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sabato 26 dicembre 2015

Va dove ti porta la cyclette

Nei giorni scorsi avevo chiesto a Maria Luisa di comperare una gallina da fare bollita e che poi avrei preparato coi pinoli e l'uvetta passa, così come l'avevo assaggiata in antipasto alla cena aziendale settimana scorsa. Al supermercato, dove solitamente si reca per le compere familiari, mia moglie è riuscita a scovare un esemplare dalle carni non troppo flaccide come è smaccatamente usuale trovare fra i polli d'allevamento. Dopo svariate ore di cottura abbiamo ricavato un brodo gustoso e delicato dal vago sapore di una volta, in cui volentieri oggi a pranzo abbiamo annegato dei tortellini di carne. Li ho degustati con solenne piacere in questa festività del protomartire in cui si dovrebbe fare qualche timido tentativo di rimettere ordine al bilancio energetico e all'apporto calorico del proprio corpo.

Ma l'attenzione a tavola e la dieta non bastano perché per me è veramente difficile non cedere alle lusinghe delle varie portate e all'ammiccante invito di succulenti piatti che in queste giornate ci si concede un po' troppo facilmente facendo festa ed indugiando a tavola in compagnia delle persone care. E così nell'ultimo periodo ho voluto mettermi d'impegno e con una certa determinazione sto cercando di fare un po' più di moto per la salute del corpo. A scanso d'equivoci avviso subito che non mi vedrete in giro per il mondo indossando attillate tutine, né zompettare goffamente percorrendo una pista ciclabile di periferia o lungo gli argini del maestoso fiume.

Qualche anno fa regalammo a nonna Carla una cyclette con l'augurio che potesse servirle per effettuare qualche pedalata e tenere in movimento le doloranti gambe. Ora che per lei è diventato problematico perfino montarvi in sella, la bici da camera è migrata nel nostro salotto, dove ogni tanto riesco a rimuoverle la povere dai pedali. Disporla davanti alla TV è stata la chiave di volta che ha permesso di sorreggere tutti i miei buoni propositi di un maggiore impegno in questo senso.

Terminata la cena, comincio mollemente ad inanellare le prime pedalata mentre col telecomando sfoglio fugacemente le pagine del Televideo per mettermi al passo con gli avvenimenti della giornata. La nostra non è una cyclette che consenta di tenere in esercizio anche gli arti superiori e così sopperisco autonomamente con qualche movimento delle braccia e torsione del busto evocando quanto si faceva nelle ore di educazione fisica a scuola. Ogni tanto però butto l'occhio sul display per avere un ragguaglio riguardo alla velocità media tenuta, ai chilometri percorsi oppure alla frequenza del battito cardiaco. Il medico di lavoro mi ha detto che posso spingermi senza timore fino a 120 battiti al minuto. Ma il dato a cui sono più interessato è il numero delle calorie ipoteticamente smaltite. Il target personale si attesta preferibilmente intorno a quota 250, che raggiungo talvolta in tre quarti d'ora abbondanti di pedalata.

Ieri sera, facendo zapping a rotazione fra i vari canali che solitamente scorro, non riuscivo a trovare nulla di sufficientemente carino da rendermi piacevole il continuare a restare in sella. Mi sono allora spinto a cercare anche fra le stazioni che di solito snobbo e così mi sono imbattuto ne "Il favoloso mondo di Amélie", che ho rivisto quasi con lo stesso immutato piacere della prima volta. Quando era uscito il film, avevo letto la recensione che parlava del grande gradimento di pubblico avuto in Francia; pertanto una sera sono andato a vederlo coi ragazzi alla multisala. Lo trovavo spassoso e divertente soprattutto per le numerose immagini che davano corpo ai pensieri ed alle fantasie della protagonista che aveva assunto come missione propria quella di dedicare il suo tempo a "rimettere a posto le cose" che non vanno nelle vite di chi le sta vicino. Alla fine anche Amélie riuscirà ad essere felice avendo aiutato i suoi cari e trovando lei stessa l'amore.

E mentre finisco di scrivere queste parole, quasi mi sorprendo nel constatare ancora una volta come a me sia successa praticamente la stessa cosa. Giorno dopo giorno cercavo di prendermi cura dei ragazzi, viziandoli con divertimenti e svaghi in quantità decisamente superiore alla media di quello che avevamo dispensato loro negli anni precedenti, quando ancora potevano godere dell'affetto di una madre. E pian piano la vita andava ricucendo quella trama di occasioni e possibilità che hanno avuto poi compimento con l'incontro di Maria Luisa.

giovedì 26 novembre 2015

Inutilmente vecchi

Per certo nell'ultimo periodo ho tenuto bassa l'asticella della riflessione interiore occupandomi piuttosto di cose decisamente irrilevanti. Tornando ora dalla celebrazione funebre per le esequie di Claudia, è forse il momento propizio per lasciarmi andare a qualche considerazione un po' più intima, come sarebbe più consono allo spirito di questo blog rispetto piuttosto alla narrazione di una disavventura patita con un operatore telefonico.

Domenica pomeriggio Claudia viaggiava in auto con le cugine in direzione di Salò. Pare che l'autista che stava procedendo nell'opposto senso di marcia sia rimasto abbagliato dal sole, che in questo periodo è piuttosto basso all'orizzonte, ed abbia invaso l'altra corsia causando un devastante incidente. Nello scontro frontale ha perso la vita la moglie dell'autista stesso ed il giorno successivo anche Claudia che è stata compagna di classe di Alessandra.

Abbiamo trascorso qualche momento di apprensione nella vana speranza che le cose non volgessero al peggio, pur nella drammatica situazione constatata fin dai primi momenti e poi in ospedale dove era stata portata con l'eliambulanza. Una delle cugine, pure lei compagna di classe di mia figlia, è uscita da questo incidente praticamente illesa. Sono pertanto riuscito oggi a stringerle la mano e darle un bacio mentre ancora restava nei banchi della chiesa per il saluto dell'immensa folla convenuta per il funerale. Seduto al suo fianco c'era il fidanzato visibilmente commosso a cui avrei voluto chiedere quale pensiero custodiva nel cuore per la buona sorte toccata alla morosa.

