate. E' una notifica di pagamento sanzioni per la successione di mamma effettuata in ritardo.

Avendo già fatto esperienza di queste cose, quando nonna Celina morì, rammentai a mio padre di regolare entro sei mesi gli adempimenti di legge. Lui però non si ricordava di un acquisto fatto anni addietro e quindi pensava di essere esente da qualsiasi atto di successione che riguardasse mia madre. Questa primavera però è finalmente riuscito a trovare un accordo con la nipote, mia cugina, e quindi le ha venduto l'ultimo appezzamento di terreni che ancora possedeva. In quest'occasione è emerso che di una piccola parte, a motivo della comunione dei beni, ne era proprietaria anche mamma e quindi ha dovuto regolare il tutto con il notaio, il quale non mancò di avvisarci riguardo alle successive verifiche fiscali in cui saremmo incorsi. Quattrocentoquattro euro per non aver dichiarato in tempo un cinquantaduesimo di proprietà mi sembrano un buon introito per l'erario. In questi periodi di magra per lo Stato, ben vengano anche le tasse extra. Però basterebbe perdere il lavoro per incassare gl'imprevisti con decisamente minore allegria.

Per fortuna che oggi in ditta c'è stato motivo di gioia per una grossa commessa che è andata in porto. La attendavamo da mesi e finalmente è arrivato l'ordine formale che dà un certo conforto in questo periodo di crisi. La cosa mi rallegra particolarmente, considerando che la quasi totalità del lavoro di mia competenza è già stato realizzato a luglio, giusto perché in precedenza avevo promesso alla ditta che si sarebbe occupata di sviluppare il programma di gestione che l'avrei messa in grado di andare avanti con le proprie attività, sviluppando in anticipo rispetto all'ordine esecutivo la libreria per la gestione delle nostre centraline.

Quando sono rientrato in casa, ho scorto sulla tavola le varie lettere che Alessandra aveva recuperato prelevandole dalla cassetta della posta. Fra queste noto una busta inviata da Cuore Amico, la Onlus che mi permette di sostenere alcune adozioni a distanza. La apro e vi trovo la fotocopia della pagella di Sofia, una ragazzina Eritrea che presto compirà tredici anni. C'è anche una fotografia che la ritrae molto sorridente, vestita con cura, ma così slanciata e magra come le modelle anoressiche dalle improbabili taglie per la gente comune. C'è anche una breve nota di ringraziamento da parte della suora a cui è affidata. Mi commuovo, forse più per la stanchezza del fine settimana, che per la speranza di essere veramente d'aiuto a qualcuno. Il pensiero di offrire qualche opportunità in più anche ad altri ragazzi che non siamo solo i miei figli mi consola e quindi più tardi mi addormento felice stringendo fra le braccia mia moglie. Così vicina e stretta a me da sentire rimbalzare il mio cuore sul suo petto.

Mentre sto terminando queste brevi bozze di vita, arriva l'SMS di Alessandra che annuncia con un numero interminabile di 'a': "Patentataaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!". Congratulazioni. Ora l'auto in più ci farebbe veramente comodo.

lunedì 26 settembre 2011

Contro natura

Ogni volta che imbocco la tangenziale sud di Brescia per recarmi al lavoro, non posso fare a meno di notare in controluce una piccola pianticella che si fa largo tra le lamiere del guardrail posto alla sinistra del mio senso di marcia. Evidentemente l'abbondante cemento ed i vari strati di asfalto non hanno impedito al seme di germogliare ed alimentare la pianticella che ora spicca rigogliosa ben oltre il metro di altezza. A giudicare dalle foglie potrebbe trattarsi di una piccola robinia (almeno così mi pare). Più avanti si può scorgere un'altra giovane pianta che contende lo spazio alle ancora lucenti lamiere: forse in questo caso si tratta di un piccolo pioppo.

A questa vista, è stato quasi naturale ricordare che anche sul nostro tetto di casa, a ridosso della grondaia, vi è una specie di giardino pensile. Esso è cresciuto spontaneamente nel guano lasciato dai piccioni che vengono a trovare riparo dalle piogge battenti oppure dalla calura estiva. Un giorno mi sono sporto dalla finestra della veranda per cercare di rimuovere con una zappa quella specie di zolla erbosa. Con una certa meraviglia ho notato che gli escrementi dei volatili si erano trasformati in terriccio di buona qualità. Ce n'era in abbondanza tale da riempire per intero un secchio che ho poi vuotato in giardino sotto ad un pino.

In altre circostanze m'è capitato di notare che anche sulla sommità di certi campanili è riuscito ad attecchire un alberello che ha raggiunto dimensioni ragguardevoli considerando l'insolita ubicazione in cui si trova.

Riesce ancora a stupirmi la straordinaria forza vitale che può scaturire da un piccolissimo seme così da farlo germogliare e crescere fino al punto da diventare un albero maestoso dove gli uccelli possono venire a costruire il nido fra i suoi rami.

Nulla sembra contravvenire a questa legge che porta a far nascere dal seme una nuova pianta ed essa, a sua volta, produrrà altri semi. Il ciclo si ripete in maniera sempre uguale e le variazioni non fanno altro che alimentare la ricchezza della diversità.

Anche noi non sfuggiamo a questa regola di natura: nasciamo, cresciamo e giungiamo all'età matura in cui dal nostro seme può nascere un nuovo figlio.

L'uomo però, esercitando la sua libertà, è in grado di sottrarsi a questo ordine precostituito che lo chiama alla fecondità. Là dove manca il desiderio di formare una famiglia e di avere dei figli trova spazio una forma di sterilità che è contro natura.

lunedì 19 settembre 2011

Me ne vado

Non volevo proprio farlo. No, almeno non adesso. Ma ho deciso e me ne vado. Non è mica perché sono stufo delle solite cose, del fatto che si fa sempre un gran chiacchierare in giro, ma poi non cambia mai nulla. No, non è per questo. E non è nemmeno che mi sia stancato di continuare a sentirle le solite cose. Pur con tanti che dicono tutto ed il contrario di tutto. Anche se a loro non va mai bene niente.

Così, perché se n'è presentata l'occasione. E non m'importa di sapere che potevo restare ancora un po', magari a dare una mano. Forse anche solo per dire la mia. E per cosa poi? Come se quel che avrei da dire io non fosse già venuto in mente a tanti altri. Il bello è proprio questo. Non c'è più molto spazio per l'originalità. E' già stato detto tutto, gridato da più parti. Ormai è un disco rotto che nessuno ha più voglia di sentire.

Ho già la valigia pronta. Ma questa volta non faccio come le altre. Non la riempio di cose inutili, che poi tanto non mi servirebbero se non a farmi tornare il mal di schiena per il peso di dovermele portare appresso. Giusto l'essenziale, perché mica si può uscire di casa con null'altro che i quattro stracci che portiamo indosso. Quello va bene per una fuga di breve durata. Io invece voglio andarmene per sempre. O almeno per un bel pezzo.

Spero di non dovermene pentire. Quando si prende una decisione bisogna esserne convinti. Mica si può tornare indietro sui propri passi con tanta leggerezza. Se si deve fare, allora che sia fatto con la massima convinzione, senza indugio alcuno, senza titubanza, senza timore di lasciare il certo per l'incerto. Senza la paura di perdere le nostre quotidiane certezze. Per non doverci poi chiedere continuamente se abbiamo fatto bene. Altrimenti sarebbe stato meglio lasciar perdere e restare fermi dov'eravamo. Sopportando pazientemente anche tutto il resto.

Perché si fa presto a dire che noi non siamo come loro. Che non ne possiamo più. Che è sempre la solita storia... Ma basta, non ne voglio più parlare. Ho deciso di voltare pagina e sia così. L'ho già detto anche prima. Il motivo non è questo.

