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domenica 28 dicembre 2014

L'unità di bocca

«Qual è l'unità di Bocca?» domandò a Tomàs, mentre lo aiutava a togliersi la cuffia.
«L'unità di Bocca? Una bocca!» rispose lui, stupito.
«E l'unità di Occhi?»
«Un occhio.»
Il Medico delle Acque disapprovò.
«Una bocca funziona da sola, ma un occhio da solo manca di profondità.»
«L'unità di Occhi è due occhi, allora.»
«E l'unità di Uomo?»
«Un uomo. Come la bocca, funziona da solo.»
«No. Da solo non crea nulla. L'unità di Uomo è la coppia», strillò Morena, scuotendosi dal torpore. «Sei stato proprio tu a suggerirmelo, Tomàs, mentre nuotavamo nella vasca.»
Noah sorrise compiaciuto.
«Chi si sposa solo con se stesso prima o poi divorzia.»
L'amore umano, aggiunse, non è la semplice somma di due Io. E' una creatura autonoma, il cui nome è Noi. Se la coppia costruisce progetti, non conoscerà le rughe del tempo perché il maschio e la femmina non saranno più due, ma una cosa unica.
«Ma come possiamo comprimere il desiderio di nuove emozioni?» domandò Tomàs, mentre uscivano dall'acqua e indossavano nuovi accappatoi ancora più leggeri.
«Il desiderio non si comprime. Si supera, in nome del progetto», rispose il Medico delle Acque.
«E' vero», aggiunse Morena con voce sognante. «L'amore dura finché si continua a sognare insieme. Anche in modo diverso, ma comune.»
Tomàs si accorse che l'odore di lei gli era rimasto addosso. Il suo progetto, al momento, era di non lasciarlo svanire troppo in fretta.

MASSIMO GRAMELLINI
L'ULTIMA RIGA DELLE FAVOLE
TEA


Il piacere delle piccole cose

Ho dovuto cedere ad Alessandra l'angolo comodo del divano dove mi piace rannicchiarmi e lasciarmi coccolare dai miei pensieri. Non importa, va ugualmente bene anche la sua scrivania lasciata libera. Il piacere di vivere più sovente deriva da uno stato mentale che da un luogo oppure da una posizione.

E' bello sentirsi riconciliati con Dio e con il mondo intero, nonostante i nostri limiti e le nostre asperità di carattere. Forse l'occasione può essere propizia per stilare una sorta di bilancio al termine di un altro faticoso anno. Se la difficoltà non è propriamente la nostra, ugualmente abbiamo patito ed ancora proviamo pena per la quotidiana fatica di altri che per un attimo incrociano la nostra esistenza.

Negli ultimi giorni sono rimasto un po' più silenzioso del mio solito. Non m'è venuta voglia di fuggire, di scappare lontano. Ho provato ad esserci, a stare con chi ne aveva bisogno. Non sono sicuro di essere riuscito a portare gioia dove c'era tristezza, allegria dove trovava spazio il pianto perché anch'io avevo bisogno di consolazione.

Ma se ho avuto il coraggio di lasciarmi andare ad un abbraccio più lungo del solito, ad una carezza più tenera di quanto la mia indole riesce solitamente a dare, allora quella stretta l'ho ricevuta anch'io perché è soltanto donando che si ha e davvero null'altro si ha se non ciò che si dona.

lunedì 8 dicembre 2014

Homo faber

La vita è un patrimonio che riceviamo senza poterlo meritare; ma, una volta ricevuta, diventa compito che ci dobbiamo assumere responsabilmente. Siamo persone intelligenti, consapevoli di noi stesse; abbiamo perciò la libertà di scegliere la nostra strada tra le tante possibili. Naturalmente, dobbiamo tenere conto della realtà in cui ci muoviamo. Il mondo esisteva prima di noi e ha una forma precisa nella quale alcune cose sono possibili, altre no.

Non possiamo partire da zero e non possiamo andare indifferentemente in qualsiasi direzione; alcune possibilità ci sono date e altre negate; alcune scelte ci sono possibili e altre no. E tuttavia, questo non toglie che abbiamo la libertà di fare una cosa od ometterla, di andare in una direzione o in un’altra. Il primo passo decisivo, perciò, è scegliere di ‘vivere’ e di non ‘lasciarsi vivere’.

L’uomo ha bisogno di imprimere il suo ‘logo’ personale su qualche realizzazione sua; la persona che si lascia condurre dalla corrente non ha un logo personale, è solo la risultante delle forze che si muovono attorno a lei.

Per dare un senso alla vita bisogna inevitabilmente porsi la domanda: “Che cosa voglio fare della mia vita? Quali obiettivi intendo raggiungere?”. La risposta a questa domanda è preziosa perché mette ordine nei valori che dirigono le scelte; se so verso dove voglio andare, avrò un criterio prezioso per distinguere quello che è utile (perché contribuisce ad avvicinarmi alla meta) da quello che è nocivo (perché finisce per allontanarmi dalla meta); quello che è più importante da quello che è meno importante. Potrò anche riconoscere la rilevanza di scelte che, sul momento, possono sembrare non necessarie, ma che aprono delle strade nuove per il futuro.

C’è una seconda domanda importante, che specifica la prima: “Che cosa posso fare di bene per gli altri? Per la società degli uomini?”. Debbo ricordarmi, infatti, che la mia esistenza è essenzialmente sociale; si sviluppa in rapporto con gli altri; ha bisogno degli altri e solo insieme con gli altri può cercare di diventare un’esistenza pienamente ‘umana’. Se mi rifiutassi di assumermi la responsabilità degli altri finirei per diventare un parassita, che si nutre della ricchezza di vita della società (cibo, casa, sicurezza, conoscenza, cultura...) ma non intende contribuire a produrre questa ricchezza. Ora, la vita di un parassita può anche sembrare desiderabile perché è una vita che succhia linfa da tutti e non dona nulla a nessuno; ma in realtà è una vita triste, che non riesce a sperimentare e nemmeno a immaginare la gioia di creare, di far vivere, di trasmettere gioia. La gioia umana, infatti, non consiste nell’accumulare molto, ma nel produrre qualcosa di degno con ciò che si possiede.

Carissimi giovani, ho scritto questa lettera con il desiderio – il sogno – di aiutarvi ad amare la vita, ad assumerla personalmente con la vostra intelligenza e col vostro cuore. In tutti questi anni ho camminato in alcuni momenti con lena, in altri con fatica, in altri mi sono trovato dolorosamente fuori strada.

Mi piacerebbe che diventaste migliori di noi, migliori della mia generazione. Sappiate scegliere correttamente i vostri modelli di vita; chiedetevi quanto di verità, di sincerità, di amore, ci sia nei singoli modelli che i mass media ci propongono come persone ‘riuscite’. E scegliete voi il cammino della vostra vita. Camminate insieme: molte cose si vedono solo attraverso gli occhi degli altri; aiutatevi a vicenda, senza gelosia e invidia, a crescere, ad amare, a lavorare per il bene di tutti.

TRATTO DALLA LETTERA AI GIOVANI DI LUCIANO MONARI VESCOVO DI BRESCIA - 8 DICEMBRE 2014


sabato 29 novembre 2014

La bicicletta

Quello che sto per dire credo che sia successo a tanti di noi, anche se magari il ricordo potrà perdersi nella notte dei tempi. Mi riferisco al fatto di aver desiderato una cosa così intensamente e così a lungo da aver reso l'attesa stessa piacevole come il dono che, a tempo debito, avremmo ricevuto.