La terza del gruppo si trova ancora in ospedale. Non ho potuto quindi ricambiare quel saluto che mi aveva affabilmente indirizzato con lo sguardo dalla sua auto mentre ci siamo incrociati allo stop sabato scorso, lei in macchina ed io a piedi. Chi avrebbe detto che il giorno seguente quel sorriso sarebbe stato bagnato dalle lacrime ? Chi avrebbe detto che quell'utilitaria, che cautamente attendeva di svoltare verso casa, sarebbe rovinosamente andata in fiamme ?

In questi momenti non ci sono parole. Nessuna frase sembra adatta per dare consolazione a chi perde all'improvviso una giovane vita. Ma forse non ce n'era neppure bisogno perché la famiglia di Claudia è straordinariamente forte. Come lo è pure quella di Silvia e Chiara il cui padre è quotidiano dispensatore di sorrisi e parole gentili, nonostante la sclerosi multipla da un po' di anni abbia deciso di creargli qualche complicazione.

Se la prematura dipartita di Claudia fosse servita anche solo a strapparci una riflessione in più sul destino comune che ci attende nella casa del Padre, allora per lei missione compiuta. Così lo zio don Antonio nell'omelia della messa che ha presieduto assieme a tanti confratelli. Nel finale ho poi apprezzato il tributo di un amico che ci invitava a sostenere Maria Teresa, la mamma di Claudia, affinché non smettesse di dispensare il suo sorriso. Quel sorriso che anch'io ho ricevuto nei miei duri anni di vedovanza, in verità assieme a quello di Rosangela, madre delle due cugine.

Un fugace saluto scambiato attraversando la corsia di un supermercato o lungo la strada. Un sorriso che ha avuto il potere di tenere viva la speranza e di dare un momento di sollievo all'anima in quei momenti di triste solitudine. E così ora mi auguro di avere la capacità di restituire nei giorni a venire almeno uno di quei sorrisi che a suo tempo ho ricevuto. Giusto per non tralasciare di compiere semplici gesti d'amore e diventare inutilmente vecchi.

sabato 7 novembre 2015

Pronto Telecom?

Quello che sto per raccontare ora è la fine di un sodalizio durato oltre 28 anni fra me e la Telecom. Intendiamoci, la mia vicenda non sarà di certo emblematica per definire la qualità del rapporto che l'operatore telefonico riserva ai suoi clienti più affezionati, ma sicuramente è per me occasione per descrivere come le cose sono andate ed esercitare in un certo qual modo un grado di rivalsa effettuando una pubblica denuncia.

Verso la fine di luglio, giusto poco prima di partire per le ferie d'agosto, ricevo la telefonata da un operatore che mi avvisa riguardo al mancato pagamento dell'ultima fattura bimestrale di Telecom che era in scadenza il 10 luglio 2015. Subito m'innervosisco perché non tollero molto che mi si dia del cattivo pagatore quando questo non corrisponde alla realtà dei fatti ed è per me un vanto, oltre che aspetto caratteriale, onorare sempre con un certo anticipo l'adempimento di qualsiasi pagamento senza mai aspettare rigorosamente l'ultimo giorno utile.

Ho pertanto prontamente risposto che il versamento della quota era stato effettuato con bollettino di conto corrente postale di cui potevo fornire immediatamente estremi. L'operatore, informato riguardo alla modalità di pagamento, mi ha subito rimbeccato dicendo che l'informazione del pagamento tramite ufficio postare a loro non sarebbe risultata prima di 40 giorni. Potete quindi immaginare come mi sia ulteriormente irritato per una chiamata di sollecito là dove non erano - per ammissione stessa dell'interlocutore - neancora trascorsi i termini per la reale verifica dell'incasso.

Pur non di meno ho recuperato la copia del versamento ed ho comunicato a voce gli estremi stampigliati sulla ricevuta che era stata da me regolarmente pagata il 7 luglio 2015. La telefonata si concluse con il mio auspicio di non incappare successivamente in ripetuti inconvenienti di tal fatta, visto che con la fattura successiva Telecom Italia ed ora TIM avrebbe proceduto con una cadenza mensile e non più bimestrale.

Lo so che qualcuno si domanderà come mai non abbia effettuato da tempo la domiciliazione bancaria che avrebbe probabilmente evitato questo disguido. E' una scelta mia e se viene fornita la facoltà di effettuare un pagamento attraverso un qualsiasi mezzo alternativo, credo che sia mia diritto esercitarlo ed ho continuato a farlo anche col passaggio alla rateizzazione mensile perché per me non è un problema, bensì un piacere, recarmi in pausa pranzo all'ufficio postale del paese in cui lavoro.

Proseguo con la narrazione della traversia. Grosso modo il 17 settembre ho ricevuto la lettera da un fantomatico operatore di Bari che intimava il pagamento della fattura di luglio allegando nuovo bollettino postale oppure documentare il pagamento inviando un FAX al numero indicato entro e non oltre 15 giorni dalla data della presente. Che a conti fatti, guardando il giorno di redazione della missiva, avrebbe corrisposto a due giorni più in là rispetto al ricevimento della missiva stessa. Ho pertanto effettuato alcune fotografie al bollettino postale comprovante il pagamento e grazie alla gentile collaborazione della ditta per cui lavoro sono riuscito ad inviare tutto sommato appena in tempo la documentazione richiesta.

Pensavo di aver risolto definitivamente la questione. Invece, uno dei primi giorni di ottobre, mentre sono al lavoro ricevo da mia figlia un messaggio che m'informa riguardo al non funzionamento di internet a casa già da diverse ore. Il che le sta impedendo di effettuare ricerce per la redazione della sua tesi di laurea. Approfittando della pausa pranzo, chiamo il 187 e dopo la solita attesa di rito in cui non manca lo sberleffo della fatturazione diventata mensile per maggiore chiarezza e semplicità, riesco finalmente a spiegare la situazione all'operatrice e ad ottenere la segnalazione di cliente critico nonché il ripristino della linea dopo poche ore, come prontamente comunicatomi sempre via messaggio da mia figlia.