Certo, mi sarei aspettato che le cose fossero andate diversamente. Ognuno un po' più attento. Talvolta anche un tantino più generoso, senza timore di sembrare stupido o ingenuo. Ma non l'ho fatto io. Perché allora dovrebbero farlo gli altri? Filantropia d'altri tempi che ormai non ha più ragion d'essere. S'è guastato il meccanismo e gl'ingranaggi non girano più. O meglio, non più per quegli stessi motivi.

Non vedo l'ora di arrivare. Il luogo che mi sono scelto come meta, dove vorrò spendere il resto delle mie energie, mi pare azzeccato. Non sono il solo a dirlo. In tanti ci hanno già pensato. Tant'è che, se mi sono deciso al grande passo, è anche perché molti altri l'hanno già fatto prima di me e pare che ora stiano proprio bene.

Ora non vorrei che fosse venuta anche a voi una gran voglia di seguirmi. Così, solo per spirito d'emulazione. Se l'ha fatto lui, possiamo farlo anche noi. Non datemi questa responsabilità. Non voglio trascinare nessuno. Sentitevi liberi però. Se volete seguirmi, fate pure. Posto ce n'è. E di certo non sarò io a respingervi. Solo una cosa. Badate bene a quello che fate. Anch'io sono stato avvisato e vi giro il medesimo consiglio.

Per chi poi volesse capirne un po' di più, spiegazioni non ci sono. Ci si deve fidare e basta. Ma non è un obbligo. Se vi va, accettate. Altrimenti lasciate perdere ed amici come prima. Senza rancore alcuno e senza giudizio. Tutti hanno diritto di fare la propria scelta. Prima o poi.

sabato 27 agosto 2011

Vita a due

 Da quando ho deciso di aprire questo blog, mi sono assunto l'impegno personale di essere presente su queste pagine con almeno un contributo mensile. In questi ultimi giorni di agosto, lasciate ormai le ferie alle spalle, di tanto in tanto andavo pensando a cosa scrivere, a quali argomenti toccare nel mio prossimo trafiletto.

Come accennato anche in altre precedenti occasioni, Alessandra è andata a Madrid per partecipare alle Giornate Mondiali della Gioventù. Stavo considerando l'idea di stendere qualche riflessione sulla GMG 2011 vista da fuori, sfiorandola dall'esterno per comunicare più le mie sensazioni invece che riportare quelle di mia figlia. Mi sembrava però di non individuare spunti sufficientemente interessanti da condividere con i miei pochi lettori e quindi avevo finora rinunciato ad accendere il PC.

Mentre ancora indugiavo nel letto, più per insistenza di mia moglie che per reale stanchezza, stavo considerando che ormai manca solo una settimana al matrimonio del nostro collega di lavoro. Perdurando questo caldo che ci sfianca con punte di calore ben al di sopra della media stagionale, chi ha voglia di mettersi in abito da cerimonia per partecipare ad un evento che, secondo una diffusa opinione, è ritenuto abbastanza "pizzoso" e viene visto come una pesante costrizione da subire per divere ore? E' così che mi sono alzato ed ho aperto il portatile per iniziare a scrivere, fra lo stupore di Maria Luisa che mi avrebbe voluto a riposo ancora per un po', mentre lei era in piedi già da un pezzo e si stava preparando ad uscire di casa per le spese settimanali.

Voglio tornare indietro con il pensiero all'anno 2005. In quel periodo sembravano aprirsi per me le prospettive di un nuovo cammino a due. La mia attenzione si era soffermata su una donna dalle indubbie qualità che avrebbe potuto farsi spazio nel mio cuore e a cui speravo di dare quell'amore che la morte di Santina non aveva spento. Mi sono fatto avanti e mi sono dichiarato, ma non c'è stato verso. Nonostante fossi preparato ad una non immediata reciprocità, mi sono sentito annichilito oltre modo per quel rifiuto così perentorio e laconico. Questo stato emotivo ha gravato su di me più del dovuto anche per il fatto che in quel periodo mia madre cominciava a manifestare evidenti sintomi di quella che poi sarebbe stata la sua malattia ed io, privato di un affetto su cui contare, rischiavo di cadere in un baratro profondo.

Ricordo che durante l'estate ero salito in montagna con i miei ragazzi per trascorrere un po' di tempo in compagnia dei miei genitori. Dopo pochissimi giorni, non riuscendo a sopportare la pena per mamma che si perdeva nelle normali faccende di casa, a malincuore, quasi sentendomi un vigliacco, presi la decisione di tornarcene a casa. Lo facevo per me stesso e per i miei figli, pur sapendo di causare una grave sofferenza ai miei genitori con la mia improvvisa dipartita. Così vulnerabile, temevo di cadere in depressione. Quello stato di prostrazione dell'animo che tanto avevo combattuto dopo la perdita di Santina, ora poteva tornare più acuto e farmi commettere qualcosa d'irreparabile.

Bisogna sapersi leggere dentro e trovare sufficiente lucidità per imboccare la via giusta e sottrarsi con decisione al proprio annullamento. In quel momento ho ritenuto che fosse più importante voltare le spalle a chi mi aveva messo al mondo e tornarcene nella nostra abitazione per ripristinare un equilibrio psichico che si stava compromettendo. E così è stato. Non rimpiango la scelta fatta, ma la pena per la mia defezione è ancora grande. Avrei tanto voluto aver modo di potermi comportare diversamente.

Poi con l'autunno una nuova speranza. Ma non ho intenzione di dire molto in merito a questa seconda occasione perché ne ho già parlato con diffusione nel post "L'orchidea" e, se siete interessati, potete andare a rileggerlo premendo sull'apposito link (gennaio 2007).

Dopo quest'ennesimo fallimento sentimentale ho come avuto uno scatto dell'animo. Non riuscivo a rassegnarmi all'idea di vivere questa seconda parte della mia vita senza una compagna accanto che potesse condividere con me le gioie ed anche i momenti meno lieti. Ora però sentivo dentro come un freno. Non mi sarei più rivolto attivamente a nessuna donna, ma sarei stato ad aspettare con fiducia e speranza. La mia vita sarebbe tornata ad avere un senso così denso e pieno come solo mi sembrava potesse avere con accanto una compagna da amare, anche con difficoltà, giorno per giorno.

E' passato l'inverno ed è stato per me come il seme sotto la neve. Le potenzialità di un nuovo germoglio c'erano già tutte, ma non si vedevano ancora. Con gennaio 2006 è partita l'avventura di "Piccola Anima" che mi sta tenendo impegnato in tutti questi anni e che davvero raccoglie il mio pensiero, anche quello più intimo. Meditavo di trascorrere la successiva Pasqua in maniera differente dalle altre e quindi mi sono iscritto per tempo ad un pellegrinaggio a Lourdes con i ragazzi. Non ci andavo da ammalato o per accompagnare qualcuno con problemi di salute. O meglio, se una pena c'era, più o meno inconsciamente me la portavo dentro e non sapevo che là in quel posto, sotto la protezione della Vergine Maria, avrei sperimentato la Grazia più che in altri luoghi.

La mia fede ne è tornata rinsaldata. Ma non solo. In quel viaggio c'è stata l'occasione d'incontro con una persona speciale che dapprima avrebbe voluto trascorrere la Settimana Santa da qualche altra parte in un soggiorno di villeggiatura. Ma poi, venendo a mancare il numero minimo di partecipanti per organizzare il viaggio verso la destinazione prescelta, quasi fosse un ripiego, aveva scelto di venire a Lourdes con l'amica Flavia.

Oh Signore, quanto sono imperscrutabili i tuoi sentieri. Quanto le tue vie sovrastano le nostre vie. Non hai lasciato le mie ossa ad imputridire nella tomba, ma mi hai risollevato dagli inferi. Per questo ti rendo grazie e ti lodo, mio Dio.


venerdì 22 luglio 2011

Cosa vorrei sentirmi dire dai medici

E' ovvio che cosa vorrei sentirmi dire dai medici, che tutto va bene, che tutto è a posto per sempre. Sappiamo che non è sempre così, ma almeno vorrei che mi dicessero sempre la verità. Sono brutte e inutili quelle mezze verità. Gli ammalati sono si ammalati, ma non sono stupidi, anzi, la malattia acquisisce i sensi e capiscono molto di più di quanto le parole non dicono. Tanto vale dire la verità, tale e quale com'è. Certo nel modo più dolce possibile, ma la verità.