A me è capitato di sognare da bambino di avere una bicicletta nuova. Diversamente da oggi, allora non si esaudivano i desideri dei figli appena espressi né tanto meno li si preveniva come noi genitori moderni facciamo con i nostri ragazzi, rinunciando così ad un momento estremamente educativo e che forse soltanto il prolungarsi della crisi riuscirà a riportare indietro.

Così poteva capitare che la nostra entusiastica voglia di pedalare espressa nel periodo natalizio trovasse soddisfazione soltanto a fine anno scolastico come premio per una buona promozione. Ma in tutti quei lunghi mesi d'attesa, noi tornavamo spesso a baloccarci con il pensiero di ciò che sarebbe arrivato un giorno e che sembrava alquanto lontano. Ed in questo sogno ricorrente cresceva l'attesa, la voglia, il desiderio a cui solo il mantenimento della promessa poteva dare compimento e soddisfazione piena.

Ho avuto ieri un breve scambio con un collega che asseriva di non aver ancora avuto modo di sentir voglia di Natale, come pronta risposta al mio desiderio di ferie e feste da passare in famiglia. Continuando il discorso aggiungevo che non tantissimi anni fa le pubblicità del panettone cominciavano a comparire già subito dopo l'inizio di novembre ed era ormai forte ed insistente lo sprone per indurre la gente ad acquistare regali.

Purtroppo non è infrequente arrivare alla vigilia di Natale e, non solo sentire di averne perso il senso come sottolineato in tantissimi film americani, ma addirittura di avere completa indifferenza per l'albero da addobbare, il presepe da allestire, i messaggi di auguri da spedire, le cene da imbandire.

Ce lo dice la liturgia, bisogna preparare la via a Colui che sta per arrivare. Aprire la porta a quel Bambinello che è venuto tra noi una volta soltanto, ma che nel ricordo perpetuo, viene a porre la sua tenda fra di noi sempre ogni volta che lo invochiamo e lo desideriamo. Come una bicicletta nuova, dovremmo pensare per tempo a questo grande dono d'amore che ci è stato fatto e che continuamente è per noi, se soltanto abbiamo la voglia di riceverlo.

Vogliamo provare una gioia più profonda ed una felicità più durevole quando saremo riuniti attorno ad una tavola insieme ai nostri amici e famigliari durante il periodo natalizio? Cominciamo fin da ora a desiderarlo intensamente. La serenità non viene dal rimpianto di chi ormai non c'è più o dalle cose che non abbiamo, ma dal bel ricordo dei giorni passati insieme apprezzando chi ancora c'è.


domenica 23 novembre 2014

Purgatorio

Io mi ero già allontanato da quelle anime e seguivo i passi della mia guida, quando dietro a me, drizzando il dito, una di esse gridò: «Vedete che il raggio del sole da sinistra non sembra attraversare quello che segue, che sembra proiettare un'ombra come un vivo!»
Rivolsi lo sguardo al suono di queste parole e vidi quelle anime che meravigliate guardavano me, proprio me, e la luce del sole interrotta dal mio corpo.
Il maestro mi disse: «Perché il tuo animo si lascia distrarre al punto di rallentare il cammino? che t'importa di ciò che si mormora qui?
Seguimi e lascia che la gente parli: sta' come una torre salda, che non ondeggia mai la sua cima per quanto i venti soffino;
infatti, l'uomo in cui un pensiero ne fa nascere un altro allontana da sé la propria meta, perché la forza dell'uno indebolisce quella dell'altro».
Che potevo dire, se non «Ti seguo»? Lo dissi, alquanto cosparso del rossore che talvolta fa l'uomo degno di esser perdonato.
E intanto, su un ripiano roccioso che tagliava il monte trasversalmente, venivano verso di noi delle anime poco lontane, che cantavano il Salmo 'Miserere' a versetti alternati.
Quando videro che io, col mio corpo, non permettevo ai raggi del sole di passare, mutarono il loro canto in un «oh!» lungo e fioco;
e due loro, in qualità di messaggeri, corsero verso di noi e ci chiesero: «Informateci della vostra condizione».
E il mio maestro: «Voi potete tornare indietro e riferire a quelli che vi hanno mandati qui che il corpo di costui è in carne e ossa.
Se essi, come penso, si sono fermati per aver visto la sua ombra, vi ho detto abbastanza: lo accolgano cortesemente e ciò potrà tornare loro utile».
Io non ho mai visto stelle cadenti fendere il cielo all'inizio della notte, né lampi squarciare le nuvole d'agosto al calar del sole, tanto rapidamente quanto quelle anime tornarono in alto; e arrivate là, corsero verso di noi con le altre come una schiera sfrenata.
Virgilio disse: «Questa gente che si accalca intorno a noi è molta, ed essi vengono a pregarti: perciò continua a camminare e ascolta mentre procedi».
Essi venivano gridando: «O anima che vai per essere felice, con quel corpo col quale sei nato, rallenta un poco il passo.
Guarda se hai mai visto qualcuno di noi nel mondo, così che tu possa portare sue notizie sulla Terra: suvvia, perché continui a camminare? Suvvia, perché non ti fermi?
Noi tutti siamo stati uccisi violentemente e siamo stati peccatori fino all'ultima ora; in punto di morte una luce del cielo ci illuminò la mente, cosicché, pentendoci e perdonando, uscimmo fuori dalla vita in grazia di Dio, il quale ci strugge nel desiderio di vederlo».
E io: «Per quanto io guardi i vostri volti, non ne riconosco nessuno; ma se voi volete qualcosa che sia in mio potere, spiriti fortunati, ditelo e io lo farò, in nome di quella pace che io, seguendo i passi di questa guida, cerco nei regni dell'Oltretomba».
E uno iniziò: «Ciascuno si fida della tua promessa senza bisogno di giuramenti, purché l'impossibilità (nonpossa) non impedisca la tua volontà.
Perciò io, che parlo da solo davanti agli altri, ti prego, se mai andrai in quel paese (la Marca Anconetana) che sta tra la Romagna e il regno di Carlo d'Angiò, che tu preghi i miei congiunti a Fano, così che essi preghino per me e mi permettano di espiare le mie colpe.
Io ero originario di Fano, ma le profonde ferite da cui uscì il sangue nel quale risiedeva la mia anima, mi furono inferte nel territorio di Padova,
là dove credevo di essere al sicuro: artefice di questo fu Azzo VIII d'Este, che mi odiava assai più di quanto avesse ragione.
Ma se io fossi fuggito verso il borgo della Mira, quando fui raggiunto dai miei sicari ad Oriago, sarei ancora nel mondo dei vivi.
Invece corsi verso la palude, e le canne e il fango mi impacciarono al punto che caddi; e lì vidi il sangue che mi usciva dalle vene e formava un lago al suolo».
Poi un altro disse: «Orsù, ti auguro che si realizzi quel desiderio che si spinge su per l'alto monte; tu con buona pietà aiuta il mio!
Io fui uno di Montefeltro e mi chiamo Bonconte; né la mia vedova Giovanna né gli altri miei congiunti si curano di me, per cui io mi vergogno fra queste anime».
E io a lui: «Quale forza o caso fortuito ti trascinò fuori da Campaldino, così che il tuo corpo non fu mai ritrovato?»
Lui rispose: «Oh! Ai piedi del Casentino scorre un torrente chiamato Archiano, che nasce in Appennino presso l'Eremo di Camaldoli.
Nel punto dove si getta in Arno e perde il suo nome, arrivai io con la gola trafitta, fuggendo a piedi e insanguinando la pianura.
Qui persi la vista e la parola; morii pronunciando il nome di Maria e caddi, e rimase solo il mio corpo.
Ora ti dirò la verità e tu riferiscila ai vivi: l'angelo di Dio mi prese, e quello d'Inferno gridava: "O tu del cielo, perché mi togli ciò che mi spetta?
Tu porti via la parte eterna (l'anima) di costui per una lacrimetta che me la toglie; ma io riserverò ben altro trattamento al corpo!".
Tu sai bene come nell'atmosfera si raccolga quel vapore umido che ridiventa acqua, non appena sale dove è più freddo.
Quel diavolo unì la sua volontà malvagia, che cerca solo il male, con l'intelletto, e mosse il fumo e il vento grazie al potere che la natura gli ha concesso.
Poi, appena calò il sole, coprì di nebbia tutta la pianura da Pratomagno fino alle alte vette dell'Appennino; e rese il cielo soprastante gonfio di umidità, tanto che questa si trasformò in pioggia; essa cadde e ciò che la terra non riuscì ad assorbire riempì i fossati;
e quando confluì ai corsi d'acqua, si riversò verso l'Arno tanto velocemente che nulla poté arrestarla.
L'Archiano rapinoso trovò il mio corpo morto sulla foce e lo spinse nell'Arno, sciogliendo la croce che avevo fatto sul mio petto con le braccia quando fui giunto alla fine; mi fece rotolare per le rive e sul fondale, poi mi seppellì coi detriti che aveva trascinato».
«Orsù, quando sarai tornato sulla Terra e avrai riposato per il lungo cammino», proseguì un terzo spirito dopo il secondo, «ricordati di me, che sono Pia (de' Tolomei); nacqui a Siena e fui uccisa in Maremma; lo sa bene colui che, dopo avermi chiesto in sposa, mi aveva dato l'anello nuziale».