Ricevo qualche giorno più avanti un'ennesima lettera dalla stessa agenzia di Bari, con medesimo bollettino allegato, ma senza ulteriore indicazione di FAX a cui inviare eventuale documentazione di pagamento e con la postilla di non considerare l'avviso se in realtà il pagamento è già stato effettuato. Ovviamente che il pagamento è già stato effettuato, ma presso di voi evidentemente c'è qualcosa che non sta girando per il verso giusto. Alzo nuovamente la cornetta e chiamo il 187 cercando di mantenermi decisamente più calmo rispetto alla volta precedente. Racconto nuovamente tutta la trafila e comunico ancora a voce gli estremi del pagamento effettuato a luglio.

E nel frattempo arrivano i primi giorni di novembre. Non solo ho pagato l'ultima bolletta bimestrale di luglio. Ho pure versato la quota per quella di agosto, settembre, ottobre ed il 3 novembre pure quella in scadenza per la prima decade del mese corrente. Il giorno 5 novembre mi arriva messaggio dalla figlia che internet di casa nuovamente non va. Le rispondo soltanto che ora hanno rotto tutti.

In pausa pranzo ho velocemente stipulato contratto con un nuovo operatore e l'attesa non mi sta per nulla pesando perché nel frattempo ho scovato sul sito Telecom i passi da fare per sporgere reclamo. Ne bastava una, ma ho percorso ben due strade. FAX al numero 800 000 187 e lettera raccomandata alla casella postale 211 al 14100 di Asti. Tutto sommato, più il nuovo operatore ritarda ad attivarmi la linea, più a lungo dureranno i giorni di ingiusta sospensione del servizio e del risarcimento a cui avrò diritto.

Sia chiaro, non ci mangerò neppure una pizza coi famigliari a motivo dell'esiguo indennizzo giornaliero indicato nella carta dei servizi. Ma non sono mai stato venale. Non è il denaro quello a cui miro. Tant'è che alle numerose chiamate dei vari call center che ripetutamente mi presentavano offerte per cambiare operatore telefonico, ho spesso risposto che mi piaceva spendere di più e che non ero intenzionato a cambiare contratto e che li avrei richiamati personalmente in caso di ripensamento. E così è stato.

sabato 24 ottobre 2015

Outing

 Avevo circa trent'anni quando arrivava il venerdì e guardavo con una certa tristezza al fine settimana perche poneva uno stop allo sviluppo del sofware e non vedevo l'ora del lunedì per rimettermi davanti al PC e continuare quel che stavo facendo oppure iniziare una cosa nuova.

Adesso no. Arriva il venerdì e corro a casa contento. Felice di godere la famiglia, la casa ed il tempo libero. E quando arriva il lunedì vado al lavoro con lo stesso entusiasmo di una volta perché ho ancora una grande passione per la scrittura del software.

sabato 26 settembre 2015

Il primo giorno più bello

Non penso di fare torto a Maria Luisa se rammento che oggi sono esattamente ventotto anni dal mio matrimonio con Santina. Questi ricordi ci appartengono e vale darvi una rispolverata per ravvivarne la memoria e rendersi consapevoli che qualche momento d'intensa felicità e grazia ha attraversato la nostra vita.

Ho già ricordato in un post precedente la similitudine fra i due matrimoni, almeno nella parte iniziale che precede la cerimonia. Anche allora mi recai di buonora dal caro barbiere di sempre, Ferruccio, per una ritoccatina ai capelli che avevo provveduto a spuntare il giorno precedente. E poi di corsa a casa ad attendere i parenti che man mano sarebbero arrivati prima di andare in chiesa a celebrare le nozze.

Non ero agitato neppure quella prima volta. Per ovvie ragioni il tempo tende a sbiadire alcune memorie, anche se di tanti ricordi c'è un'impronta indelebile che talvolta riaffiora grazie al contributo o allo spunto offerto da qualcun altro. Ed una di queste situazioni si è di certo presentata con la visita di mia zia Lucia il giorno seguente la morte di Santina.

Quel 26 settembre di tanti anni fa non era, meteorologicamente parlando, un bel giorno. Il cielo era cupo e già si presagiva l'imminente arrivo di un po' di pioggia. All'uscita di chiesa, la cara zia ebbe a rivolgersi a Santina con la ben nota frase: "Sposa bagnata, sposa fortunata". In tutta risposta la neo consorte ebbe a dire che lei era fortunata per altre cose e non perché pioveva. E la zia evidentemente non deve essersela fatta scivolare di dosso se dopo 13 anni ha sentito forte l'impulso di rammentarmela in quel triste momento.

Mi rendo conto di non rispettare il rigoroso ordine cronologico degli eventi, ma non importa. Seguirò un po' l'evolvere dei pensieri e, come sempre capita, darò prevalenza ad alcuni fatti piuttosto che ad altri. Per il resto varrà l'insindacabile arbitrio dello scrittore.

Giunta l'ora, le undici anche quella prima volta, restavo in attesa sul sagrato della nostra chiesa parrocchiale. Santina abitava nella casa poco discosta nella via antistante. Dal rialzo di quei pochi gradini su cui mi trovavo riuscivo a scorgere la fuoriuscita dei suoi famigliari dal portone di casa. Lei, invece che a piedi, percorse quel breve tratto a bordo dell'auto che la sorella si era fatta prestare dal proprio datore di lavoro per farci da guida.

Mia suocera Maria tiene, da qualche parte ben evidente in casa sua, la fotografia di Santina raggiante che scende dalla Mercedes. Questo, poco prima che mi venga incontro e si prenda, assieme al bouquet che di lì a poco le porgerò, anche il primo casto bacio sulle gote per non stropicciare il delicato velo che le lucidava le labbra.