Gli ammalati sono a letto, pensano, valutano, salutano... e non vogliono essere presi in giro. Almeno io. So che alcuni familiari preferiscono "proteggere" il congiunto, imbastendo una rete di pietose bugie che non convincono nessuno, che fanno più male che bene, che non permettono neppure di organizzare il nostro futuro, breve o lungo che sia.

Tratto da:

AVREMMO VOLUTO FOSSE ALTRO
Cinque donne raccontano il loro viaggio dentro il tumore
A cura di Carmine Lazzarini


Finora mi ero astenuto dall'aggiungere commenti in merito a questi ultimi brani pubblicati perché, come già espresso in un vecchio post, mi sembrava quasi di sminuirne l'originaria forza, nonostante alcune lievi imprecisioni delle scriventi. In questo caso voglio fare un'eccezione e ribadire, casomai ce ne fosse bisogno, che il concetto espresso sopra mi trova pienamente d'accordo e che anch'io, durante la malattia di Santina, ho sperimentato atteggiamenti poco schietti da parte dei medici. Tanté che anche mia moglie ebbe a dire in alcune circostanze che lei non era scema. Aggiunse anche che i medici le facevano tante "moine" di fronte, ma poi la "pugnalavano" nella schiena.

lunedì 18 luglio 2011

Lettera a una figlia

Cara Silvia,
hai appena compiuto i tuoi bellissimi 16 anni... Se tu fossi americana potresti già guidare e andare per il mondo: meno male che siamo in Italia!

Anche tu a suo tempo capirai che per i genitori i figli sono e restano sempre un po' bambini da proteggere, da consigliare, da guidare. Invece i figli crescono e sono fatti per andare nel mondo a trovare la propria strada, noi genitori vi dobbiamo lasciare andare sperando che il piccolo "bagaglio a mano" che vi abbiamo fornito possa bastare per ogni occasione.

Cara Silvia, alla tua età si desidera essere già indipendenti, liberi e non più sottoposti a controlli, si è insofferenti verso le regole di genitori e insegnanti. Ci sono passati tutti... tieni duro: è il difficile passaggio all'età adulta... sembra che non passi mai e ci si sente dei brutti anatroccoli, ma alla fine potrai ritrovarti trasformata in un bellissimo cigno capace di volare alto e di nuotare vicino a un meraviglioso compagno per la vita.

E' così che il cerchio della vita ricomincia.

Nel frattempo controlla cosa hai in questo tuo bagaglio a mano: deve sempre esserci un po' d'amore verso il prossimo, qualche sorriso da regalare e tutta la tolleranza che puoi verso le mancanze altrui, nella speranza che ti vengano perdonate le tue.

Ci deve essere l'orgoglio, ma senza arroganza, con la consapevolezza di essere unica ora e sempre. Ci deve essere l'onestà, da mettere in ogni tuo impegno per essere rispettata e d'esempio agli altri. Non tenere in troppo conto i beni materiali: noi sappiamo bene quanto sia più importante la salute. E quando ti capiterà, stai vicino con affetto a chi soffre. una parola di conforto è un balsamo per l'anima impaurita dal male.

Questi sono i pochi talenti che ti servono per camminare sicura lungo le strade della vita. E se queste strade diventassero buie, tieni con te la luce della Fede: con essa non potrai mai avere paura. Affidati alla luce di Cristo come il bambino si affida alle braccia di sua madre e non temere.

Con infinito amore, la tua mamma e il tuo papà.

Tratto da:

AVREMMO VOLUTO FOSSE ALTRO
Cinque donne raccontano il loro viaggio dentro il tumore
A cura di Carmine Lazzarini

sabato 16 luglio 2011

Ricordati di non perdere mai la speranza

La rabbia e la paura, la solitudine e la depressione sono sentimenti naturali ma bisogna imparare a conoscerli per saperli governare e dar loro un ruolo adeguato al nostro percorso di ricostruzione di sé. Ricordati di non perdere mai la speranza; se resta un istante da vivere, vivilo, se hai un sogno nel cuore, fallo volare.

Non dimenticarti della bellezza che porti dentro e di quella che ti circonda, non dimenticarti dell'amore e della speranza, anche una sola possibilità può bastare a ravvivare la fiducia in sé stessi. Non resta che aggrapparci al coraggio, potrà accadere di avere paura ma fa parte del cammino, la cosa importante è che il raggio di luce che ci illumina il cammino non abbia mai a spegnersi.

Chiunque noi siamo, la vita è un dono e dobbiamo trovare insieme, malati, medici e le strutture di sostegno, il modo perché valga sempre la pena di essere vissuta, non è perciò detto che l'anima non possa mutare e ritrovare la sua via senza perdere la vita e un cambiamento corrisponderà certo a nuove prospettive.

Tratto da:

AVREMMO VOLUTO FOSSE ALTRO
Cinque donne raccontano il loro viaggio dentro il tumore
A cura di Carmine Lazzarini

domenica 3 luglio 2011

Avremmo voluto fosse altro

Nel cuore dell'inverno,
ho finalmente compreso
che c'era in me
un'invincibile estate.

A.Camus


Ogni viaggio comincia con una separazione, ogni cammino ha inizio da un lasciare.

Il tratto di strada, e di vita, che intercorre tra due spazi e due tempi diversi è possibile percorrerlo soltanto lasciandosi alle spalle il luogo di partenza, con tutto ciò che esso contiene, rappresenta e custodisce di sé. Occorre un distacco per intraprendere un cammino che ci porterà verso un 'altrove'.

Il viaggio di chi intraprende il lungo e misterioso processo di cura di una malattia tumorale è un percorso che nasce dalla rottura di un equilibrio a causa di un evento drammatico: il tumore rappresenta, nella vita di una persona, un trauma, un'esperienza che, per il suo carattere di gravità e cronicità, può avere un effetto sconvolgente sulla vita del paziente e dei suoi famigliari in quanto ad esserne pervaso è innanzitutto il corpo, ma con esso pure la mente, l'anima di chi ne è affetto. I vissuti di ansia e di depressione possono alternarsi ripetutamente durante le fasi della malattia.

Accostarsi ad un paziente da un punto di vista psicoterapeutico significa prima di tutto offrire la propria persona per fare un tratto di strada insieme, a partire proprio dalla sofferenza e dai sentimenti di paura e smarrimento scaturiti da quella 'rottura', stemperando quel sentimento così frequente di solitudine che vive chi è costretto a intraprendere sentieri non battuti, poco chiari e incerti. Questo tipo di viaggio poco ha a che vedere con il viaggio di Ulisse, diretto verso una meta nota, già conosciuta e abitata, verso quell'Itaca così rimpianta e amata. Pur attraversando luoghi minacciosi e creature pericolose Ulisse sa dove sta andando, conosce la meta del suo peregrinare e questa addolcisce tutto.

Credo che metaforicamente il viaggio delle autrici degli scritti che abbiamo letto assomigli maggiormente al viaggio di Abramo, che conosce quello che lascia ma non sa dove andrà, ossia a un viaggiare verso qualcosa di promesso ma non conosciuto, verso qualcosa per cui si nutre fede ma che ancora non si è sperimentato.

Non credo si realizzi mai un tornare 'come si era', un viaggio di andata e ritorno. Ed è quel tratto di strada che si percorre a partire da 'quel lasciare' verso una 'terra promessa' che renderà nuova la Persona, plasmandola e modellandola fin nelle fibre più profonde del suo essere.