Tratto da http://divinacommedia.weebly.com/

sabato 18 ottobre 2014

Il piacere di scrivere

Mi ritaglio un attimo di tempo e mi siedo comodo in quest'angolo. Fuori c'è bel sole, ancora caldo, stranamente gradevole la temperatura in questi giorni, quasi un recupero dell'estate che non abbiamo avuto. Chissà quanto durerà? Eppure basterebbe navigare un po' e la risposta, approssimativa o meno, arriverebbe con facilità. Ma non ora. Adesso voglio restarmene qui ancora un po' e lasciarmi andare al piacere di scrivere.

E' capitato che mi sia messo a tamburellare sulla tastiera del PC con alto senso del dovere. Con l'intento di compiere un servizio agli altri e di rimuginare poi fra me e me pensando che forse lo sforzo non altro effetto aveva sortito che di servire a me stesso. Ora, con il proponimento di scrivere per me soltanto, magari potrò in qualche modo arrecare diletto ad altri.

Alzi la mano chi non ha fatto ieri un fugace pensiero alla cattiva sorte trattandosi di venerdì 17. Santina sosteneva che venerdì 17 era un giorno fortunato perché due occorrenze negative (17 e venerdì) si annullano a vicenda e quindi quel giorno non doveva portare più sfortuna di altri. Eppure, quando ieri sera ho ricevuto la telefonata di Maria Luisa che mi annunciava di essere ferma in autostrada causa guasto all'auto, non ho potuto fare a meno di pensare alla data.

Dopo qualche istante di panico in cui nella concitazione del momento faticavo nel reperire su internet il numero di un carro attrezzi, mi sono imposto di stare calmo avendo patito qualche anno fa la medesima sgradita esperienza. Trovato finalmente il numero dell'ACI (803 116 Segnatevelo!) mi rivestivo e partivo in direzione di Cremona per andare a prenderla.

Neanche a farlo apposta, appena entrato in tangenziale sud, finisco irrimediabilmente bloccato in una coda sorprendente a dir poco. Accidenti a me che non ho voluto imboccare l'autostrada al casello di Brescia ovest preferendo quello usuale di Brescia centro. Non solo eravamo fermi sulle tre corsie, ma ormai si stava saturando anche la corsia di emergenza che non dovrebbe essere occupata e per cui mi risulta ci sia pure il rischio di perdere 10 punti della patente.

In tanti avranno fatto il pensiero di uscire al primo svincolo. Santina anche in questa circostanza aveva una sua sentenza. Che sono tutti scemi quelli che si mettono per bene in coda, mentre i furbi ti sfilano a fianco? Ma dovevo mantenermi calmo perché non c'era granché da fare se non pazientare. Eppoi Maria Luisa mi stava tenendo aggiornato via cellulare ed il carro attrezzi non sarebbe arrivato per un'altra mezz'ora ancora.

Nei pressi dell'uscita per San Zeno decido di deviare il senso di marcia anch'io. Per il casello autostradale non manca molto, ma se giro la rotonda sottostante e torno indietro, riesco di sicuro a fare prima. Questo il mio pensiero. Ma mentre percorro la rotatoria, mi coglie il dubbio di cadere dalla padella nella brace. Ed allora proseguo di oltre trecentosessanta gradi e lascio la città in direzione di San Zeno preceduto da pochi altri accorti automobilisti.

Il mio intento è quello di imboccare l'autostrada al casello di Brescia sud. Sto seguendo un itinerario per me nuovo, ma non c'è bisogno di navigatore. Il senso dell'orientamento non mi manca e so per certo che fra non molto dovrei incrociare la cosiddetta "corda molle", la tangenziale che poi va a buttarsi nella Brebemi.

Intanto il carro attrezzi è arrivato e mia moglie ha già fatto i piani con l'autista. Usciranno e rientreranno a Pontevico per tornare a Cremona. Mi aspetteranno poco fuori dal casello autostradale, in uno spiazzo a me noto, per fare il trasbordo di borse, borsine e borsone che stava portando a Brescia. E così avviene. Faccio pure in tempo ad aprire il cofano del motore per tentare di capire se si tratti di un guaio grosso (rottura della cinghia, ma il chilometraggio non lo giustificherebbe) oppure di un guaio piccolo, come la rottura della pompa della benzina. E' probabile che si tratti di quest'ultimo, visti gli strattonamenti saltuari dei giorni scorsi.

Sbrigate le formalità burocratiche e pecuniarie, lasciamo che il carro attrezzi se ne vada con l'auto. Domani, compreso nel prezzo, la porterà presso l'officina per la riparazione. Noi saliamo in auto e rientriamo in autostrada alla volta di Brescia. Questa volta con velocità di marcia molto più blanda e distante dal limite imposto dal codice della strada. Ho Maria Luisa con me. Chi ha più fretta di andare dove?

Dopo qualche istante le accenno alla questione del venerdì 17. Lei mi dice che ne aveva parlato in mattinata a lezione con i suoi studenti invitandoli a non dare peso all'occorrenza. Uno o una di loro, non ricordo, aveva sentenziato che bisognava attendere almeno fino a sera per un giudizio complessivo riguardo alla fortuna o sfortuna di quel giorno.

Le cose non sono mai come paiono. Tutto sommato, tranne l'auto, non c'è stato nient'altro di rotto e forse il guaio meccanico non sarà neppure così rilevante. Voi cosa dite? Due negativi si annullano a vicenda?


sabato 20 settembre 2014

Parliamo di crisi

In questi giorni non si fa altro che un gran parlare di crisi ed è quindi forte per me la tentazione di entrare maldestramente nel dibattito e dire anch'io la mia. Le opinioni che esprimo sono certamente personalissime e non hanno la pretesa né di costituire novità assoluta, né di dare un contributo risolutivo alla situazione di stagnazione in cui l'Italia sembra impantanata.

Qualche mese fa è stato restituito, sembra in maniera permanente, un piccolo incentivo alla spesa. Probabilmente ci si aspettava che questo contributo di 80 euro venisse totalmente speso e magari la gente tornasse a fare qualche acquisto in più rimettendo in moto l'economia, prima piano piano e poi sempre più in maniera vorticosa ed inarrestabile.