Non sento ora il dovere di narrare altri particolari della cerimonia e, con grande balzo, salto direttamente al pomeriggio quando nella breve pausa fra una portata e l'altra, siamo usciti nel giardino del ristorante per una foto di gruppo. Più volte a tavola ci eravamo sottratti all'invito del bacio a cui i commensali a più riprese ci esortavano con corale invocazione.

Orbene, in una ripresa filmata effettuata dallo zio Mario, mentre stavamo rientrando nel locale dopo una posa fotografica, s'intravede mio cognato che va verso la madre e fa come il gesto di baciarla dando ad intendere che non ci voleva poi tanto e che pure lui, neo diciottenne, avrebbe saputo bene come comportarsi per dar soddisfazione all'ampia platea.

Alla posteriore visione di quel filmato che svelava il retroscena di quella circostanza, ci venne da sorridere perché la nostra non era incapacità, ma un comportamento concordato in precedenza perché non ci piaceva rispondere a comando e se un bacio volevamo darcelo, doveva essere per nostro desiderio personale. Eppoi, sei anni abbondanti di fidanzamento costituiranno pure un tirocinio più che sufficiente per saper dare un bacio alla francese come si deve.

Il resto è storia. Del secondo giorno più bello della mia vita ho già parlato diffusamente anche in altre occasioni proprio su questo blog. Ma di quel primo sabato era giusto per me, e per Santina, apporre un breve ricordo ora per sottrarre all'oblio alcuni momenti di serena felicità.

sabato 29 agosto 2015

In un posto bellissimo

V'informo subito che il titolo del post corrisponde esattamente al nome del film che l'altra sera Maria Luisa ed io abbiamo visto al teatro Filo di Cremona. Detto fuori dai denti, la proiezione non mi ha entusiasmato granché e la cosa non mi ha stupito più di tanto perché sappiamo benissimo che in quella sala si vedono raramente pellicole d'impatto spettacolare. Chi gestisce il palinsesto sembra avere una cura meticolosa nello scegliere ciò che in una multi-sala difficilmente troverebbe posto proprio perché inadatto a riempire tutte le poltrone. Tra la platea e la galleria non avremo raggiunto le trenta persone. E forse ho anche largheggiato nella stima perché quando mi sono sporto dalla balconata all'inizio non ne vedevo sedute più di due e lì sopra dov'eravamo ce n'erano con noi quattro in totale e non sono più aumentate.

Ma il numero di quelli che assistono alla proiezione non è per me fondamentale per giudicare la gradevolezza di un film, anche se in qualche modo una correlazione ci dovrebbe essere. La sensazione avuta fin dai primi fotogrammi è stata quella di un avvicendarsi di situazioni in cui sembrava che qualcosa d'importante stesse per accadere, ma in realtà non succedeva proprio nulla e la vita della coppia raccontata sullo schermo procedeva sempre uguale e sotto tono, così come era iniziata. Anche se la narrazione non era del tutto esplicita, si capiva che nel pregresso dovevano esservi stati nel vissuto della protagonista drammi personali che condizionavano pesantemente l'oggi. La donna aveva perso una carissima amica tantissimi anni prima; era stata in analisi e con difficoltà ricostruiva ora un rapporto con la madre della compagna di gioventù. Il marito, pur apparendo moderatamente premuroso nei confronti della consorte, sembrava in realtà dedicare le proprie attenzioni migliori ad una relazione extra coniugale. Il loro unico figlio, ormai in età adolescenziale, stava attraversando quel periodo senza particolari scossoni o entusiasmi tanto che del suo primo bacio ad una ragazza la madre viene a sapere dal padre come se si stesse parlando di normale amministrazione.

In questo contesto famigliare non deprimente da vedere, grazie soprattutto alla buona fotografia ed alla gradevolezza fisica degli attori, le situazioni si dilungano per giorni e giorni nella più completa noncuranza di entrambi, senza un minimo cenno di ribellione o men che meno di discussione riguardo alla penosa deriva in cui il rapporto di coppia dei protagonisti si sta trascinando. Alla fine dei conti il film, pur se accettabile testimonianza di molte situazioni coniugali che si macerano senza afflato per lunghi anni, secondo me non riesce ad entusiasmare lo spettatore che alla fine viene quasi sorpreso dai titoli di coda. Si resta seduti ancora per un po' in preda allo sconcerto e quasi timorosi di fare la figura degli stupidi che non han ben compreso il filo conduttore della storia cinematografica raccontata. E che pure ha ricevuto sovvenzioni di sostegno per la sua realizzazione. Una riflessione, insomma, sul matrimonio e sulla coppia che forse non abbiamo tantissima voglia di vedere al cinema perché probabilmente fin troppo usuale nella vita reale.

Dal mio punto di vista, la situazione denunciata nel racconto cinematografico, ancorché reale, non ha senso di esistere. E' per me inconcepibile trovarsi all'interno di un rapporto coniugale e viaggiare su strade parallele, tendenzialmente divergenti, senza compartecipazione alcuna, senza rendersi minimamente conto dell'altrui stato di difficoltà oppure esserne del tutto consci, ma non fare assolutamente niente per cambiarlo in meglio. Accontentarsi insomma di risposte stereotipate e false in cui si dichiara che tutto va bene ed in realtà non va bene nulla e dietro quella risposta c'è tutto un mondo di scontento che separa le persone con un sottilissimo diaframma che la volontà di nessuno dei due vuole abbattere. Si capisce così come poi col passare degli anni, per non dire decenni, si riesca a costruire quella sorta di tomba matrimoniale che fa convenire ai più come sia meglio non sposarsi affatto. O, al contrario, quanto sia più conveniente dire addio una volta per tutte ai propri impegni presi con solennità ed apparentemente in modo sincero in un giorno ormai lontano.

