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domenica 22 giugno 2014

Il modo di essere

Uno sciame di dubbi come cavallette affamate pareva essere calato su di lui. Le cavallette lo mordevano ovunque. Giovanni si agitava per tentare di difendersi da quei morsi. "Senti, Ester, dobbiamo pensarci bene. Se il bambino sta così male..." Si agitava e cercava di dirottare anche su di me lo sciame di cavallette. Ma non sarebbe riuscito ad incrinare la felicità che provavo all'idea che un bambino ci stesse aspettando. "Potrebbe rovinarci la vita" era arrivato a dirmi.

"E alla sua? Alla sua, di vita, non pensi? Noi siamo adulti, lui ha solo pochi mesi, ha infinitamente più diritto di noi ad avere almeno una possibilità" gli avevo risposto quasi gridando, perché la mia voce arrivasse a fendere il rumore assordante dello sciame che lo circondava.

"Ma credi davvero che saremo capaci di sostenere una prova così..." Giovanni non trovava le parole. "...Così dura?"

"Giovanni, se avessimo avuto un figlio nostro... sì, un figlio naturale, come lo chiamano... mica avremmo potuto sceglierlo. E ora dovremmo dire 'questo sì, questo no, questo potrebbe andare, quest'altro invece è difettoso'? Come se stessimo decidendo di comprare al supermercato... che so... un frullatore? I figli non si scelgono. I figli si accolgono. Si accolgono e basta."

Con quelle parole avevo bruscamente messo a tacere lo sciame dei suoi dubbi. Anche se a volte temo che qualcuna di quelle cavallette gli sia rimasta annidata dentro e continui a ronzargli nell'anima. Oggi però la commozione che mi è parso di cogliere nello sguardo di Giovanni mi fa ben sperare.

Omodisplasia ossea. Rifletto su quella denominazione tecnica, fredda e terribile. "E' la malattia di Simone" mi dico "ma Simone non è la sua malattia. Simone è altro, molto altro."

Sì. Se c'è una cosa che Ugo il Pesce e Roberto lo Scoglio mi hanno insegnato, è che non esiste la patologia. Esiste il modo di essere di ciascuno.

VAURO SENESI
STORIA DI UNA PROFESSORESSA
PIEMME


sabato 14 giugno 2014

Perché gli oratori si svuotano

Senza avere la pretesa di effettuare un'analisi sociologica precisa e puntuale, che ben volentieri lascio agli esperti del settore, molto semplicemente vorrei dare eco ad alcuni articoli comparsi di recente sulla stampa locale ed in particolare su La voce del popolo riportando di seguito qualche commento da me fatto a seguito di quella lettura. Chi scrive è un vicario cooperatore, un curato per dirla con parole più semplici, che si occupa di un oratorio nelle cui vicinanze sorge un noto centro commerciale bresciano.

Le riflessioni del prelato son tutte volte a cercare le ragioni di un fenomeno che si sta facendo strada, ma oserei dire che è ormai ben radicato nei nostri adolescenti. La tendenza cioè a preferire come luogo di aggregazione queste omnipresenti strutture di vendita piùttosto che gli spazi che gravitano attorno alle parrocchie. D'impulso, senza neppure aver terminato per questione di tempo la lettura dell'intero articolo, ho così voluto commentare.

Un bel malloppo. Faccio fatica a leggerlo tutto ora, ma ci riprovo in un altro momento. Per ora un commento soltanto. Non è che i nostri ragazzi soffrono di solitudine? Se è così, dove si va a cercare compagnia? Non certo in un luogo vuoto. E' nel mare, reale o virtuale, che ci si va ad annegare, sperando che qualcuno ci prenda all'amo e ci faccia sentire un po' meno soli, un po' più importanti. 

Ma l'Oratorio non dovrebbe essere il luogo privilegiato per esperienze di questo genere? Dovrebbe. Forse, dopo tanto giocare, dopo tanto divertimento i nostri ragazzi sono ancora soli. Ed il messaggio che abbiamo sempre un Amico fedele, che ci vuol bene sempre, magari non passa a sufficienza oppure non così chiaro.

Dopo qualche giorno, potendo disporre di una maggiore tranquillità, sono tornato sull'argomento e mi sono preso la briga di andare a ripescare nuovamente quegli articoli ed ho apposto un altro commento.

Questa volta l'ho letto tutto e vedo che in chiusura ci siamo trovati in sintonia. Per il discorso della solitudine invece non c'è sovrapposizione. Può darsi che sia un pensiero tutto mio. Solo un altro flash, magari un tantino stereotipato.

Siamo nell'era dell'apparire più che dell'essere ed il centro commerciale è un grande mercato dove i nostri occhi possono comperare in abbondanza. Lo si vede anche nei rapporti di coppia che gli adolescenti, ma non solo loro, costruiscono. Al bravo tipo, alla brava tipa preferiscono anteporre il bel tipo, la bella tipa.

Il bello ed il buono possono convivere: ci mancherebbe! Spesso però si preferisce la vuota bellezza. E come biasimare i nostri ragazzi, ma prima ancora di loro, i genitori, cresciuti con la TV commerciale che di messaggi importanti, di un certo spessore cioè, ne lascia filtrare un gran pochi.


domenica 8 giugno 2014

Twitter vs Facebook

Se devo dirla tutta, Twitter non riesce ad entusiasmarmi fino in fondo. Per me è meno di un SMS: 140 caratteri sono veramente pochi per esprimere un concetto, un pensiero compiuto. E se mi vien voglia di allegare un'immagine, di parole ce ne stanno ancora meno. Ecco perché preferisco utilizzare questo strumento saltuariamente, quando ad una foto riesco a legare il verso di una poesia, di una canzone oppure un aforisma.

Facebook lo sento più mio. Mi da modo di esprimermi più liberamente senza sentirmi irrigimentato entro un angusto spazio. Volentieri faccio l'upload di un sacco di fotografie per condividerle con tutti quanti. Però difficilmente mi lascio andare a qualche pensiero veramente intimo. E' qui su questo blog che trovo maggiore soddisfazione. Se ho qualcosa da raccondare e che giudico ne valga la pena, allora scrivo, per me e per gli altri.

Peccato però che tutto ciò che racconti, tutto ciò che dici, venga passato al setaccio per invadere te e chi ti circonda di questa o quella cosa da comperare. E' maturo il tempo per ritirarmi in buon ordine? Non so, forse resisterò ancora un po'.