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giovedì 10 agosto 2023

Cetrioli

 


Ho già raccontato in passato, o forse no, che quando sono ospite in albergo mi piace fare una colazione abbondante andando ad assaggiare quasi tutto quello che c'è a disposizione passando dal salato al dolce.

Se c'è della verdura e della frutta la unisco volentieri a qualche fetta di salume, becon ben arrostito ed uova strapazzate. Dove ci troviamo ora non mancano i cetrioli.

Ormai non posso fare a meno di ricordare un episodio legato a mio padre. Nell'ultimo periodo in ospizio era talmente convinto che al posto delle zucchine gli cucinassero dei cetrioli che un giorno ne nascose una rotellina in un tovagliolo di carta per potercela mostrare durante una nostra visita e raccogliere così il nostro parere.

Ricordo bene la sua faccia stupita e poco convinta nel momento in cui arrivai a sentenziare che era proprio una invitante zucchina con attorno residui di gustoso pomodoro.


mercoledì 9 agosto 2023

Retaggi culturali

 


In hotel c'è una giovane donna con ragazzino che siede sola in sala da pranzo ad un tavolo vicino al nostro. I loro tratti somatici attribuiscono una chiara origine mediorientale. L'ho sentita parlare col personale di servizio in perfetto italiano e quindi penso possa risiedere in Italia da parecchio tempo.

Mentre facevo colazione non ho potuto fare a meno di fissarla negli occhi e lei per un attimo ha sostenuto il mio sguardo finché non sono stato io per primo a cedere tornando ad inquadrare il moncone di brioche che reggevo in mano.

Fantasticavo riguardo a quali potessero essere i suoi pensieri, sugli altri, su di me che la stavo scrutando con fare interrogativo. Immaginavo che potesse arrivare a chiedermi esplicitamente perché la guardassi in quel modo.

Le avrei risposto che nutrivo un certo stupore perché di solito sono abituato a vedere donne come lei, delle sue origini intendo, in tutt'altra foggia e generalmente accompagnate, per non dire guardate a vista. 

Capisco bene che certe domande non si possono porre così spudoratamente, ma credo sarebbe bello che nessuna barriera culturale fosse frapposta fra un essere umano ed un altro.

Insomna, che ci fosse sempre la possibilità di comunicare in modo schietto, sincero e delicato, senza arrivare mai ad urtare la sensibilità altrui, né essere inopportuni od addirittura irrispettosi nei confronti del proprio coniuge.

martedì 8 agosto 2023

Riflessioni sotto l'ombrellone

 


Ci sono dei termini che mi fanno sobbalzare perché rimandano di colpo ad una situazione imbarazzante, scomoda o semplicemente spiacevole.

Uno di questi è per me "Sinergia". Lo sentii pronunciare decenni fa ad una cena di lavoro dove un cliente invitava a fare "squadra" in ottica di un interesse comune. Ed intanto un suo tecnico, che si era attardato nel raggiungerci a tavola, stava maldestramente tentando di copiare i sorgenti dell'applicazione che c'era sul mio portatile. Ma lo stava facendo in maniera così maldestra e completamente sprovveduta da avere al seguito soltanto floppy disk ancora da formattare.

Oltretutto ignaro del fatto che avevo messo in atto da sempre accorgimenti per poter dimostrare che il mio PC era stato riacceso durante la mia assenza. Il ragazzo, una volta smascherato, disse che non si aspettava di dover copiare così tanti files e quindi non aveva potuto completare l'opera d'illecita captazione in tempi brevi. 

Anche perché, avendo nutrito qualche sospetto, indussi il suo titolare a telefonargli e così il giovane fu costretto ad interrompersi e ad  affrettarsi nel raggiungerci al ristorante.

Quindi, quando sento parlare di sinergia, rabbrividisco e subito associo il termine ad una imminente fregatura.

Un altro costrutto che mi scompone è la frase "da quando sono bambino" che fiorisce in bocca a tanti per certificare un atteggiamento o un'abitudine inveterata che l'interlocutore manifesta fin dall'infanzia. E secondo me un po' bambino ancora lo è se non sa sostituire, quando ci vuole, un tempo verbale presente con l'imperfetto.

Lo scolaretto ottuagenario

 


Leggere "Il segreto del Bosco Vecchio", a quasi dodici anni di distanza da quando lo fece mio padre, mi fa provare una sensazione strana ed inedita.