La storia che vorrei veder raccontata è un'altra. E' quella di una coppia normale, come tante altre, che non fa nulla di particolarmente eclatante, ma che vuol essere felice e si impegna ogni giorno perché ciò avvenga. Che si esercita quotidianamente nell'attenzione all'altro e lo fa primariamente con chi è vicino ancor prima di guardare anche a chi è lontano. Che non ha timore delle difficoltà perché ha fiducia e sa che queste, così come sono arrivate anche se ne andranno. Che si prodiga con impegno generoso con uno stile di vita dove si è primariamente dediti a dare all'altro piuttosto che a pretendere che sia l'altro a farlo. Un film così, ne sono sicuro, non piacerà a molti. Ma una vita così, ne converrete, piacerebbe a tutti.

venerdì 31 luglio 2015

Inaspettatamente

Inaspettatamente, quasi sul filo di lana, eccomi qui a pasticciare ancora un po' su queste pagine prima che questo mese lasci il posto a quello nuovo che avanza. C'è la luna là fuori che mi tien desto, velata e non limpida come la si vorrebbe vedere sempre. Cosa si dibatte nel mio petto inquieto in questa calda serata d'estate? Non è un cuore di licantropo che mi agita e tiene sveglio, ma l'ennesima giornata intensa, densa delle solite cose e pur anche di qualche germe di novità che soltanto il tempo saprà disvelare compiutamente.

Se devo dirla tutta non mi sento più così libero come una volta nell'esprimere il mio pensiero. Quante noie m'inseguiranno per aver proferito apertis verbis ciò che mi frulla in testa. Un po' di attenzione a ciò che si scrive sembra allora d'obbligo. Ma non fa per me, non è congeniale al mio carattere schietto e sincero che non vorrebbe mai trattenersi dal dire quello che pensa, come un libro aperto che segreti non cela, come un palmo dischiuso che non nasconde ciò che sorregge per mostrarlo al mondo e far partecipi tutti del proprio fugace attimo di felicità.

Ed allora sarebbe meglio tacere per non dilungarsi vanamente in un periodare forse elegante, ma fatto di niente. Tuttavia non tutto si comprende e talvolta è bene assecondare una sensazione sia pur vaga che spinge ad uscir fuori allo scoperto. Per sottolineare ancora una volta il mistero profondo che ci circonda, che non è fatto di vuoto, ma è denso di significato così che solo una lingua muta ed un orecchio attento sono in grado di captare.

A volte le novità non hai neppure bisogno di cercarle. Ti si paran davanti inaspettate...


martedì 2 giugno 2015

Del più e del meno

Mentre Maria Luisa corregge le ultime prove di scuola, accendo svogliatamente il suo portatile e provo a scrivere qualcosa anch'io senza tema di giudizio, senza sentirmi costretto a farlo.

Spalanco i vetri e butto lo sguardo fuori dalla finestra. Promana dall'esterno un po' di calura in questo pigro pomeriggio di giugno. Alzo lo sguardo al di là dei palazzi e vedo un festoso azzurro che mi saluta ed invita ad uscire. Desisterò ancora un po'.

Nel frattempo la moglie si concede una pausa fra la noia delle correzioni e mi viene a portare un piccolo pezzo di cioccolata. Conosce le mie debolezze, ma non voglio cedere ancora. Sposto il ritaglio sull'angolo della risma di fogli della stampante e resto concentrato.

Potrei scendere anch'io al bar, uno dei tanti qui nel centro. Mettermi in mostra come blasonato scrittore che solo nella confusione e nel viavai di mille persone riesce a trovare lo spunto decisivo per un nuovo capitolo che poi darà in pasto all'editore.

Pensione, lavoro. Questo il dilemma. Che potrei fare se già fosse per me giunto il momento del congedo dalle attività produttive? Forse è meglio che cominci a pensarci un poco. Dopotutto non son più tanto giovane e potrei esser colto alla sprovvista e non saper bene come macinare le lunghe oziose giornate della quarta età.

Non la terza, di sicuro, perché dobbiamo mantenere impossibili equilibri economici. Precari a tal punto che, appena il nostro passo sarà levato per muoversi sull'ultimo gradino, un'altra rampa inaspettata, ma sicura ci attenderà oltre il ballatoio che pensavamo meta di riposo e ristoro.

Chissà se avrò voglia di riprendere ancora in mano colori e tele e rintanarmi lassù dove ora sonnecchiano oziosi i piccioni. La fervida immaginazione mi vede accatastare una dopo l'altra le tele dapprima maldestramente imbrattate; e poi, man mano che l'abitudine rende il tratto più fermo e deciso, un po' di gradevolezza nell'insieme si potrà intravvedere.

Amore, vuoi un caffè? Declino anche quello e proseguo per la mia strada. Che poi in realtà non mi muovo neppure di un centimetro. Solamente le dita si concedono una delicata e breve danza su questi tasti e, quando avrò finito, neppure di un lembo avrò bisogno per tergermi la fronte.

Non è fatica, non è affanno. Una manciata di lettere sparse qua e là tengono imbrigliati i pensieri ed impediscono loro di salire sul tetto ad inseguire festosi gorgheggi d'uccelli che volano via e ritornano, come le stagioni, i giorni, gli anni.

Suonava una campanella che non si era accorta del dì di festa. Oppure qualcuno ha lasciato che squillasse ancora per me. Poche ore ormai e poi di nuovo il tempo dell'ozio. Le passioni, gli amori fugaci di una fin troppo breve estate. Torneranno le nebbie ad inamidare d'impegno le nostre giornate invernali.

sabato 30 maggio 2015

Spazio all'immagine

Da un po' di tempo a questa parte ho sempre anteposto una fotografia ad ogni post che andavo pubblicando su queste pagine. Questa volta voglio dare maggior spazio all'immagine, anche se non mi asterrò completamente dall'aggiungere una didascalia oppure un commento per questa passione che ormai è diventata per me quasi una mania.

"Non ci son più i ladri di una volta", verrebbe quasi da dire. Come si può infatti lasciare la propria due ruote completamente incustodita in mezzo alla piazza? Il mio pieno plauso per chi s'è lasciato andare a quest'atto di fiducia nell'onestà altrui.

"Scrivi sulle mie verdi righe". Uno spazio lasciato virtualmente aperto per chi sa apprezzare uno sfondo dal colore distensivo e nel contempo non ama andare storto ed ha bisogno di una traccia evidente per mantenere le proporzioni ed il giusto allineamento della propria grafia.