Il modo più naturale ed accessibile per elaborare un proprio vissuto emotivo, consiste nel narrarlo a qualcuno e così facendo rinarrarlo a se stessi. Non è però sufficiente elencare una serie di fatti ed eventi perché si possa parlare di una "storia". Una storia, per essere tale, ha bisogno di vedere collegati, all'interno del processo di narrazione, i fatti fra loro attraverso una trama di significati e valori che la persona crede di scorgere nell'atto medesimo del raccontare. In questo modo nasce la narrazione della propria storia, che vede mescolarsi ciò di cui si è fatto esperienza con i vissuti emotivi, affettivi ed i processi di trasformazione interna che ne sono derivati.

Nessuna intenzione di far diventare la malattia un bene. La malattia, il dolore devono essere affrontati con l'intenzione di eliminarli. Tuttavia nonostante i suoi vissuti laceranti e razionalmente incomprensibili, la malattia può diventare un luogo ed un tempo di consapevolezza di sé e dei propri limiti, attraverso cui rileggere con occhi diversi, la propria vita per risignificarla, ossia per attribuirle un senso e un valore nuovi, rinnovati, dove la parola senso è da intendersi nella duplice accezione di significato e di direzione. Ma nulla si fa bene da soli. Il pensiero, anzi l'uomo stesso si crea nel processo di scambio e di relazione con l'altro, anche quando si interrompe il filo della vita sana ed efficiente.

Credo sia stato anche questo ad alimentare il significato del laboratorio di scrittura creativa e la motivazione, da parte delle autrici, a lavorare ai propri scritti. Con mirabile forza d'animo, con coraggio e determinazione tutte sono scese nelle profondità del proprio animo umano per incontrare profondamente se stesse, e da lì risalire per andare poi oltre la propria Persona e così spingersi, con fiducia e speranza, nell'immensità del Tutto.

Per tutto questo io dico loro: Grazie.

Cecilia Sivelli

Postfazione a:

AVREMMO VOLUTO FOSSE ALTRO
Cinque donne raccontano il loro viaggio dentro il tumore
A cura di Carmine Lazzarini

I fondi raccolti con la vendita di questo volume saranno devoluti all'Associazione MedeA di Cremona.

sabato 2 luglio 2011

Summer time

Ieri sera Alessandra mi ha chiesto se oggi potevamo trovare un momento per fare un giro alla Decathlon. Magari ci potevamo alzare presto ed intorno alle dieci, dieci e trenta uscire di casa. Non ho capito bene se stesse parlando seriamente oppure con una certa ironia. L'orario stabilito trovava la mia completa approvazione e quindi circa a mezza mattina siamo usciti di casa, così come lei desiderava.

Maria Luisa in questi giorni è impegnata con gli esami di maturità. Oggi sono iniziati gli orali della sua classe. Prima di scendere a Cremona si è profusa con instancabili energie ed ha messo in ordine tutta la casa. In questo modo non è stato difficile assecondare la richiesta di mia figlia ed andarcene un po' a zonzo per fare shopping.

Non amo particolarmente girare per negozi e centri commerciali. Ci vado solo per necessità oppure per accompagnare altri. Se posso, lascio andare le mie donne per conto loro così possono agire in piena libertà. Per fortuna che anche Andrea si è reso ben presto autonomo e non ho più dovuto occuparmi delle sue piccole o grandi necessità oppure del vestiario. Anzi, da quando può godere di un lavoro sicuro, mi pare che stia dando un contributo non indifferente al movimento dell'economia del nostro paese.

Un giorno ho provato a dirgli di accantonare qualcosa in più pensando anche alle necessità della sua futura vita coniugale. Mi ha risposto che è meglio concedersi qualche capriccio ora perché il futuro non è sempre come ce lo immaginiamo e non vorrebbe rimpiangere di non averne approfittato quando poteva. Come dargli torto? Non me la solo sentita di replicare.

Pochi minuti in auto e siamo giunti nella zona di Roncadelle dov'è situato questo magazzino frequentato da tutti gli amanti dell'abbigliamento sportivo e non solo. Mia figlia mi ha ricordato che oggi iniziavano anche i saldi e quindi la cosa poteva risultare oltremodo vantaggiosa. Si, se non fosse per il fatto che poi ti lasci prendere dalla frenesia e spendi ben più di quanto avevi preventivato.

Alessandra aveva bisogno di un sacco a pelo più leggero da utilizzare a Madrid durante il raduno per la giornata mondiale della gioventù. Mentre ci aggiravamo per il reparto del materiale da campeggio, la mia attenzione si è soffermata per un attimo su quanto era in esposizione. Ho detto a mia figlia che quasi quasi ad una vacanza in camper preferirei quella in tenda. Ma quelle sono cose che si fanno a vent'anni e non alla mia età e con questa battuta ci siamo mossi verso un'altra corsia per la nostra prima prova costume.

Eh, sì. Settimana prossima inizia il Grest parrocchiale ed a mia figlia serviva un nuovo paio di bikini per le uscite in piscina o le gite ai parchi acquatici. Anch'io ne ho voluto approfittare e mi sono preso due paia di pantaloncini corti: uno per il mare ed uno per la montagna, così tanto per rinnovare il mio pluridecennale guardaroba.

Non vi dico le smorfie fatte dentro alla cabina di prova. Ho già meditato di passeggiare quest'anno lungo la spiaggia coperto da una confortante maglietta così da non dover esibire tutta la mia debordante ciccia. La scusa ufficiale potrebbe essere quella di nascondere ai passanti la mia vistosa cicatrice che m'è rimasta a ricordo per l'asportazione della colecisti... Non ho voglia di sottopormi a massacranti digiuni pre-vacanze oppure ad intensificare l'attività fisica nel vano tentativo di abbattere qualche chilo. A Maria Luisa piaccio così. Non ho velleità di conquista e quindi porterò a spasso con dignità le mie generose rotondità.

Tornati a casa, visto che il clima è ancora gradevole grazie alle recenti precipitazioni, abbiamo deciso di pranzare in terrazza. Spaghetti con le vongole, tonno alla mediterranea e per finire l'ottima crostata di mele che ha preparato ieri mia moglie. Peccato solo la sua assenza. Ma fra poco arriva. Intanto io finisco di stendere questi appunti di viaggio in questo sabato estivo dal sapore rilassato e scanzonato che rimanda la mente indietro nel tempo, quando si poteva udire una canzone che diceva: "Azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro per me...".

sabato 18 giugno 2011

Matrimoni preziosi

E così, la prima domenica di giugno, siamo riusciti a celebrare le nozze d'oro di Maria e Filiberto. Con una certa trepidazione attendevo la ricorrenza del loro cinquantesimo anniversario di matrimonio già da diversi mesi. Ho sentito dire da mia suocera che a questa festa abbiamo tenuto soprattutto mia figlia Alessandra ed io, quasi a voler minimizzare il loro entusiasmo di sposi ormai non più tanto novelli. La nostra gioia è stata piena anche per il fatto di vedere mio suocero, non dico in forma, ma con un grado di salute accettabile, compatibilmente con tutte le traversie sanitarie che sta attraversando in questo ultimo periodo.

Ben comprendo il punto di vista dei genitori di Santina e Piera che non sentono più di gioire pienamente in questa vita che li ha portati ad essere separati definitivamente dalle proprie figlie. Ma come dice bene mia moglie Maria Luisa, bisognava fare festa anche per gli altri figli, Maurizio ed Alfredo, che sono presenti e portano avanti con compostezza la sofferenza per un congiunto che ormai non cammina più insieme a loro come un tempo. Sono stato orgoglioso di vedere i miei figli, e pure il nipote Davide, fare festa come si conviene per i loro nonni. Non ho visto tristezza sui loro volti e neppure occhi lucidi pensando a chi in quel momento non era accanto a loro. Hanno lasciato questi pensieri meno felici a chi li guardava un po' più da lontano, defilato fra i banchi intermedi della chiesa.