Ebbene? Niente di tutto questo. Non solo non è avvenuto (ancora?) quanto auspicato, ma in questi giorni ci siamo messi il cuore in pace con la bella notizia di un PIL ancora in negativo per quest'anno e con una crescita ridicola per il prossimo.

Io credo che la gente stia imparando la lezione. Negli anni passati eravamo arrivati a livelli di consumo insostenibili. Ingestibili per noi stessi, per le famiglie, per le comunità.

Quando le risorse non sono sufficienti, si evita lo spreco. O almeno si cerca di andare in quella direzione. Nella vita di tutti i giorni, chi è messo in ristrettezze certamente prima o poi guarda con occhio più attento al proprio portafoglio. E là in alto, cosa succede? Non sembra essere cambiato granché. Si continua a spendere e a vivere sopra le righe, come se la crisi non fosse mai arrivata.

La gente comune raziona l'acqua, per bere, per il cibo, per la cura della persona. Ed i nostri amministratori cosa fanno? Lasciano che le tubature marciscano e l'acquedotto come un colabrodo disperda per altre vie ciò di cui abbiamo bisogno quotidianamente per vivere.

E' vero che non fanno altro che chiudere rubinetti, ma evidentemente stanno prendendo di mira il tubo sbagliato e non serve certamente chiuderne uno piccolo quando quello grande è irrimediabilmente ed inutilmente aperto.

Non dobbiamo trovare il modo di tornare a spendere di più, ma semplicemente e per davvero, ritrovare il senno per una spesa consapevole delle nostre potenzialità e dei nostri limiti. Ma ci arriveremo. Oh, sì che ci arriveremo. Ci vorrà ancora un bel po' di tempo, ma poi la lezione la impareranno anche loro. Non hanno altra scelta.

martedì 12 agosto 2014

Passeggiata verso la Madonnina

Qui in montagna c'è una passeggiata facile facile che porta verso la Madonnina. E' una piacevole camminata, praticamente tutta al piano, che attrae anche le persone di una certa età proprio a motivo del percorso pianeggiante e della meta non troppo distante. Se mi avanza un'oretta e non so proprio dove andare, sicuramente muovo il passo in quella direzione. Il paesaggio è sufficientemente vario da catturare la mia attenzione. Nonostante sia gradevole muovere il passo anche da soli, sicuramente preferisco avere la compagnia di mia moglie.

Negli anni passati, quando venivamo quassù a luglio ed ero ancora occupato con il lavoro, raggiungevo la famiglia soltanto a fine giornata e così nel dopocena era quasi una tappa obbligata una passeggiata fino alla Madonnina. La mia attività mi costringe tutto l'anno ad una vita sedentaria e pertanto non c'è nulla di più rilassante che poter camminare per qualche istante porgendo il braccio a Maria Luisa, mentre la mano accarezza e tiene in caldo lo stomaco come faceva qualche secolo fa il famoso condottiero d'Oltralpe.

La piacevolezza del nostro incedere derivava soprattutto dal potersi confidare reciprocamente le vicende della giornata. Anche se, lo ammetto, solitamente ascoltavo i resoconti della moglie piuttosto che obbedire alle sue sollecitazioni e raccontarle nel dettaglio di cosa mi ero occupato nelle ore precedenti. Nonostante lei trovi la mia attività estremamente complicata, si interessa spesso a ciò che faccio, a quali progetti stia portando avanti in quel preciso momento. Talvolta ho addirittura cercato di spiegarle qualche algoritmo usando naturalmente tutta la fantasia di cui disponevo non potendo certo usare esplicitamente una terminologia troppo attinente la programmazione.

E così, nel dolce snodo di questa strada tutta a curve, Maria Luisa mi raccontava la sua giornata passata nella cura amorevole della madre e di mio padre e non smetteva di ringraziarmi per questa possibilità di vacanza che le concedevo. Io invece mi sentivo debitore nei suoi confronti e scherzosamente le dicevo che in realtà stava piuttosto facendo l'assistente geriatrico.

Fiancheggiati alcuni fienili, di cui ora è mia moglie a ricordarsi meglio di me il nome, giungevamo a quella piccola nicchia nella roccia che ospita una statuetta della Madonna. Mio padre mi ha raccontato che molti decenni fa, quando fu tracciata questa nuova strada di collegamento con il fondo valle, venne alla luce questa insenatura e la gente decise, con qualche piccolo intervento in cemento, di trasformarla in una piccola grotta di Lourdes.

Mentre le ultime luci della giornata lentamente si spegnevano al nostro fianco, i nostri occhi si rivolgevano verso la figura della Madre Celeste e nella serenità più completa le nostre labbra anticipavano sommessamente la preghiera della sera.


giovedì 7 agosto 2014

Il boscaiolo

Durante l'estate mi piace trascorrere qualche giornata in montagna. Amo il sole, le spiagge, il mare, ma è soltanto il verde ed il profilo aguzzo dei rilievi che riescono a riempire di contentezza il cuore e rendere sazio lo sguardo. Sempre che ci sia sereno perché, se piove insistentemente, le giornate sono così tristi e noiose che quasi è preferibile tornarsene al lavoro. E quest'anno le bizze del tempo sono state rimarchevoli a dir poco.

Passeggiando poco fuori dal paese non è difficile imbattersi in alcune persone locali che meticolosamente provvedono alla cura delle loro cose. C'è chi falcia il prato, chi lo rastrella, chi accudisce le galline o altro pollame e chi invece accatasta legna in continuazione come se l'inverno più freddo dovesse ancora arrivare ed i molti ceppi avanzati nella precedente stagione non fossero sufficiente monito per un risparmio delle fatiche.

E così il boscaiolo, colui che sta in vetta alle classifiche per consumo quotidiano di calorie, spacca uno dopo l'altro tronchi d'albero e ne fa prismi regolari che andrà poi ad accatastare contro il muro del suo cascinale oppure a chiudere le aperture del sottotetto. Buon uomo, che tutto l'anno brandisci la scure e sferzi di colpi fatali la corteccia del legno maturo, perché ti dai pena e continui a faticare anche nel tempo delle ferie?

Tutti gli altri mesi mi affanno per l'altrui guadagno e per portare a casa la meritata pagnotta. Sol ora ho tempo di farlo per il mio diletto e non v'è dispiacere alcuno perché fatico per me stesso. E come lui anche tanti di noi.


domenica 27 luglio 2014

Luglio col bene che ti voglio

Eccomi qua ancora una volta a pasticciare il bianco di queste pagine, più per dovere che per la voglia di scrivere. E voi che leggete con intento insincero al solo scopo di dare referenza alle vostre azioni, ai vostri guadagni illeciti, per una volta soltanto date ascolto alla mia preghiera. Prendetevi una pausa. Non affannatevi ad apporre commenti inutili che miseramente verranno cestinati. Così in cambio potrò lasciarmi andare ancora una volta e far uscire da me qualcosa di veramente intimo, senza timore che la mia casella di posta s'intasi di spam che fa riferimento a questo o quello del mio povero pensiero.

Ma non m'illudo e sto a guardare dalla finestra con speranza rinnovata. Tutta la vita è una lotta e non sempre il caso concede il favore al più ardimentoso. Qualche volta anche il leone deve ritirarsi scornato e leccarsi le ferite perché uno zoccolo di zebra ha avuto la meglio su di lui.