"Seguire la linea gialla". Per chi ha bisogno di una traccia luminosa ed evidente. Per chi non gradisce di muovere il passo nell'incertezza oppure nel buio. Il cammino e la direzione sono indicati, ma tocca a noi fare il primo passo. Tocca a noi andare incontro alla meta.

"Il punto G". Sì, proprio così. Il punto di convergenza di ogni più recondito desiderio. Il target da raggiungere con spasmodico afflato. Chimera, miraggio? No, semplicemente punto di partenza per un'armonia dei sensi che lascia intravvedere nuovi orizzonti.

"False verità". Ovvero miti da sfatare. Di cattivi consigli ne son piene le piazze. Distruggere è facile. Ma se la pars construens non segue immediatamente alla destruens, le rovine stan lì a testimoniare soltanto l'insana follia.

"Graffiti". Se proprio si deve imbrattare il muro, che sia di variopinti colori per dar sfogo ad una traboccante creatività che esce dall'ombra e regala un momento di luminoso fulgore al distratto viandante per spettinargli di dosso un po' del suo quotidiano grigiore.

"Tutta la vita è una passerella". Ed anche noi ambiamo e vogliamo afferrare i nostri 15 minuti di celebrità. Ma non sempre il trasbordo è verso l'alto. Talvolta ci fa scivolare in basso e trascinare via dalla corrente. Aggrappati forte! Non cedere alle lusinghe dell'effimera fama.

"The wall". C'è come un muro di separazione fra noi e l'alterità. Un valico arduo dove breccia non c'è. Nulla possono le nostre unghie, nulla può abbattere quel diaframma. Solo la mente riesce a dissolvere questa immaginaria barriera che digrada verso l'infinito, dove le line parallelamente convergono in un unico punto.

"La pecora nera". C'è sempre un diverso in mezzo agli altri. Eppure anche lui fa la sua parte, né più né meno di tanti, tutti omologati, tutti inquadrati. Spicca il suo peculiare colore. La nostra attenzione è calamitata ed attratta da tanta rimarchevole diversità che, in fin dei conti, è soltanto mera apparenza.

"Il vestito più bello". Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.

"Balcone fiorito". Che importa se è soltanto il ciglio di una strada, la ringhiera che fiancheggia un marciapiede? Talvolta l'immagine è pura fantasia cosicché uno vede ciò che vuole, anche quando non vuole vedere.

"Cielo e terra in contatto". Come due elettrodi, come due punte che si sfiorano in un intenso scambio di energia che fa scoccare la scintilla fatale. Come la punta di due dita che si protendono l'una verso l'altra, prima d'infondere il soffio vitale.

"Devozione". E per finire questa breve carrellata, e con essa anche il mese di maggio, uno sguardo estatico alla Vergine che accoglie con braccia aperte chi sa stare al suo cospetto con sguardo ammirato ed innocente di bambino.


domenica 26 aprile 2015

Per chi suona la campana?

"Dong! Dong! Dong!"

Inizia la bella stagione e di nuovo terremo aperte le finestre dell'ufficio, quando il sole non ha ancora girato l'angolo della casa e s'intrufola impertinente e va a sbattere sullo schermo del nostro PC. In verità più quello del collega che il mio che può godere la posizione di un lato più favorevole.

E dai vetri lasciati aperti, assieme al rumore gradevole dell'estate che avanza, sovente entra anche un'eco lontana di una campana che batte il cupo rintocco per qualcuno che è morto.

Per chi suona la campana? Chi è chiamato oggi all'appello che non può disattendere? Son qui che lavoro, come può quel rintocco essere per me, reclamare l'attenzione di colui che sta spulciando un bug oppure tesse la trama di un invisibile ordito nascosto dietro le pieghe di cento, mille bit?

La vita è un soffio e solo all'uomo distratto pare un'interminabile noiosa sequenza di giorni tutti uguali. Perché le mie dita continuano a danzare su questi tasti? Dovrei forse fuggire lontano anch'io come quei tordi chiassosi che si danno appuntamento sui rami dell'uliveto davanti all'ufficio prima di partire in massa per altri lidi all'approssimarsi della cattiva stagione?

Fuggire lontano non serve se ciò da cui si vuol scappare è dentro se stessi. Eppoi, dove andare? Quale meta migliore della pena di ogni giorno che in realtà pena non è, se il tuo impegno è proteso a realizzare qualcosa che prima non c'era e adesso è lì, non per l'altrui intralcio, ma perché sia alleviata una fatica, perché sia rimosso un fastidio?

"Dong! Dong! Dong!"

Suona per me questa campana? E' questa l'ora di andare? Com'è possibile, ho ancora un sacco di cose da fare? Ma ne avevano anche quelli che ci hanno preceduto. Son io più indispensabile di loro? Mi sarà concesso un giorno in più per dipanare un altro algoritmo, per svelare il mistero sotteso in un pugno di bytes?

Mille vite in una sola ed una soltanto non basta a viverle tutte. Ogni età ha le sue ansie di compimento, ma beata quella per cui felici ci si addormenta perché non si è lasciato nulla d'intentato e per cui si possa dire che tutto è compiuto.

Sì, ora è giusto che la campana suoni e felice il cuore di colui che vuole che suoni per sé. La meta è raggiunta, il premio conquistato.

"Dong! Dong! Dong!"