E poi di nuovo oggi un altro festeggiamento per le nozze d'argento di Mauro e Graziella. Mi sembra di vederli ancora che si scambiano baci appassionati sul marciapiede adiacente all'oratorio, da cui poi non si sarebbero mai allontanati troppo. Con la loro discreta presenza volta sempre al servizio, senza tanto clamore e senza troppe lusinghe per il prevosto di turno. Che poi si sà, i preti vengono e vanno e purtroppo assieme a loro anche tanti uomini di buona volontà. Ma non così per loro, perché del Vangelo vissuto nell'intimo della loro casa e testimoniato con coraggio nella quotidianità della vita comunitaria parrocchiale, hanno saputo essere formidabili interpreti.

Di Mauro ricordo soprattutto il sorriso aperto e sovrabbondande che poi negli anni ha lasciato il posto anche ad espressioni meno allegre: le stesse che riconosco nei miei tratti, quando mi metto di fronte allo specchio e scruto cosa vedono di me gli altri. L'allegria di questo comparrocchiano era così travolgente e contagiosa che, non ritrovarla nel procedere degli anni, faceva sembrare il mondo un po' meno bello di quello che è in realtà. Ma l'età nostra, quella di adesso, si caratterizza per avere genitori ormai anziani, con i problemi per la loro salute e gli affanni per andare avanti. Di certo sono queste le cose che spengono in noi gli entusiasmi giovanili e ci conferiscono aspetti più mesti e remissivi.

Anche se mi rendo conto che queste mie parole ne hanno tutta l'aria, il mio non voleva essere un discorso triste, pieno di nostalgia e di rimpianto per ciò che ormai non torna più. In realtà, almeno nelle intenzioni iniziali, mi premeva sottolineare l'importanza e la bellezza di fare scelte coraggiose come quelle che spingono due persone che si amano ad unirsi in matrimonio per tutta la vita. Quell'intraprendenza e perseveranza che non è più tanto in voga nelle nuove generazioni e che spinge i giovani a scelte di convivenza, evitando di fatto di formalizzare il proprio impegno di fronte alla comunità. Ad essi va il mio rispetto assieme però ad un caloroso incitamente per scelte responsabili per testimoniare veramente nei fatti l'amore che si fa vita per l'altro e non una scelta di comodo o convenienza.

sabato 28 maggio 2011

Bontà d'animo




 
Non so se anche voi avete mai avuto la mia stessa impressione, ma io credo di avere fatto esperienza della fondamentale bontà dell'animo umano quando non si sa bene come raggiungere una destinazione ed allora si accosta l'auto per chiedere aiuto a chiunque stia passando lì vicino a noi in quel momento.

Avete notato come, dopo un breve momento di diffidenza, quando la persona interpellata ha messo a fuoco che siamo in difficoltà, cambi repentinamente l'espressione del proprio volto e si avvicini sorridente a noi per capire bene cosa stiamo cercando?

Se non siamo in grado di fornire alcun aiuto - alzi la mano chi a sua volta non è mai stato avvicinato da qualcuno che chiedeva indicazioni stradali - il nostro rammarico è grande ed a malincuore diciamo che non siamo di quelle parti oppure che quel posto è altrove e noi non l'abbiamo mai sentito nominare. Non ci par vero di non essere utili almeno un poco, quindi ci congediamo dicendo di provare più avanti che là senz'altro troveranno qualcuno che saprà indicare loro come raggiungere la meta.

Perché esce il meglio di noi quando qualcuno ha smarrito la via? Ci sbracciamo a tal punto che, se ci potessero filmare con telecamera nascosta, ne verrebbe un video divertente da pubblicare su YouTube. Credo che ciò sia dovuto prevalentemente al tipo di richiesta che stiamo effettuando quando cerchiamo indicazioni viarie. Non abbiamo bisogno che l'altro ci dia qualcosa di sé, così da renderlo più povero. Mettiamo a nudo la nostra inferiorità e, soprattutto se non stiamo proferendo l'improbabile richiesta dal finestrino di un alto SUV, sicuramente dotato di navigatore satellitare, riusciamo ad accattivarci la simpatia di chiunque transiti a piedi in quel momento.

Volentieri porgiamo una mano e, se anche le nostre doti di eloquenza non fossero delle migliori, compiamo ogni sforzo per fornire indicazioni il più possibile precise, impreziosendole di particolari e di riferimenti che possano restare impressi nella memoria a breve termine dell'interlocutore, anche durante il successivo tragitto da compiere senza di noi.
 
Una volta mi è perfino capitato di chiedere indicazioni ad un tale che si è offerto di farmi strada con la sua auto. "Sto proprio andando in quel posto, non è molto lontano da qui, ma neanche tanto facile da raggiungere e vi potreste perdere. Se venite dietro a me, vi faccio strada; quando arriverete in quel punto, io proseguirò a destra. Voi andate a sinistra ancora per trenta metri e siete arrivati".

Curiosa questa cosa dell'uomo che sa dare spontaneamente, se percepisce che il suo intervento è immediatamente utile all'altro! Nell'assistere qualcuno  in questo modo, ci sentiamo gratificati ben oltre le misere indicazioni che siamo stati in grado di fornire e, con elevata autostima, proseguiamo sorridenti per la nostra strada. Sembra proprio che con il nostro sguardo diciamo al mondo: "C'è nessun altro che vuole sapere dove andare adesso?".

venerdì 13 maggio 2011

Pasqua in Umbria


Ci siamo messi in viaggio ancora la sera del Giovedì Santo, subito dopo aver partecipato in Parrocchia alla celebrazione eucaristica con la lavanda dei piedi. In realtà con una prima tappa a Cremona, dove abbiamo sostato per la notte. Il mattino seguente, senza effettuare una levata troppo anticipata, abbiamo ripreso tranquillamente il nostro cammino in direzione di Assisi, dove era nostra intenzione trascorrere la Pasqua.

Temevo d’incontrare sulle strade un traffico inteso e quindi mi ero preparato spiritualmente a sopportare qualche coda o rallentamento di sorta. In verità, tranne un prevedibile fermo di breve durata nell’interland bolognese, il tragitto è fluito in maniera del tutto scorrevole e non ho dovuto forzare l’andatura per arrivare a destinazione per l’ora di pranzo.

Appena preso possesso della camera d’albergo, mi sono messo in contatto telefonico con l’amico Roberto, il commilitone che non rivedevo dal giorno del congedo avvenuto nel febbraio del 1984. Quel pomeriggio era nostra intenzione riposarci un poco e partecipare poi alle celebrazioni del Venerdì Santo, ma l’indomani, se a lui stava bene, ci saremmo potuti vedere e lasciarci condurre dove desiderava, visto che non avevamo preferenze sui luoghi da visitare.

L’indomani mattina, dopo una lunga dormita ristoratrice in cui Maria Luisa è riuscita ad avere la meglio sulla febbre per il raffreddore portato da casa, siamo andati incontro all’amico. Devo confessare che ci siamo fatti attendere un poco, sia per la lenta colazione e sia per la mia imperizia di quei luoghi non coadiuvata da un navigatore satellitare. Vista la nostra titubanza, Roberto è salito in macchina per incontrarci a metà strada, in uno dei tanti svincoli della super strada che da Perugia porta a Roma.

Ci siamo rivisti, dopo così tanto tempo, in quel luogo per me fuori mano, in cui ero giunto guidando in maniera alquanto impacciata, quasi che la concitazione del momento mi avesse tolto lucidità e prontezza nei riflessi. L’affabilità di mia moglie è però servita a stemperare l’emozione del momento favorendo in me un atteggiamento più tranquillo e sereno. Dopo una breve chiacchierata, siamo risaliti in auto per tornare al paese di Roberto dove lui ha avuto modo di presentarci i genitori. La madre ci ha fatto assaggiare la sua torta salata accompagnandola con salumi.

