Translate

lunedì 21 aprile 2008

La croce

L'ultimo mercoledì di marzo, mentre scendevo a Cremona da Maria Luisa, ho cominciato ad avvertire pesantezza di stomaco ed un certo dolore alla colonna vertebrale. Poi in piena notte mi sono svegliato accusando dolore sul fianco destro, nella zona del fegato.

Non riuscivo a riprendere sonno per il fastidio insistente. Maria Luisa avrebbe voluto portarmi al pronto soccorso, ma io non ne vedevo l'urgenza. Girando per casa cercavo di trovare sollievo e nel contempo riflettevo su quanto avevo mangiato in precedenza per trovare una spiegazione al mio malessere.

Colpa di quella pasta con i funghi consumata nel precedente pranzo? Oppure quel gran pezzo di cioccolata trangugiato ingordamente? Dopo qualche ora l'infiammazione si è placata ed ho potuto riprendere un poco a dormire.

Le sere seguenti l'episodio si è ripetuto ancora, anche se con minore intensità. Ho quindi pensato che il mio stato non fosse dovuto a qualche alimento particolare. Per precauzione mi sono subito autosospeso il vino ed indirizzato verso una dieta più leggera del solito.

E' così. In quei giorni ho addirittura pensato che la fine dei miei giorni potesse essere vicina. In piena notte ho inviato al mio capo ed al collega di lavoro un sms con la password del mio PC. Naturalmente la cosa ha provocato in loro non poco stupore. Nei giorni seguenti, quando sono ritornato in ufficio dopo il fine settimana, mi hanno chiesto se avessi avuto intenzioni suicide oppure fatto una vincita straordinaria ed avessi per questo intenzione di trasferirmi ai tropici. La seconda ipotesi mi ha fatto un po' sorridere, mentre alla prima ho risposto con estrema meraviglia. Non ne vedevo assolutamente la ragione. E' curioso scoprire cosa possono pensare gli altri di te in talune circostanze.

La settimana seguente mi trovavo di nuovo a casa di Maria Luisa. Nessuna voglia di stare davanti alla tv. Lancio l'idea di uscire a far quattro passi per le vie del centro, così tanto per goderci una serata diversa. E' magnifico il Duomo di Cremona la sera. Le luci notturne esaltano le tonalità dei suoi marmi e su di esso incombe la maestosità del Torrazzo. Restiamo un poco a contemplare il tutto con i nostri nasi all'insù. Mi vien voglia di scattare un'istantanea col cellulare e di condividere con un mms la magia di quel momento inviandolo ad un collega.

Poi sono preso da un certo languore, per non dire fame, ed invito Maria Luisa ad entrare nella gelateria che si affaccia proprio sulla piazza. Lei non ha voglia di gelato ed opta per una cioccolata con panna. Io invece oso e mi prendo una favolosa coppa Duomo. Quattro cannoncini di pasta sfoglia agli angoli a foggia di torri, biscotti e cialde e tanto gelato alla crema guarnito di caramello e nocciole in abbondanza. E' fin troppo. Insisto con la consorte affinché ne assaggi un po' anche lei.

Non era ancora mezzanotte che già mi trovavo in preda a dolori tremendi nella zona del fegato. Questa volta sono io stesso che chiedo a Maria Luisa di accompagnarmi al pronto soccorso, non prima di aver ben soppesato la cosa e capito che ne ho proprio bisogno. Mi sarebbe dispiaciuto farle fare un'uscita in piena notte, magari per una cosa che di li a poco si sarebbe potuta risolvere con un ruttino.

Le disconnessioni dell'asfalto si ripercuotono dolorosamente sul mio ventre e mi convinco sempre più di aver bisogno d'aiuto. Entro nel pronto soccorso in pigiama e ciabatte avvolto in una copertina per ripararmi le spalle. Non devo aver dato l'impressione di essere tanto grave. Mi assegnano infatti un codice verde e mi dicono di attendere nell'atrio.