(Niente di più aberrante pensare che presto la vita quest'uomo voglia lasciare)



sabato 4 aprile 2015

Gesù bambino

Quel bambino che tanto ci aveva intenerito e a cui tutti avremmo dato un buffetto sulla guancia, se soltanto fossimo potuti stare là, è diventato grande ed è ora la nostra immensa delusione. Non più paglia sotto la sua schiena, ma duro legno imbrattato di sangue. Come può costui avere la pretesa di salvare il mondo? Forse perché dal grembo insanguinato di una donna viene al mondo una nuova vita fra spine di dolore?

sabato 21 marzo 2015

Finché la trottola gira


«I ragazzi di oggi hanno una prospettiva che non è mai esistita prima: una lunga vita attiva. Quando io ero giovane, la vita era ben più breve e l'invecchiamento era visto solo come decadimento e perdita di possibilità. Oggi invece si può invecchiare migliorando le proprie capacità, coltivando interessi e passioni, continuando a vivere con intensità. L'orizzonte che hanno oggi i giovani è di più lungo periodo: avete una vita lunga, pensatela con ottimismo.» Parola di un uomo che ha 88 anni e una testa lucidissima, una persona piacevole da seguire nei suoi ragionamenti, con un'agenda sempre piena, che non si spaventa ad andare ancora a insegnare a Napoli, anche se questo significa viaggiare avanti e indietro da Milano tutte le settimane durante il semestre del corso.

(...)

«Ai ragazzi, io che ragazzo non lo sono più da tanto tempo visto che ho 88 anni, voglio dire: "Non inchiodatevi al tempo presente e al passato come se fossero le uniche certezze, ma immaginate il tempo futuro. Si è smarrito il concetto di futuro, quindi l'opportunità di poter trovare soluzioni innovative. E' sbagliato pensare che le cose rimarranno così: guardate come sono cambiate in dieci anni e avrete la certezza che fra altri dieci anni il mondo sarà ancora diverso, e non sta scritto da nessuna parte che debba essere in peggio. Anche nelle situazioni più cupe e difficili c'è sempre la potenzialità non per fare miracoli ma per migliorare la situazione, per tenere vive le istanze di cambiamento. Fate cose innovative, cercate di influire sulla realtà che vi circonda, non bloccate, non svalutate e non impedite alla vostra individualità di emergere. Ma, soprattutto, non rinunciate mai alle vostre possibilità anche di fronte agli insuccessi".»

Nella sua vita ha scritto sessanta libri, gli chiedo quale devo leggere per avere una sintesi del suo pensiero positivo. Non ci pensa molto e mi allunga un libretto autobiografico, che ha in copertina una trottola rossa. «Basta che si ricordi l'immagine di copertina, è questo il segreto per invecchiare bene: finché la trottola gira rimane in piedi, quando si ferma è finito il gioco. Per questo non bisogna mai perdere le occasioni, ma continuare a muoversi, a cercare, a leggere, ad avere rapporti sociali. Non state ad aspettare: fate girare la vostra trottola e non fermatevi di fronte alla prima caduta.»

MARIO CALABRESI
Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa
MONDADORI

STORIE DI RAGAZZI CHE NON HANNO AVUTO PAURA DI DIVENTARE GRANDI

sabato 21 febbraio 2015

Fine vita


Ieri sera, poco dopo aver telefonato a papà e non essere riuscito a mettermi in contatto con lui, ricevo un breve messaggio da Alessandra. Mi dice che il nonno non aveva potuto rispondere perché impegnato con lei nella medicazione. Il messaggio viene subito seguito da un altro in cui mia figlia chiede disponibilità per essere accompagnata dopocena a vedere dove si trova la Domus. Sono ancora in auto e sicuramente più tardi non avrò voglia di uscire nuovamente di casa. La chiamo al cellulare e le propongo di andare subito a fare questa ricognizione, visto che domani dovrà iniziare il suo tirocinio presso quell'ente privato.

Trascorsi al massimo una decina di minuti, arrivo con l'auto sotto casa di mio padre ed attendo che Ale scenda dopo lo squillo concordato in precedenza. Nel frattempo do una rapida occhiata su Google Maps, tanto per rinfrescarmi la memoria e vedere se ora sono possibili anche altre vie d'accesso alla Casa di cura "Domus Salutis". No, a quella struttura posta nelle dirette adiacenze degli Spedali Civili di Brescia, si accede ancora per quell'unica strada che conoscevo un tempo.

A metà percorso, mentre mia figlia mi sta facendo un rapido ragguaglio sullo stato di papà e sulle proprie vicissitudini giornaliere, le dico con fare scherzoso di stare attenta al tragitto. Subito ribatte che fin lì dove ci troviamo ora ci sa arrivare senza problemi. Adesso non sono più tanto solito frequentare in auto quelle vie, ma anche se la viabilità nel frattempo è stata un po' modificata, riesco ad effettuare il percorso migliore per andare all'imbocco della strada senza uscita che porterà alla Domus dove mia figlia inizierà domani - cioè oggi - il suo periodo di tirocinio.

Ci sono venuto poche volte da queste parti. Mentre mi avvicino in auto proprio non riesco a ricordare - ma sono in grado di farlo ora - che una delle ultime volte è stato proprio quando stavamo valutando se ricoverare qui mia moglie. Santina aveva poi preferito essere portata a casa e quelle enormi stanze della misericordia non son più state da parte mia oggetto di visita.

Gironzolo un po' goffamente per le viuzze intorno all'edificio così da individuare l'ingresso principale. Intanto Alessandra memorizza i suoi punti di riferimento e prende nota mentalmente dove potrà domani parcheggiare l'auto. Mentre staremmo quasi per andarcene, scorgiamo all'incrocio una serie di cartelli che indicano le varie direzioni da prendere. L'Hospice dove lei dovrà presentarsi è dall'altra parte. Giriamo l'auto in quella direzione ed andiamo a dare un'occhiata anche dall'altro lato creando così qualche difficoltà di manovra ai pochi automobilisti che in quell'ora si stanno muovendo assieme a noi su quella strada.

Quando Alessandra sembra ormai paga del nostro sopralluogo, rientrando verso casa le chiedo come mai le è stato comandato di venire a far pratica proprio alla Domus Salutis. Mi risponde che l'aveva chiesto lei. Intendiamoci, non che potesse proprio scegliere la destinazione, ma l'ambito di lavoro sì. E lei, dopo l'esperienza nel settore psichiatrico, voleva ora confrontarsi con il "Fine vita". Più tardi a tavola, con Maria Luisa, ho voluto rammentare ancora questa sua spontanea scelta e così mia figlia ha ricevuto anche i complimenti di mia moglie, che poi s'è lasciata pure scappare qualche lacrima ricordando una sua amica scomparsa di recente.