Prima di andarcene, la mamma di Roberto ci ha donato con orgoglio una copia del diario di guerra di suo padre, fatto pubblicare di recente. Durante il viaggio di ritorno, Maria Luisa ebbe poi modo di leggerlo dall’inizio alla fine per me a voce alta. I ricordi di guerra del nonno dell’ amico sono stati una piacevole compagnia ed hanno reso più sopportabili i lunghi rallentamenti del rientro.

Ma torniamo al Sabato di Pasqua. Dopo una rapida visita al paese di Roberto, ricco di scorci e vedute caratteristiche, fra torri e vicoli del borgo, siamo andati a pranzo insieme. Prima di sederci a tavola ho voluto chiamare al telefono anche il commilitone Giancarlo per riunirci, almeno virtualmente. E’ stato bello scambiarci gli auguri e comunicare le sensazioni del nostro incontro a tre.

Causa seconda colazione effettuata a casa di Roberto, l’appetito non era eccessivo. Nonostante questo, siamo riusciti ugualmente ad assaggiare qualcosa di particolare e tipico di quei luoghi. Al termine del pranzo, nonostante la mia insistenza, non sono riuscito a saldare il conto. Roberto mi ha completamente disarmato dicendo che in quel posto si trovava fra amici e non sarei di certo riuscito a pagare, neanche volendo.

La giornata non era delle migliori, meteorologicamente parlando. Sotto un cielo completamente coperto di grigio, che a tratti lasciava andare qualche goccia d’acqua, ci siamo diretti nel pomeriggio verso Todi. Abbiamo percorso una strada dell’entroterra che ci ha permesso di gustare in pienezza il caratteristico paesaggio umbro. Roberto si è generosamente prodigato per noi, facendoci da guida fino al tardo pomeriggio. Ritornati poi in albergo ad Assisi, nello scendere dall’auto, mi sono accorto di avere ancora a bordo il suo ombrello.

L’ho subito richiamato al telefono ed informato della cosa. Mi ha risposto che non dovevo preoccuparmi perché tanto l’ombrello non valeva la pena del viaggio che avrei dovuto fare per riportarglielo. Potevo tenermelo come pegno, affinché venisse lui a trovarci. Il giorno di Pasqua però mi sono svegliato con una sensazione di disagio per non essere riuscito ad offrire nulla all’amico, neppure le bibite al bar che ci siamo prese poco prima di riaccompagnarlo a casa.

Allora gli ho telefonato e gli ho detto che, con un cambio di programma, l’indomani saremmo ripassati dalle sue parti, proseguendo poi per Orvieto dove Maria Luisa non era mai stata. Gli ho anche detto che lui, se ne avrà voglia, verrà a trovarci per amicizia e non per riprendersi il suo ombrello. Così come per amicizia, e non solo per riportare qualcosa che era suo, noi siamo tornati da lui il lunedì di Pasqua. Un ultimo abbraccio e qualche fotografia in compagnia anche della sempre sorridente madre. Nel congedarci, ho rinnovato l’invito di venirci a trovare, quando avrà modo di passare dalle nostre parti, e concedermi così di ricambiare la sua generosa ospitalità.

Ancora oggi, Maria Luisa ed io fatichiamo a scrollarci di dosso le piacevoli sensazioni di serenità e di pace di cui abbiamo fatto esperienza in questa breve vacanza.

giovedì 28 aprile 2011

Buon compleanno Ale



Poco fa, mentre ancora eravamo a cena, ti ho confidato il proposito di scrivere qualcosa sul mio blog per celebrare il tuo compleanno. Mi hai detto che  non lo leggerai perché altrimenti ti saresti commossa. Ho aggiunto allora che non avrei scritto nulla di commovente, ma tu hai insistito nel dire che ti saresti commossa ugualmente.

Vorrei scrivere di come diciotto anni fa (ed un paio di giorni), io e tua madre siamo corsi in ospedale che ancora era buio, quel lunedì mattina. Credevamo che fosse ormai giunto il momento di darti alla luce, visto che le contrazioni erano diventate regolari e ad intervalli di cinque minuti. Ma poi tutto si è fermato e ti sei fatta attendere.

Vorrei scrivere di come sei venuta al mondo la sera di quel mercoledì, intorno alle ventidue. La luna aveva favorito la nascita di tanti bambini ed ora toccava anche a te. Il personale del reparto di ostetricia era deciso a farti uscire dalla pancia della mamma perché il tempo era ormai scaduto.

Vorrei scrivere di come l'ostetrica ha esclamato come eri bella appena portata alla luce. Ed era vero. Avevi un visino così soave che non ci si poteva trattenere dal farti un complimento. Una delle infermiere m'invitò a prenderti in braccio, ma io desistetti. Avevo quasi paura di romperti, così fragile e delicata. Avrei avuto tante occasioni di stringerti fra le mie braccia quando saremmo stati a casa e, con questa scusa, lasciai che fosse la mamma a stringerti stretta a sé.

Vorrei scrivere di come ti cullavo sorreggendoti su un braccio solo, quelle notti lassù in montagna nella casa dei nonni, quando tu non ne avevi voglia di prender sonno. Ora non avevo più timore di stringerti a me e cercavo, con il mio andirivieni lungo la camera da letto, di cullarti quel tanto che bastava per farti assopire.

Vorrei scrivere di come mi sono sentito impotente quando la mamma è morta. Tu piangevi piano e sconsolata dicevi che se ci fossimo accorti prima della sua malattia, lei ci sarebbe ancora. Cosa potevo risponderti? Le mie parole devono esserti parse quasi un rimprovero per il tuo lamento.

Vorrei scrivere di come sei diventata grande senza aver modo di pronunciare la parola più bella del mondo. Mi sentivo in colpa, perché io invece la madre ancora l'avevo.

Vorrei scrivere di come sei cresciuta brava e responsabile tanto da farmi pensare che tu non sia diventata maggiorenne oggi ma diversi mesi fa.

Vorrei scrivere tutte queste ed altre cose ancora, ma preferisco fermarmi qui e guardare avanti per cercare d'immaginare i buoni frutti che nasceranno da questo bellissimo fiore che sei tu.

Buon compleanno Ale.

sabato 16 aprile 2011

La vita vera


L'espressione «vita eterna» non significa - come pensa forse immediatamente il lettore moderno - la vita che viene dopo la morte, mentre la vita attuale è appunto passeggera e non una vita eterna. «Vita eterna» significa la vita stessa, la vita vera, che può essere vissuta anche nel tempo e che poi non viene più contestata dalla morte fisica. E' ciò che interessa: abbracciare già fin d'ora «la vita», la vita vera, che non può più essere distrutta da niente e da nessuno.

Questo significato di «vita eterna» appare in modo molto chiaro nel capitolo sulla risurrezione di Lazzaro: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11,25s).

Joseph Ratzinger
BENEDETTO XVI

GESÙ DI NAZARET
Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione

LIBRERIA EDITRICE VATICANA

sabato 9 aprile 2011

Passato che ritorna





Ci sono cose che attraversano la nostra esistenza e se ne vanno per sempre e noi non facciamo altro che rimpiangerle per tutto il tempo. Ve ne sono altre, a cui non diamo molta importanza, ma che ci accompagnano per tutto il fluire dei nostri giorni. Talvolta capita che la ciclicità della vita ci offra modo di ripercorrere alcune strade che avevamo solcato in gioventù e le cui coordinate ritenevamo ormai smarrite per sempre.

Che io lavori al computer da parecchi anni ormai è cosa risaputa, dato che ne ho parlato anche su queste pagine. Qualche volta sono assalito da crisi salutari e vorrei rigettare questo mio bagaglio di esperienze per dedicarmi ad altro. A qualcosa, insomma, che mi faccia sentire più felice come - credo io - aver a che fare più direttamente con le persone invece di perdere tempo a tamburellare le dita su una macchina. Poi penso che è forse l'unica cosa che in tutti questi anni ho imparato a fare abbastanza decentemente e, nonostante lo stress per periodi di eccessivo affaticamento, mi faccio vincere dalla pigrizia, o dal buon senso, e mi mantengo nel proposito di non lasciare il certo per l'incerto. E poi chi l'ha detto che fare bene e con qualità il proprio lavoro non sia in qualche modo una forma di attenzione all'altro? E con questo argomentare mi auto-assolvo.