Luglio, ormai te ne vai e con noi non sei stato prodigo e benigno assai. Hai concesso il riposo ancorché il tempo delle ferie fosse ancora lontano e così ora non le agogniamo tanto. Le mille incombenze hai reso leggere con i tuoi orizzonti aperti, le tue serate calde, le tue passeggiate dando il braccio alla consorte.

Non è mai sto così bello pensare soltanto a se stessi, quasi un peccato da commettere di nascosto. Ho visto passare volti stranieri che cercavano un po' di quiete in terra forestiera ed amica. Ho visto forme sinuose incrociare e calpestare al contrario le nostre orme. Ho visto promesse di future professioni camminare allegre e sorridenti. Altre ancora ormai stanche ritrovare il sorriso dopo una vita d'impegno mietendo successi, ma il più delle volte amare sconfitte.

Ora queste pigre onde smussano ancora un po' questi ciottoli, senza fretta, senza affanno. Una mano raccoglierà quella pietra bianca e la stringerà nel suo palmo per trattenerla un po'. Un'altra ancora scaglierà quell'altra nel tentativo di farla rimbalzare sul pelo dell'acqua. Un gabbiano spaventato s'alza in volo e vira maestoso e sovrano fra i navigli per poi perdersi lontano.

Metallico il lago nelle serate punteggiate di luci. Vorrei approdare fin alle sponde dell'opposta riva, ma i nostri piedi affondano e soltanto stesi a pancia all'aria possiamo ritrovare quella piacevole sensazione che ci pervadeva nelle nostre prime settimane di vita. Sgambettiamo felici, agitiamo le braccia con maggiore libertà perché qui i confini sono meno angusti e possiamo muoverci con maggiore agio che all'interno della nicchia materna.

Ma non c'è il battito di chi ci ha porto la vita, di chi ha convogliato per noi nutrimento e che, con fiduciosa attesa, guardava in avanti al giorno della nostra nascita.

Chi attese per noi l'arrivo, chi desiderò la nostra uscita oltre a quei due che accesero la scintilla vitale? Se non sei tu, o Dio, chi mai avrà premura per ogni nostro afflato, per ogni nostro pensiero che solitario a te ritorna e grato gioisce per queste tue premure preparate con sapiente equilibrio fin dalle ere più remote?


domenica 22 giugno 2014

Il modo di essere

Uno sciame di dubbi come cavallette affamate pareva essere calato su di lui. Le cavallette lo mordevano ovunque. Giovanni si agitava per tentare di difendersi da quei morsi. "Senti, Ester, dobbiamo pensarci bene. Se il bambino sta così male..." Si agitava e cercava di dirottare anche su di me lo sciame di cavallette. Ma non sarebbe riuscito ad incrinare la felicità che provavo all'idea che un bambino ci stesse aspettando. "Potrebbe rovinarci la vita" era arrivato a dirmi.

"E alla sua? Alla sua, di vita, non pensi? Noi siamo adulti, lui ha solo pochi mesi, ha infinitamente più diritto di noi ad avere almeno una possibilità" gli avevo risposto quasi gridando, perché la mia voce arrivasse a fendere il rumore assordante dello sciame che lo circondava.

"Ma credi davvero che saremo capaci di sostenere una prova così..." Giovanni non trovava le parole. "...Così dura?"

"Giovanni, se avessimo avuto un figlio nostro... sì, un figlio naturale, come lo chiamano... mica avremmo potuto sceglierlo. E ora dovremmo dire 'questo sì, questo no, questo potrebbe andare, quest'altro invece è difettoso'? Come se stessimo decidendo di comprare al supermercato... che so... un frullatore? I figli non si scelgono. I figli si accolgono. Si accolgono e basta."

Con quelle parole avevo bruscamente messo a tacere lo sciame dei suoi dubbi. Anche se a volte temo che qualcuna di quelle cavallette gli sia rimasta annidata dentro e continui a ronzargli nell'anima. Oggi però la commozione che mi è parso di cogliere nello sguardo di Giovanni mi fa ben sperare.

Omodisplasia ossea. Rifletto su quella denominazione tecnica, fredda e terribile. "E' la malattia di Simone" mi dico "ma Simone non è la sua malattia. Simone è altro, molto altro."

Sì. Se c'è una cosa che Ugo il Pesce e Roberto lo Scoglio mi hanno insegnato, è che non esiste la patologia. Esiste il modo di essere di ciascuno.

VAURO SENESI
STORIA DI UNA PROFESSORESSA
PIEMME


sabato 14 giugno 2014

Perché gli oratori si svuotano

Senza avere la pretesa di effettuare un'analisi sociologica precisa e puntuale, che ben volentieri lascio agli esperti del settore, molto semplicemente vorrei dare eco ad alcuni articoli comparsi di recente sulla stampa locale ed in particolare su La voce del popolo riportando di seguito qualche commento da me fatto a seguito di quella lettura. Chi scrive è un vicario cooperatore, un curato per dirla con parole più semplici, che si occupa di un oratorio nelle cui vicinanze sorge un noto centro commerciale bresciano.

Le riflessioni del prelato son tutte volte a cercare le ragioni di un fenomeno che si sta facendo strada, ma oserei dire che è ormai ben radicato nei nostri adolescenti. La tendenza cioè a preferire come luogo di aggregazione queste omnipresenti strutture di vendita piùttosto che gli spazi che gravitano attorno alle parrocchie. D'impulso, senza neppure aver terminato per questione di tempo la lettura dell'intero articolo, ho così voluto commentare.

Un bel malloppo. Faccio fatica a leggerlo tutto ora, ma ci riprovo in un altro momento. Per ora un commento soltanto. Non è che i nostri ragazzi soffrono di solitudine? Se è così, dove si va a cercare compagnia? Non certo in un luogo vuoto. E' nel mare, reale o virtuale, che ci si va ad annegare, sperando che qualcuno ci prenda all'amo e ci faccia sentire un po' meno soli, un po' più importanti. 

Ma l'Oratorio non dovrebbe essere il luogo privilegiato per esperienze di questo genere? Dovrebbe. Forse, dopo tanto giocare, dopo tanto divertimento i nostri ragazzi sono ancora soli. Ed il messaggio che abbiamo sempre un Amico fedele, che ci vuol bene sempre, magari non passa a sufficienza oppure non così chiaro.

Dopo qualche giorno, potendo disporre di una maggiore tranquillità, sono tornato sull'argomento e mi sono preso la briga di andare a ripescare nuovamente quegli articoli ed ho apposto un altro commento.

Questa volta l'ho letto tutto e vedo che in chiusura ci siamo trovati in sintonia. Per il discorso della solitudine invece non c'è sovrapposizione. Può darsi che sia un pensiero tutto mio. Solo un altro flash, magari un tantino stereotipato.

Siamo nell'era dell'apparire più che dell'essere ed il centro commerciale è un grande mercato dove i nostri occhi possono comperare in abbondanza. Lo si vede anche nei rapporti di coppia che gli adolescenti, ma non solo loro, costruiscono. Al bravo tipo, alla brava tipa preferiscono anteporre il bel tipo, la bella tipa.

Il bello ed il buono possono convivere: ci mancherebbe! Spesso però si preferisce la vuota bellezza. E come biasimare i nostri ragazzi, ma prima ancora di loro, i genitori, cresciuti con la TV commerciale che di messaggi importanti, di un certo spessore cioè, ne lascia filtrare un gran pochi.


domenica 8 giugno 2014

Twitter vs Facebook

Se devo dirla tutta, Twitter non riesce ad entusiasmarmi fino in fondo. Per me è meno di un SMS: 140 caratteri sono veramente pochi per esprimere un concetto, un pensiero compiuto. E se mi vien voglia di allegare un'immagine, di parole ce ne stanno ancora meno. Ecco perché preferisco utilizzare questo strumento saltuariamente, quando ad una foto riesco a legare il verso di una poesia, di una canzone oppure un aforisma.