Mentre riflettevo fra me e me, prima di iniziare la stesura di questo post, pensavo di prendere spunto dal breve viaggio fatto in auto con Ale per dilungarmi poi su tematiche più importanti come quelle che riguardano il senso della nostra esistenza, gli obiettivi raggiunti o meno, le vite brutalmente troncate per disprezzo dell'altrui valore. Farlo adesso mi sembrerebbe un tantino pretestuoso ed allora rimanderò la riflessione ad un altro momento più favorevole, dove magari accennerò anche alla Bellucci che in TV da Fazio dichiara apertamente aspettative di vita fino a cent'anni, ma dove sfugge forse troppo facilmente che il mezzo secolo a venire può essere totalmente privo delle energie che hanno accompagnato la metà che lo ha preceduto.

sabato 31 gennaio 2015

Intervistami

Come spesso succede, lo spunto per ciò che pubblico su questo blog nasce in maniera del tutto spontanea per chissà quale misterioso processo mentale. Di solito è al mattino presto, poco dopo il risveglio, che percepisco quasi in maniera lampante un'idea, un titolo da utilizzare nelle mie pubbliche conversazioni. Probabilmente il riposo notturno oppure l'aria fresca che lascio entrare nella camera da letto di buonora, sono la condizione ideale per muovere i primi pensieri. Non è così sempre perché spesso le mie prime riflessioni sono immediatamente rapite dalle problematiche di lavoro che richiedono una mente sgombra per essere affrontate e risolte con decisione. Tuttavia non è infrequente che il mio inizio di giornata si apra in maniera del tutto spensierata ed allora può succedere che una prolungata rielaborazione di fatti recenti oppure di visioni televisive della sera precedente, possano in qualche modo accendere la miccia per un nuovo processo mentale che non mi da pace finché non riesco a trasformarlo in uno scritto.

Ed è così che ho immaginato di concedermi ad un'intervista in cui fossi io stesso a porre le domande e a dare le risposte utilizzando come espediente il dialogo con un interlocutore sicuramente sopra le righe e soprattutto ben oltre le mie capacità dialettiche. Con la possibilità più ampia che può derivare soltanto da un gioco di fantasia, ho immaginato di lasciarmi intervistare niente meno che da Hannah Arendt di cui la sera prima avevo visto in TV il film a carattere biografico. Leggendo il suo libro, La banalità del male, avevo sperato di trovare alcune risposte riguardo al male assoluto, così com'è stato definito quello che ha funestato il secolo scorso e che ha trascinato un'intera nazione in una follia collettiva ben organizzata atta all'annientamento di un numero così elevato di esseri umani.

La mia ricerca e sete di risposte sono ancora vive. Non riesco a capire come la perversione, il pensiero diabolico di pochi, possano essere diventati il dictat di molti, se non di tutti. Ho sollevato apertamente queste domande anche in occasione di qualche incontro fra amici dove magari proprio la lettura del libro della Arendt era stato l'input per entrare in argomento.

Se è sconsolante convenire che dietro il perseguimento di obiettivi così drammatici e deplorevoli non vi siano motivazioni consistenti, se insomma le ragioni che hanno portato i più a non ribellarsi, ma ad obbedire ciecamente alla follia di pochi - per non dire di uno solo - sono banali, forse è ancora più tragico intuire che la memoria di quei fatti non basta ad evitare che essi non possano ripetersi mai più.

Perché ogni volta che deleghiamo ad altri la nostra autonoma capacità di pensiero, trasferiamo il nostro pezzetto di male che ci portiamo dentro e lo mettiamo nelle mani di chi sa dargli una forma più grande. E così anche il nostro piccolo male ha la capacità di agglutinarsi e come un cancro diventare un male assoluto che abbiamo già visto e che non avremmo voluto rivedere mai più.

martedì 27 gennaio 2015

Cuore di pietra

Bisogna avere un cuore di pietra. Solo così non ci coglie l'orrore per lo sterminio, per i campi, per il filo spinato. Solo così riusciamo a rimandare indietro le lacrime per l'ingiustizia patita dal giusto. Solo così possiamo ancora coltivare il seme del male.

venerdì 9 gennaio 2015

Pregare coi bambini

Angiolino mio carino,
vieni sopra il mio cuscino;
fa' ch'io dorma in compagnia
di Gesù e di Maria.

Angelo Santo stammi  vicino,
dammi la mano perché son piccino;
se tu mi guidi con il tuo sorriso,
andremo insieme in Paradiso.

lunedì 5 gennaio 2015

Destino

C'è nella notte come una tregua dal male. L'uomo traghetta la sua infelicità tra un giorno doloroso e un altro che lo sarà. Là, in fondo, prima della ragione, il destino solo questa intercessione concede, e gli uomini accendono fuochi come a imitare le stelle e ringraziarle.

Il destino è ben altra cosa dal caso. Il caso, la tyche, è qualcosa d'imponderabile, inaspettato. I greci, così sicuri che esistesse un'armonia nel mondo, dettata dai numeri, e un primato della ragione e del pensiero, dietro il caso ci persero la testa e il fegato, per venirne a capo. E fu sempre sconfitta. Il destino, la móira, non è casuale.

È lì, intrufolato nel nostro dna, ha tutte le sue premesse nel carattere (dáimon); se si compie è perché, sconosciuto o no, aveva già una ragione di compiersi.

Il destino è un fiume sotterraneo che scorre parallelo alla vita: ogni tanto emerge e allora ci sommerge e ci chiediamo «ma perché proprio a me?»: oh, sì, solo a te, perché quel fiume è il tuo, e c'era anche quando non lo vedevi.

- Cioè una combinazione ai dadi è un caso e, mettiamo, un incidente in moto è destino?
- Sì, anánche per i greci, cioè necessità, perché prima o poi si compie.
- Forse è per questo che ho così paura della notte, perché nasconde in sé tutti i destini. E il mio destino.

ROBERTO VECCHIONI
IL MERCANTE DI LUCE
EINAUDI