Ci sto un po' girando intorno, come di solito mi piace fare, abbracciando così anche altri pensieri collaterali che scaturiscono spontanei ed ugualmente val la pena di esprimere come concetti a se stanti. Si parte in direzione di una meta prefissata, ma poi lungo il sentiero siamo distolti ed attirati lungo un diverso itinerario. A volte va bene e ci viene fornita l'occasione di vedere cose nuove che ci riempiono il cuore, altre volte le digressioni si rivelano un flop e ci dispiace per la scelta scadente che abbiamo effettuato.

Da quando c'è Google, nei ritagli di tempo, ne approfitto per cercare link a questa o quella cosa. Mentre si è intenti al proprio lavoro, se questo non assorbe completamente la nostra testa, ci può capitare di frugare fra le pieghe della nostra mente e riandare indietro nel tempo, rinfrescando un po' la nostra memoria a lungo termine. Orbene, mi è capitato di sfruttare i vari motori di ricerca web nel tentativo vano di trovare qualche riferimento agli amici con cui, poco più che ventenne, ho condiviso il servizio di leva. Periodicamente mi capitava d'inserire il loro nome nella ben nota casella d'input, ma non sono mai riuscito a trovare nulla di significativo. Mai, fino a dicembre dello scorso anno.

Quasi incredulo, per la prima volta, mi veniva dato responso per l'amico Giancarlo. Un numero di telefono associato ad un indirizzo di Torino. Poteva trattarsi di lui oppure di un omonimo. Sapevo che abitava in provincia di Asti perché assieme a Luca ero stato a trovarlo qualche mese dopo il nostro congedo. In quegli anni in cui diversi di noi si sentivano attratti verso la programmazione, lui si era iscritto alla facoltà di Informatica nel capoluogo piemontese. Forse, col passare del tempo o per ragioni di lavoro, poteva aver stabilito là il luogo della sua attuale residenza.

Impulsivamente, come spesso mi capita di fare, non ci ho pensato su due volte ed ho preso in mano il telefono per chiamare Giancarlo. Mi risponde un ragazzino che è rimasto a casa da solo mentre i genitori sono usciti per compere nel periodo ormai natalizio. Mi viene qualche scrupolo di non infastidire questo adolescente che sta sentendo dall'altro capo la voce di uno sconosciuto. Cerco di capire se il padre è proprio quel Giancarlo che nel lontano 1983 ha indossato la divisa assieme a me e con cui ho trascorso a Verona gli ultimi 8 mesi del periodo di ferma obbligatoria. Cerco di tirar fuori dal cassetto dei ricordi tutto quanto può essere utile ad identificarlo con precisione. Su alcune cose imprecise il figlio mi corregge prontamente, ma alla fine penso di aver fatto centro e lascio detto che avrei richiamato più tardi verso l'ora di cena.

Così è stato. Dopo l'iniziale imbarazzo per un contatto che mancava da quasi trent'anni, la comunicazione fra noi è divenuta via via più naturale e velocemente ci siamo fatti un riassunto delle precedenti puntate perse. Alla fine del colloquio, lo scambio di un indirizzo email sanciva la volontà di tenerci in contatto.

Con un po' d'insistenza e di spontanea passione per la ricerca, sono riuscito in seguito a reperire i numeri anche di Luca e Roberto. Con quest'ultimo sono stato addirittura colto in contropiede in quanto con lui, vuoi anche per la distanza geografica dei nostri luoghi d'origine, mi sembrava di avere meno sintonia rispetto agli altri. Quando c'è stato modo di scambiarci il nostro numero di telefono, lui per primo ha provato a chiamarmi, ma io stavo ancora tornando dal lavoro e la telefonata l'ha presa mia figlia. Appena a casa l'ho richiamato e con gioia ho appreso che per tutti questi anni aveva continuato a portare nel cuore il ricordo del nostro quartetto.

Ho risentito Roberto settimana scorsa. Tempo fa gli avevo mandato un SMS in cui dicevo che assieme a Maria Luisa avevamo prenotato un soggiorno ad Assisi. Ora voleva conoscere le date del nostro arrivo in Umbria perché lui, perugino DOC, ha in animo di mostrarci qualche luogo caratteristico della sua terra. In conclusione non vi nascondo che sono abbastanza ansioso di passare qualche ora in allegria assieme a lui e, se ci sarà concesso, di mettere le nostre gambe sotto ad una buona tavola.

giovedì 17 marzo 2011

Passato che non torna


Ronchi e "Licenzini"

Estesi fino all'ex monastero di San Gottardo, i Ronchi costituiscono l'area pedemontana del Monte Maddalena. L'etimologia della parola, apparsa per la prima volta nelle cronache cittadine del Quattrocento, deriva dal latino "uncare" indicando, con ciò, il dissodamento d'un terreno sterile per porvi colture, soprattutto vigneti.

Il vocabolo, spesso associato al nome della famiglia "roncara", che vi risiedeva e lavorava, fu poi esteso all'annessa casa colonica. Quest'ultima, in origine, presentava un porticato a tre arcate sormontato da una loggetta. Successivamente il portico fu trasformato in veranda, chiudendo gli archi con delle vetrate, per riporre le piante di limone e glicine al riparo dal rigido clima invernale. Al piano terra v'erano la cucina, il deposito dei prodotti orticoli, le stalle ed uno spazio per lo strame. In quello superiore si trovavano le camere da letto ed il fienile.

Oggi i ronchi originari non esistono più, sostituiti da belle ville con giardini. Solo qualche coltivo terrazzato ed alcuni piccoli vigneti sono ciò che rimane di un passato ormai lontano.

Oltre a case coloniche, terreni coltivati, chiesette e piccoli cenobi, nella zona dei Ronchi esistevano anche numerosi "licenzini". Se il roncaro produceva vino in misura superiore al consumo famigliare, tramite una particolare licenza di vendita commercializzava il sovrappiù direttamente al consumatore, adattando parte della propria abitazione ad osteria. Per i bresciani dell'epoca era quasi obbligo frequentare questi ritrovi conviviali ove gustare un buon bicchiere di vino, accompagnato da saporite salamelle ai ferri, formaggi nostrani e fresche insalate. La recente chiusura dell'ultimo "licenzino" ha posto fine anche a questa tradizionale consuetudine.

Paolo Maroli
Il Sentiero 3V
- Nelle Prealpi Bresciane lungo l'Alta Via della Val Trompia -
NORDPRESS


domenica 13 febbraio 2011

Uno sguardo a domani


Ero già andato a letto dopo una tranquilla serata passata davanti alla TV in compagnia di mia moglie. Ma il sonno questa sera tardava un poco a venire. Vorrei dormire, recuperare le ore di riposo che mi sono mancate durante la settimana, perché gli impegni sono tanti e perché al mattino c'è bisogno di alzarsi presto per andare al lavoro.

Però non volevo continuare a rigirarmi inutilmente e così, per non disturbare Maria Luisa, sono uscito dalla camera. Scendo un attimo in strada per incontrare la notte e vedere cosa mi perdo ogni fine settimana trascorso al ritmo di chi lascia che sia domani, e non adesso, la parte migliore della propria vita.

Ho appena girato l'angolo di casa che subito mi si affianca un tale. Nel buio fatico a vedere bene in faccia se si tratta di una persona amica oppure se cela per me qualche insidia. Quasi un brivido di paura. Faccio finta di niente e proseguo per la mia strada, sperando che anche lui se ne vada per la sua. Ma cosa dovrei temere? Perché sento quella presenza come una minaccia?