Facebook lo sento più mio. Mi da modo di esprimermi più liberamente senza sentirmi irrigimentato entro un angusto spazio. Volentieri faccio l'upload di un sacco di fotografie per condividerle con tutti quanti. Però difficilmente mi lascio andare a qualche pensiero veramente intimo. E' qui su questo blog che trovo maggiore soddisfazione. Se ho qualcosa da raccondare e che giudico ne valga la pena, allora scrivo, per me e per gli altri.

Peccato però che tutto ciò che racconti, tutto ciò che dici, venga passato al setaccio per invadere te e chi ti circonda di questa o quella cosa da comperare. E' maturo il tempo per ritirarmi in buon ordine? Non so, forse resisterò ancora un po'.


venerdì 2 maggio 2014

Lettera del primo maggio

Caro amico,

l'idea era quella di trascorrere a letto buona parte della mattinata del primo maggio per recuperare un poco le fatiche della recente gita in Toscana. Laggiù, nonostante il tempo non sia stato favorevolissimo, abbiamo visto un sacco di cose belle, ma abbiamo camminato tanto e dormito meno del solito per sfruttare al massimo i tre giorni di vacanza che avevamo a disposizione.

Ieri però, grazie a circostanze che ora mi sembra ozioso precisare, invece di rimanere a riposare a lungo come programmato, ci siamo messi in viaggio per una gita fuori porta. Devi sapere che Maria Luisa oggi lavora e quindi non si è potuto sfruttare questo bel ponte d'inizio maggio.

La mattinata si preannunciava caratterizzata da un buon sole e, con il conforto degli addetti alle previsioni meteo, si sarebbe mantenuta tale anche per il resto della giornata. Muovendoci da Cremona, abbiamo scelto come meta del nostro breve tragitto la cittadina di Crema che non ho mai avuto occasione di visitare, ma soltanto sfiorare qualche anno fa quando siamo andati in visita a Pavia giusto un altro primo di maggio.

Dopo una sosta fugace per una breve visita al Santuario della Beata Vergine della Misericordia posto ai margini di Castelleone, siamo giunti in terra cremasca. Nonostante il giorno di festa non è stato difficile trovare un posto dove parcheggiare a due passi dal centro.

Mia moglie veniva da queste parti i primi anni dopo la laurea per insegnare e quindi un po' conosce le geometrie di queste vie anche se non si vanta di avere un senso dell'orientamento preciso e puntuale e quindi spesso lascia a me la decisione della direzione di marcia da prendere.

Dopo aver attraversato un tranquillo ed anonimo vicoletto, giungiamo ad intersecare una strada pedonale decisamente più frequentata e che conduce direttamente al Duomo. Non avevo ancora fatto colazione e quindi accetto di buon grado l'invito della consorte di fermarci a bere un aperitivo o un caffè.

Vada per l'analcolico. Ci sediamo attorno ad un tavolino posto all'esterno del primo bar che fa al caso nostro ed ordiniamo. L'attesa si protrae di qualche minuto oltre il tempo da noi stimato per essere serviti, ma poi vedendo che assieme al bere ci sono anche diverse ciotole con stuzzichini di ogni genere capiamo il motivo del delay.

Mentre me ne sto tranquillamente seduto a sgranocchiare salatini e sorseggiare il mio Crodino, mi scorre alle spalle una signora che con fare insistente mi interpella e chiede qualcosa giustificandosi con il fatto che non lavora da dieci mesi. Non so cosa replicare. Mi pare ingiusto respingerla mentre me la godo beatamente a tavola ed allora estraggo una banconota da 5 euro dal portafogli, giusto perché non porto moneta al seguito e non voglio coinvolgere Maria Luisa in quella che è una mia iniziativa.

Lustrato per bene il fondo delle scodelline che il barista ci aveva portato, ci rimettiamo in marcia per guadagnare con poco sforzo la piazza antistante il Duomo di Crema. C'è un viavai frenetico e disordinato di persone. Un mucchio di famiglie ed altrettante carrozzine di bambini, ma evidentemente noi soltanto sembriamo turisti così da venir abilmente intercettati da uno sconosciuto proprio sul portone della Cattedrale di Santa Maria Assunta la cui facciata mi ricorda in meglio la chiesa di Sant'Agostino in Cremona dove ci siamo sposati.

L'estemporaneo cicerone non trova il mio favore e strattono così un po' Maria Luisa che sembra invece interessata alla storia del crocifisso che quel tale ci va raccontando. Mi sembra di vivere anch'io la medesima scena che è toccata al collega Davide ed alla fidanzata in visita alla parte alta di Bergamo dove, visto il loro interesse per la meridiana posta all'esterno della chiesa, un tale pretestuosamente rivolgeva loro la parola e forniva spiegazioni non richieste su questioni astronomiche che ad un novello ingegnere potevano apparire non così precise e puntuali come invece ad uno sprovveduto qualsiasi.

Nel raccontare questa cosa alla consorte lei bonariamente mi rimprovera dicendo che il tipo all'ingresso non ci aveva chiesto nulla. Un po' scortese le ribatto che ci ha rubato un po' del nostro tempo che è cosa ben più preziosa di un po' di danaro.

Terminata la visita della cattedrale e fuoriusciti da una porta laterale per evitare d'imbatterci nuovamente nell'insistente persona di prima, ci siamo mossi a caso sotto il porticato di uno dei palazzi adiacenti. Mi sembrava di non aver imboccato la direzione giusta ed allora vorrei fare dietro front proprio nel momento in cui vengo raggiunto da un alto ragazzo di colore ben vestito con abbigliamento sportivo.

Stende la mano e mi chiede qualcosa per mangiare. Dopo un istante di titubanza, estraggo il portafogli e do anche a lui una banconota da 5 euro. Non mi sono allontanato dal ragazzo che di pochi metri che subito vengo abbordato da un anziano signore che pur non proferendo parola alcuna, ma soltanto versi e balbettii, mi scuce di tasca anche l'ultima banconota da 5 euro.

Egoisticamente ho pensato fra me e me: speriamo di non incontrarne altri perché non sono sicuro che passerei volentieri alle banconote da 20. In seguito con Maria Luisa ho discusso un po' su questi episodi. Lei vorrebbe invitarmi ad avere un atteggiamento più critico nei confronti di queste persone perché non possiamo essere generosi con tutti. E poi chissà se ne hanno veramente bisogno?

Amico mio, lo so che fra i tanti ce ne saranno anche molti che approfittano della mia dabbenaggine come di quella di tanti altri. Ma a me non importa. Come potrei restarmene indifferente verso chi stende la mano? Sentiamo spesso in TV l'invito fatto ai politici per azioni che comportino una migliore ridistribuzione sociale delle risorse. Chi ha avuto di più ora deve pagare di più perché non si può continuare a sottrarre al povero e all'indigente.

Non lo so se ciò avverrà. Credo che dovrà ancora partire dal basso l'azione per una maggiore giustizia e condivisione di beni e non imporla per decreto legge. Ma questa cosa di una società più eguale è pura utopia ed abbiamo ben visto nei decenni passati il fallimento del cosiddetto socialismo reale.

No, caro amico, non è di questo che intendevo parlarti. Non di generosità filantropica, ma di condivisione dei nostri beni, senza che questo diventi necessariamente la missione della nostra vita, bensì un atteggiamento di disponibilità del cuore là dove ci venga richiesto.

Tornando in serata a discorrere ancora un po' su questo argomento con mia moglie, le ho detto che mi piacerebbe un giorno poter dire: ma Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare?