I dolori però aumentano spasmodicamente. Ho voglia di picchiare pugni sulle pareti per attirare l'attenzione, ma continuo a portare pazienza perché so che sono impegnati per un codice rosso. Mi fa molto male, insopportabile, ma non sono in pericolo di vita. Posso attendere. Poi finalmente mi mettono su un lettino, mi portano in una stanzetta e mi attaccano una flebo con Toradol e Buscopan. Attendo impaziente un po' di sollievo. Dopo un'ora circa vomito e libero lo stomaco. Le analisi fatte d'urgenza rivelano un'elevata glicemia, potassio sotto il limite e transaminasi alte. Il resto nella norma. L'ipotesi dei medici è che si tratti di calcoli biliari. Serve un'ecografia per evidenziarli. Quando il dolore cessa mi lasciano andare, ma dovrò ritornare al mattino per fare questo accertamento.

L'ecografista è brava ed un poco a fatica riesce ad individuare un solo calcolo di 17 mm in fondo all'infundibolo. La colecisti è infiammata e la bile densa. Si stupisce per il valore dei globuli bianchi. Di solito sono alti mentre invece nel mio caso sono in quantità normale. Comunque dovrò essere operato.

Mi prendo un paio di giorni di malattia e nel frattempo prenoto una visita chirurgica. Il medico guarda distrattamente i referti del pronto soccorso e conclude che l'operazione è d'obbligo. Non vorrei attendere molto perché le coliche si stanno facendo sempre più frequenti. Mi congeda dicendo che entro un mese al massimo sarà sicuramente tutto finito.

La sera a casa dopo cena comincio ad avvertire nuovamente dolore. Senza indugio mi prendo le mie prime venti gocce di Alginor che contiene lo stesso principio attivo del Buscopan. Con pazienza attendo un po' di sollievo, ma più tardi sono costretto a prenderne altre 15 gocce. Il male non accenna a diminuire e quindi decido di farmi accompagnare da mio figlio al pronto soccorso della clinica in cui avrebbero dovuto operarmi.

Dopo una visita sommaria decidono di ricoverarmi. Con attaccata la flebo riesco a dormire un po'.

E' martedì 8 aprile. Oggi sono esattamente sette mesi che Maria Luisa ed io siamo sposati. Contiamo ancora i giorni come fidanzatini. Ma quella giornata è in realtà il mio Calvario. Dopo un iniziale sollievo i dolori ritornano più acuti di prima. Le flebo con antidolorifici si susseguono senza soluzione di continuità, ma il beneficio che mi arrecano è quantomai breve e sempre meno efficace.

Verso sera non ne posso più. Sono in uno stato di prostrazione totale, disumano. Avrei voglia d'infilare la finestra e gettarmi di sotto solo per far cessare il male. Capisco Santina. Ormai terminale voleva gettarsi dall'ottavo piano dell'ospedale. La sua non era disperazione, ma solo tremendo dolore. La mia operazione è stata fissata per dopodomani. Dispero di poterci arrivare. Troppo lontano.

Finalmente il medico che era impegnato in sala operatoria viene a visitarmi. Propone la morfina. Ho qualche titubanza, ma la decisione è presa. Dieci milligrammi per via intramuscolare nella natica destra. Ora cerco di capire se posso avere allucinazioni. Non ho mai assunto droghe e non ho idea di quale effetto possa farmi. Speriamo non una reazione allergica. Alla mamma di Maria Luisa è capitato.

Dopo mezz'oretta circa mi sento già un po' meglio. Mi piego su un fianco e vomitando libero lo stomaco dai resti del pasto del giorno precedente che evidentemente non avevo digerito. La notte torno a dormire il sonno del giusto.

Dieci milligrammi di liquido sono stati il sollievo definitivo. Rifiuto qualsiasi altro antidolorifico, mentre continuo infusioni di antibiotici via flebo. La vigilia dell'operazione non è pesante. Mi sembra tutto in discesa. Posso arrivare a giovedì 10 aprile in tutta tranquillità.

In quest'ospedale sono specializzati per le colecistectomie. C'è un turn-over pazzesco. Faccio notare la cosa alle infermiere e come risposta mi dicono che loro i letti non li lasciano diventare freddi.