All'improvviso bisbiglia qualcosa. Forse mi sbaglio, non sta parlando con me. E' un refolo di vento in questo febbraio stranamente primaverile. Quel sibilo l'ho scambiato per una voce, un lamento. Ma poi di nuovo ancora una domanda, ora chiara, m'interroga nella notte. "Ehi, dico a te. Vuoi dare un'occhiata più avanti?"

Non so dove la voglia mi stia portando. Quasi senza meta gironzolo per le strade del quartiere. Cosa mai potrei desiderare di vedere più in là nella via? Certo che a quest'ora ci sono in giro persone veramente singolari. Perché non me ne sono rimasto a letto. Di sicuro a quest'ora dormirei già.

"Dico a te, non sto scherzando", riprende ancora quel tale con una certa insistenza. Ma quelle parole cominciano ad instillare in me un poco di fiducia: non sembrano ostili. "Dice a me?", rispondo con aria distratta, quasi non avessi capito bene la domanda. "Sì, se vuoi, posso farti dare un'occhiata in avanti per vedere le cose che devono ancora succedere".

Santo cielo... Cosa si è fumato costui sulle panchine del parco, penso fra me, e mi vien voglia di allungare il passo per levarmelo di torno. Guadagno in fretta la via di casa e salgo le scale senza far rumore. L'unico visionario stralunato, questa notte, l'ho incontrato io. Eppoi avrei voluto vedere, se gli avessi dato retta, che cosa sarebbe stato in grado di mostrarmi realmente. Il futuro non si può conoscere in anticipo. Tutto sommato è meglio così perché, forse, la visione non risulterebbe totalmente di nostro gradimento.

Dicono che a dicembre dell'anno prossimo verrà la fine del mondo. Ci scherziamo sopra, ma sotto sotto credo che siamo un po' curiosi di sapere cosa succederà. Magari niente, come per il bug dell'anno 2000. E se invece arrivasse davvero la fine del mondo? Non qualcosa di catastrofico, come immaginano alcuni. Qualcosa di bello come nessuno osa sperare realmente in fondo al proprio cuore. La fine, insomma, di ogni ingiustizia e sopruso. Una nuova stagione in cui, finalmente deposte le armi, si possa vivere per sempre in pace.

Penso che, se così deve essere, qualche segno si possa scorgere ancora prima di quella data. Gettiamo lo sguardo lontano, ben oltre i litigi di Palazzo che sono per noi un'inutile distrazione. Riuscite a vedere anche voi che la gente si muove e va tutta nella direzione sperata?

domenica 6 febbraio 2011

Esiste il diavolo?


Verso fine novembre 2010 ho trascorso un fine settimana in Toscana con alcuni amici ex-colleghi di lavoro. Ne avevo già dato notizia nel breve post consultabile qui: http://piccola-anima.blogspot.com/2010/12/gita-gmb-2010.html. Nel Museo dell'Opera del Duomo di Pisa abbiamo avuto modo di fotografare, rigorosamente senza flash, alcune stampe che riproducono gli affreschi del cimitero (Campo santo monumentale) ormai danneggiati in modo gravissimo in seguito al bombardamento alleato di fine luglio 1944. In uno di questi disegni è raffigurato il diavolo intento a divorare e ad infliggere terribili supplizi ai dannati. Quest'immagine ha subito evocato in me il ricordo del giudizio universale dipinto da Giotto per la cappella degli Scrovegni. Sono andato a rivedermelo in una delle numerose fotografie presenti on-line. Ho così scoperto che esistono sul web anche visite virtuali che ci consentono di ammirare quest'opera con maggiore calma rispetto ai pochi minuti che sono concessi al visitatore per la sosta nel piccolo locale della cappella.


Confrontando le immagini si possono scorgere numerose similitudini e differenze che caratterizzano queste due opere pittoriche.In entrambe inconfutabilmente emerge sovrastante ed inquietante la figura del diavolo che fa strage del genere umano.

Ora però il mio intento non è quello di tenere una lezione di storia dell'arte e neppure una dissertazione teologica sugli argomenti toccati da questi dipinti. Sicuramente non ne sarei all'altezza, data la mia scarsa preparazione in materia e, per così dire, visto che la mia ignoranza spazia in tutti i campi. Quello che intendo fare è di porre a me stesso una semplice domanda. Esiste il diavolo?

C'ho pensato su un po' e poi sono giunto alla conclusione che il diavolo non esiste. Al di là di tutta l'iconografia classica che ha rappresentato il diavolo in varie forme animalesche con tanto di corna e coda, non credo che esista un essere malvagio perennemente in lotta con Dio per condurci al male e sviarci da quel percorso di santità a cui noi tutti siamo chiamati.

Il male certamente esiste, ma non proviene dall'esterno a contaminare l'uomo. Nasce invece dentro di lui e ne esce manifestandosi in tanti modi diversi, ma caratterizzati tutti da un unico denominatore: il rifiuto di Dio.


sabato 15 gennaio 2011

Il lungo inverno


<< Quest'inverno non finisce mai! >> Così affermiamo sovente, con sentimento di stizza, quando, invece dell'atteso tepore primaverile ingentilito da una luce nuova, assaporiamo giornate ancora fredde, umide, tristemente buie per via di nuvole che gravano su di noi come una cappa oscura. Nei vecchi poi questa lamentela assume un tono quasi ossessivo: vedono l'inverno come una stagione brutta perché li costringe a restare in casa, uscendo solo se strettamente necessario, una stagione di cui si temono i tipici << malanni >>, percepiti come uno scalino da scendere inesorabilmente. Con la sua scarsa luce, che tarda a giungere al mattino per sparire già nel primo pomeriggio, l'inverno incupisce l'umore e sui vecchi ha a volte addirittura l'effetto di renderli un po' curvi, rinserrati nelle spalle, con un passo che sembra sempre una fuga.

Non a caso, allora, nel cuore dell'inverno si cerca di moltiplicare le occasioni per far festa: Natale, l'anno nuovo, l'Epifania, il carnevale... quasi si volesse combattere contro una quotidianità dura, faticosa un po' triste. E poiché scarseggia la luce naturale si moltiplicano le << luci >> create dagli uomini: si illuminano le vie di città e paesi, si accendono gli alberi che paiono o morti denudati di foglie o dormienti nel loro letargo sempreverde.
(...)

Ma l'inverno è anche una stagione prodiga di insegnamenti, se solo lo si vuole ascoltare: è sufficiente pensare che tutto ciò che appare come una morte è in realtà un riposo, un modo diverso di operare, carico di attesa.
(...)

A volte l'inverno diventa una metafora della nostra vita: una stagione che sembra non finire mai, ora nebbiosa, ora uggiosa, privata della speranza di un nuovo slancio, a volte addirittura prossima alla morte. Sì, l'inverno può anche essere dentro di noi e talora riusciamo a dirlo a noi stessi e agli altri.
(...)

Da parte mia, avvicinandomi ai settant'anni, l'aspetto dell'inverno che vivo con più costanza fin dalla mia infanzia è il camino, quella straordinaria nicchia che già regnava nella cucina della mia casa di paese e che regna ancora nella mia cella di monaco.
(...)

Confesso che nella mia vita stare accanto al camino acceso verso sera, all'ora del tramonto, è una delle gioie più grandi che mi è stato dato di vivere. Quando sono solo, mi addolcisce e mi aiuta a pensare in modo pacato e lucido; assieme ad altri mi offre in dono poche parole, dense di rara capacità comunicativa.
(...)

Giunta la notte, poi, prima di andare a letto, si prende congedo dal camino con un rito che è quasi una compieta laica, il <<coprifuoco>>: si seppelliscono le braci sotto la cenere, con la cura ricca di speranza con cui si seppellisce un seme. E' un gesto di fede: domani ci sarà ancora fuoco, un fuoco che si riaccenderà nel camino per ardere ancora nel cuore.

ENZO BIANCHI
OGNI COSA ALLA SUA STAGIONE
EINAUDI