Amico mio, questa lunga chiacchierata con un resoconto un poco sgangherato del nostro primo maggio si conclude qui. Lo so che avrei fatto bene a tenermi dentro queste cose, ma le ho volute confidare a te perché so che sei un lettore attento e discreto e non andrai in piazza a sbandierare fatti privati che meritano e vogliono restare privati. Una cosa soltanto ti chiedo. Se puoi, fai altrettanto. Vedrai, ti piacerà.

Con l'immensa stima di sempre.
La tua piccola anima.


sabato 12 aprile 2014

Storia di una professoressa

«Bentornate.» Suor Veremonda ci riceve sulla porta dell'aula con il suo sorriso aperto. Negli occhi chiarissimi leggo autenticità. E' davvero felice di rivedere me e le mie compagne. Una felicità fisica che le distende la pelle sugli zigomi e la fa sembrare giovanissima. Una delle cose che mi affascinano di suor Veremonda è proprio questa. Ogni emozione, bella o brutta che sia, le plasma il viso. Ci si imprime sopra a rilievo. Quasi avesse l'anima subito sotto la pelle.
VAURO SENESI
STORIA DI UNA PROFESSORESSA
PIEMME

domenica 23 marzo 2014

QB

Mi domando quanto amore possa avere in cuore un padre - che si professa ateo - per accompagnare all'altare un figlio di 8 anni che riceve il Battesimo. Avrei voluto stringere la mano a questo genitore, ma per una volta non ho dato seguito alle mie manie di protagonismo. Mi sono accontentato di commuovermi in disparte, quasi alle lacrime, vedendo questo bambino chinare il capo e ricevere con l'acqua il dono della luce e della speranza che sono per tutti.

Faccio fatica a capire come un infante di pochi mesi possa essere macchiato di una colpa così grave da dover essere lavata via con un rito di passaggio. Mi rendo però conto di quanto straordinario possa essere questo gesto compiuto in un'età successiva, là dove non siano più i genitori ad effettuare primariamente una scelta di accompagnamento ed educazione alla fede.

Mi è capitato di presenziare a qualche celebrazione e di trovarmi a fianco di qualcuno che so non essere assiduo frequentatore dei Sacramenti. In tale frangente mi sono domandato se è soltanto l'affetto per le persone care che spinge a quella partecipazione oppure se c'è un interesse diverso e se nell' intimo si affacciano le stesse domande che ci facciamo tutti, ma a cui poi evidentemente diamo risposte differenti. Se non a parole, sicuramente con i gesti che compiamo ogni giorno nella nostra vita.

Mi sono domandato quanto basta. Quale misura di Dio è sufficiente per noi? Credo che ne prendiamo ciascuno la quantità di cui abbiamo bisogno. Chi una dimensione sovrabbondante; chi la giusta ragione; chi invece soltanto un assaggio ed infine altri neppure un morso. Sì, perché siamo liberi di accogliere la misura giusta per noi. E anche niente può essere la dimensione adeguata del nostro desiderio.

C'è un livello di spiritualità che possa farci ritenere più avanti degli altri nel cammino verso la santità? Non credo. Se la fede è un dono, non averla non può essere una colpa. Casomai carica chi la riceve di una maggiore responsabilità da tradurre in opere buone nell'agire di ogni giorno.


domenica 9 marzo 2014

Sogni da bambino

- Non sono felice, amico mio, - è stata la sua frase d'esordio.
Quando qualcuno ti dice che non è felice, la risposta non è facile per nessuno a eccezione di un malato terminale.
- A chi lo dici.
Mal comune mezzo gaudio.
- Che cosa c'è che non va? - gli chiedo con dolcezza.
- C'è che non ho realizzato nessuno dei miei sogni da bambino. E la vita non ha senso se non realizzi i tuoi sogni da bambino.
Andy ha sempre avuto il dono della sintesi.
I sogni da bambino. L'unica cosa che conta davvero nella vita.
Quello che scrivi in seconda elementare nel tema "Cosa farò da grande". Lo so, l'ho sempre saputo, e tra l'altro ve l'ho già detto, ma solo adesso la verità di questo concetto mi esplode in faccia come un petardo di Capodanno. Se non realizzi i sogni da bambino sei un fallito. Il mio, come sapete, era fare il collaudatore di luna park. Dunque sono un fallito.

FAUSTO BRIZZI
CENTO GIORNI DI FELICITA'
EINAUDI


sabato 15 febbraio 2014

Il mattone è finito



 Vent'anni fa non ci conoscevamo granché. Ci siamo lasciati guidare dal nostro intuito: mi hai tolto la terra sotto i piedi. Nevicava quando ci siamo sposati all'Ahwahnee. Gli anni sono trascorsi, sono arrivati i bambini, i momenti di felicità, quelli di difficoltà, ma mai di infelicità. L'amore e il rispetto reciproco sono rimasti intatti e sono cresciuti. Abbiamo fatto tanta strada insieme, ed eccoci qui - più vecchi, più saggi, con qualche ruga sul volto e nel cuore - dove abbiamo iniziato vent'anni fa. Abbiamo sperimentato molte delle gioie, dei dolori, dei misteri e dei prodigi della vita, ed eccoci ancora insieme. Sotto i miei piedi, la terra non è mai tornata.

Steve Jobs di Walter Isaacson
MONDADORI

Ce l'ho fatta. Dopo quasi due anni oggi sono finalmente riuscito ad ultimare la biografia del fondatore della Apple. Neppure la lettura di Anna Karenina mi aveva tenuto occupato così a lungo, anche se allora mi erano occorsi circa sei mesi per giungere al termine del poderoso libro. Intendiamoci, nel frattempo mi sono dedicato anche ad altre letture e solo in questo fine settimana ho voluto dare l'accelerazione finale per completarlo.

Ogni tanto mi capita di rigirarmi nel letto insonne per qualche caffè di troppo che impedisce di lasciarmi cadere nelle braccia di Morfeo. Ed allora, quando raggiungevo sufficiente consapevolezza riguardo al fatto che era inutile proseguire coricato nel mio prolungato stato di veglia, sfilavo il tomo dal comodino e mi portavo in altro ambiente più consono rispetto alla camera da letto e mi lasciavo andare alla lettura di qualche capitolo.

Ho iniziato a detestare Steve per quel brutto caratteraccio che si portava appresso ed ho finito oggi per rivalutarlo vedendo sotto una diversa angolatura l'insieme di tutto il suo operato che, in ultima analisi, risulta un grave monito nei miei confronti. In conclusione di biografia, l'autore del libro riporta un'ampia memoria di Jobs che diviene quasi un lascito per le generazioni future. Fra quelle righe si legge pure di Steve Ballmer e dell'impossibilità per Microsoft di recuperare posizione finché tale persona resterà al suo comando. Ora noi tutti sappiamo delle dimissioni date dal CEO nei mesi scorsi dopo la sua presa di coscienza riguardo all'essere un freno per l'azienda. Ma è stato per me curioso ed illuminante leggere questo passaggio nelle parole di Jobs che più avanti fa pure accenno ai talenti individuali per esprimere la vocazione della sua vita.

Mi sento particolarmente colpito da questa affermazione perché in vari momenti ho manifestato sincero rincrescimento per non aver fatto nulla di veramente significativo, magari dicendolo soltanto privatamente e non pubblicamente come ora. Tutti riceviamo dei talenti. A chi cinque, a chi due e a chi uno soltanto. Io mi sento come quest'ultimo servo del Vangelo che, per paura, lo ha tenuto nascosto sotterra e, per non aver osato abbastanza, sento ora tremendo il fluire dei giorni.