Tantissimi anni fa, a mio papà che partiva per le cure termali a Salsomaggiore, diedi come viatico "La fattoria degli animali" ritenendo che non si sarebbe stancato troppo presto essendo il numero di pagine abbastanza contenuto.

Quando ero piccolo mia madre gli dava da leggere qualche articolo di rotocalco o di giornale e lui accompagnava la lettura a voce alta scorrendo il dito sulla pagina, ma procedendo con una totale insicurezza, come avesse imparato a leggere da pochissimo tempo ed ancora faticasse grandemente a riconoscere per bene ogni singola parola.

Se noi, a motivo di questa sua incertezza, lo rimbrottavamo, con un bonario sorriso si giustificava dicendo che la maestra vedendo che aveva imparato a leggere bene prima degli altri compagni, gli aveva affidato il compito di mantenere accesa la stufa e così, mancando l'esercizio, aveva poi disimparato. A far di conto invece è sempre stato abile e su questo non c'era nulla da eccepire.

Mentre si susseguono via via le vicende del libro di Buzzati, non posso evitare di soffermarmi a pensare cosa stesse meditando mio padre durante la lettura di questi capoversi. Nei boschi un po' della tua vita l'hai passata, papà, e quei fantasiosi racconti non ti devono poi essere sembrati così inverosimili.

Nei tuoi anni di vedovanza hai recuperato alla grande il gap accumulato in gioventù e noi, che contribuivamo a stimolare il tuo interesse regalandoti sempre qualcosa di nuovo sperando ricadesse nei tuoi interessi e passioni, non potevamo che essere fieri di questo solerte scolaretto ultra ottantenne che sistematicamente, dopo il riposino, si metteva al tavolo del salotto per dedicarsi metodicamente all'ora di lettura pomeridiana.

E quando un libro ti andava particolarmente a genio, come le storie della Falegnameria Belfaggio, non ti esimevi dal farci partecipi elargendo a nostro beneficio un riassunto così meticoloso e denso di particolari che, tenendo ben desta la nostra attenzione, non potevano evitare di richiamare alla mente gli ormai desueti valori della tradizione orale.

Tracce

 


Mentre son qui steso sul lettino e la brezza di mare rimanda il profumo delle mie ascelle a solleticare le narici che tutto il giorno hanno respirato le goccioline di umidità sospinte dalle onde infrante nella risacca, inforco il cellulare e provo a vedere se riesco a vergare di nero con due righe sensate questo foglio virtuale dell'app degli appunti del mio telefonino.

Vorrei azzardare un collegamento logico fra le riflessioni nate a margine della visione del documentario sull'Homo naledi, un ominide estinto la cui datazione ci spinge a fare un grande balzo all'indietro sino a toccare quasi 300.000 anni fa. Pur appartenendo ad una razza totalmente differente dalla nostra, sembra che abbia lasciato tracce di analogo rapporto con la morte paragonabile a quello che si potrà vedere in tempi più recenti con l'Homo sapiens i cui rinvenimenti risalgono ad 80.000 anni fa. Segni di graffiti, sepolture di corpi che mettono in stretta relazione un antichissimo rito funebre con quanto di analogo siamo soliti fare anche noi ai giorni nostri per gestire il lutto quando perdiamo una persona cara, partecipando cioè coralmente a quell'azione sociale di suffragio che usualmente chiamiamo funerale.

Pie illusioni, per scomodare una definizione di foscoliana memoria, di cui condiamo la nostra esistenza per seguitare a vivere oppure un innato senso del divino e del soprannaturale ben cablato nel nostro DNA fin dal principio, fin da quando cioè ancora non eravamo ben formati come genere umano, né era ben definito con certezza il ceppo che avrebbe prevalso su tutti gli altri e lentamente si sarebbe elevato fino a dominare?

È una domanda aperta che per forza di cose non può avere una conclusione certa ed univoca se la Rivelazione e la fede non vengono in nostro soccorso per aprire uno spiraglio di luce là dove sembra tutto offuscato e buio. Quella Trasfigurazione che la liturgia odierna ci pone davanti come riflessione e che di fatto rappresenta un'anticipazione di un paradiso di cui dobbiamo imparare a godere ancora su questa terra e di cui l'amore, specialmente quello sponsale, sancito o meno da un atto pubblico di convalida, ne è mirabile prefigurazione.