Ma c'è un altro insegnamento che dal testo sacro si può cogliere ed è quello che mi conforta maggiormente. Mai nessuno si deve sentire deluso e sfiduciato a tal punto da rinnegare se stesso perché c'è sempre tempo per convertirsi e cambiare. La misericordia divina è infinita e noi non possiamo porre un limite al desiderio di amore che Dio ha nei nostri confronti.

 

venerdì 17 gennaio 2014

On/off

  Un pomeriggio di sole, mentre si sentiva poco bene, Jobs, seduto nel giardino dietro casa, si mise a riflettere sulla morte. Parlò delle sue esperienze in India, circa quattro decenni prima, del suo studio del buddismo e delle sue idee sulla reincarnazione e sulla trascendenza dello spirito. «Nell'esistenza di Dio credo al cinquanta per cento» disse. «Per la maggior parte della vita ho provato la sensazione che nella nostra esistenza ci debba essere qualcosa in più di quanto appare agli occhi».
  Ammise che, di fronte alla morte, forse stava sovrastimando tale possibilità per il desiderio di credere nell'aldilà. «Mi piace pensare che dopo la morte qualcosa sopravviva» disse. «E' strano pensare che uno accumuli tanta esperienza, magari anche un po' di saggezza, per poi andarsene completamente. Perciò io voglio davvero credere che qualcosa sopravviva, per esempio che la coscienza non venga meno.»
  Poi fece una lunga pausa di silenzio. «Ma d'altra parte, forse» aggiunse, «si tratta solo di un pulsante on/off. "Clic!" e te ne vai.»
  Fece un'altra pausa, e con un lieve sorriso: «Forse» disse «è per questo che non mi è mai piaciuto mettere pulsanti on/off sugli apparecchi Apple».

Steve Jobs di Walter Isaacson
MONDADORI

venerdì 3 gennaio 2014

Superman

In questo periodo di feste prolungate si mangia un po' più del solito e così si rischia d'incrementare l'attività onirica indotta dall'appesantimento del nostro sistema digestivo. L'altra notte ho sognato di essere all'aperto, in montagna, assieme ad alcuni amici. Poi all'improvviso mi tuffavo nell'aria e cominciavo a planare intorno a loro immerso in mille circonvoluzioni con il medesimo senso di leggerezza ed assenza di peso che si prova quando si nuota in piscina oppure in mare aperto. Mi bastava orientare le dita delle mani in maniera differente per volgere il flusso dell'aria a mio favore e dirigermi là dove mi andava di andare.

Dopo alcuni andirivieni, passando a volo radente sopra le teste di quelli che con me erano lì convenuti, ho deciso di puntare più in alto e distaccarmi da loro. Mentre mi allontanavo, continuavo a seguire in basso i loro movimenti che si facevano man mano più lenti e, nel contempo, i loro corpi diventavano sempre più piccoli e come puntolini insignificanti scomparivano poi come ombre nel verde dei prati da cui dominavo sempre più maestoso dall'alto, come l'aquila che si muove solenne nella pace di un immenso cielo blu.

Non c'era limite alla mia progressiva ascesa ed ora come Superman bucavo gli strati sempre più rarefatti dell'atmosfera e da lassù in alto non distinguevo più bene le località, i paesi e le città, ma continuavo a percepire nettamente i confini dei mari, degli oceani e dei continenti, dove essi non erano ricoperti da candide coltri di nubi.

Come un razzo scagliato lontano, fuori dall'orbita terrestre, continuavo a vagare nello spazio siderale. Non sentivo freddo, né venir meno il respiro. Mi guardo indietro ed ormai il nostro pianeta, minuscolo, si confonde fra altri del nostro sistema solare. Ma forse adesso non riesco più a distinguerlo da altri innumerevoli della nostra galassia da cui mi sto progressivamente allontanando. Quassù domina il buio ed il vuoto assoluto. Distinguevo ancora altri ammassi di luce tutti attorno a me che diventano man mano sempre più rarefatti e tremuli.

Ho deciso allora di virare e di fare ritorno. Non ha senso spingersi oltre, verso il nulla oscuro. Meglio il confortante calore della luce e dei colori. E in questo movimento di riavvicinamento a casa, sembrava quasi di planare dolcemente verso l'azzurro ed il verde da cui mi ero allontanato qualche istante fa. Ma che strano. Non riuscivo ad individuare i medesimi contorni di prima. Dov'era lo stivale a me tanto familiare? Dove sono i confini ben noti delle nazioni che conosco?

Intravedevo nettamente i contorni di alcuni rilievi innevati, le sagome dei laghi che di tanto in tanto bucherellavano la superficie delle terre emerse circondate a loro volta da una massa enorme di acque. Scendendo più in basso si notavano pure città e paesi, ma mi apparivano più ordinate e moderne di quelle che sono abituato a vedere. Non vi erano alti palazzi, grattacieli che conficcano le loro punte nel cielo. Non c'erano strade, né tantomeno veicoli che le percorrevano. Lì attorno s'intravedevano ora ben distinte le sagome di persone che si muovevano a piedi o che facevano gruppo fra di loro, nel verde di un prato oppure all'ombra delle piante in variopinti giardini.

Dolcemente mi adagio al suolo e smetto di volare. Mi avvicino ad una donna che sorride al suo bimbo e le chiedo che posto sia mai questo. Costei afferra il suo piccolo per mano e, mentre lui mi fissa con sguardo interrogativo, la madre mi spiega che questo è il luogo dove vivono da sempre. Chiedo allora come facciano. Sì perché mi sembra che tutti se la stiano godendo allegramente e nessuno mi pare occupato a lavorare oppure a muoversi con affanno da un posto all'altro. Non vi annoiate a passare così inoperosi tutto il tempo? Come fate per sopravvivere?

Pazientemente mi spiega che da diversi secoli sono riusciti a costruire macchine che svolgono il lavoro per loro. Esse si occupano del cibo e di tenere pulito il pianeta. Le risorse non mancano e non è necessario faticare per ottenere quello di cui si ha bisogno. Se hai sete, ci sono fontane per bere, se hai fame, ci sono chiostri da cui puoi prelevare il cibo di cui hai necessità. Se vuoi vestire, ci sono appositi locali in cui puoi ritirare quello che ti serve.

Resto perplesso e non riesco a credere che si possa vivere senza tribolare tutto il giorno. La donna mi spiega che se vogliono fare qualcosa d'impegnativo, come salire un monte oppure correre da un posto all'altro, anche solo per tenersi in forma, possono farlo tranquillamente ed in totale sicurezza. Non c'è pericolo di farsi male, di cadere in un crepaccio, di sentire le vesciche ai piedi perché hanno a disposizione accorgimenti che alleviano qualsiasi dolore oppure segnalano per tempo ogni situazione potenzialmente pericolosa.

Domando allora se hanno vinto anche la morte. Lei mi guarda e sorride. Poi mi spiega che vivono a lungo, questo sì, ma nascono, crescono e invecchiano fino a quando si compie il numero dei loro giorni che sono uguali per tutti. Le malattie sono state debellate per sempre ed a ciascuno è concesso di campare fino a 188 anni. Quando qualcuno muore, nessuno piange, nessuno è triste perché, chi sta morendo, dalla vita ha avuto tutto e non desidera altro. Ormai pago, si congeda serenamente da tutti quelli che gli stanno attorno.

Mi sveglio dal sonno e con esso anche il mio sogno svanisce. Che strana visione è mai questa? Come Superman ritorno coi piedi per terra, indosso gli occhiali e mi confondo fra la gente, nelle incombenze di tutti i giorni.