Il giorno dell'operazione mi trova tranquillo e rilassato. Non vedo l'ora di togliermi quel coso da dentro. Trovo modo di dire al chirurgo che avverto un dolore anche nella zona dell'appendice. Già che ci sono diano un'occhiata anche a quella. Quando mi risveglio mi dice che l'hanno guardata, ma era a posto. Purtroppo non hanno potuto fare laparoscopia ed hanno dovuto tagliare. Tastandomi l'avevo capito da solo e ribatto che non importa. Sfoggerò anch'io i miei bei punti come mia madre che più di vent'anni fa aveva dovuto subire lo stesso intervento. Nonostante le oltre tre ore di sala operatoria mi sento parecchio bene. Per l'anestesia nessun fastidio. Solo un po' di disagio per il sondino nasogastrico che mi irrita la gola nel deglutire.

Nel ritornare in corsia mi accoglie il sorriso raggiante di Maria Luisa. Mio figlio Andrea è dovuto scappare a prendere Alessandra che è ormai prossima all'uscita da scuola. Immagino tutta l'apprensione dei miei figli per lo stato di salute del loro unico genitore. Ma è andata bene. Mi sento bene, molto bene. Il chirurgo, straniero, di cui non sono riuscito ad imparare il nome, ha fatto un buon lavoro.

Ogni giorno che passa miglioro con decisione. Provo quasi paura al pensiero di quanto mi senta bene ora rispetto al tanto male patito in precedenza. Parenti ed amici allietano la mia degenza con le loro visite.

Sulla cartella di dimissione leggo la seguente diagnosi: "Colecistite calcolosa gangrenosa con versamento biliare libero".

Probabilmente dovevo essere operato d'urgenza ancora una settimana prima, ma va bene così.

Poi giovedì scorso, mentre sono di nuovo in clinica per togliere i punti, ricevo una telefonata da Maria Luisa. Un mese fa si era sottoposta ad un intervento per la rimozione di un polipo. E' arrivato il referto dell'esame istologico. Dovrà togliere l'utero.

A casa, davanti a lei, scoppio a piangere e capisco perché la mia ripresa è stata rapida.

venerdì 4 aprile 2008

L'eleganza del riccio

Quando siamo stati in viaggio di nozze a Parigi, durante uno dei tanti spostamenti in metrò, ci siamo seduti accanto ad una giovane signora tutta assorta nella lettura di un libro dal titolo L'élégance du hérisson. L'interesse dimostrato dalla lettrice era tale che anche noi avremmo voluto saperne qualcosa di più, ma la nostra povera conoscenza del francese c'impediva addirittura di comprendere completamente il significato del titolo.

Una delle sere seguenti abbiamo avuto il piacere di cenare assieme ad un amico conterraneo di Maria Luisa che da parecchi mesi era in trasferta di lavoro nella capitale francese svolgendo la sua attività di geologo presso una compagnia petrolifera. Durante la piacevolissima serata passata insieme in cui lui è stato nostro ospite a tavola e noi, molto più ricambiati, suoi ospiti in giro per un quartiere del centro, approfittando della sua maggiore perizia con la lingua locale, gli abbiamo chiesto il significato del titolo. Lui prontamente ce l'ha tradotto: L'eleganza del riccio.

Qualche settimana fa, mentre eravamo al solito supermercato, sfiliamo davanti allo scaffale dei libri e nonostante la diversa copertina non m'è sfuggita la recente traduzione in italiano di quella raffinata commedia francese. Maria Luisa d'impulso me l'ha voluto regalare e prontamente l'ha infilato nel carrello. Così, a scatola chiusa, senza sapere se meritava veramente. Ma io ero sicuro che valeva la pena acquistarlo anche solo perché legato in qualche modo alla nostra luna di miele.

Ora lo sto leggendo. Il tempo libero è poco e quindi sono arrivato solo a metà, ma letta la prima pagina di un nuovo capitolo non ho potuto fare a meno di riportarlo di seguito.

Ieri sera a cena la mamma ha annunciato che esattamente dieci anni fa ha cominciato la sua "anaalisi", come se fosse un buon motivo per fare scorrere fiumi di champagne. Siete tutti d'accordo che è una cosa me-ra-vi-glio-sa! Mi pare che solo la psicanalisi possa competere con il cristianesimo nella predilezione per le sofferenze prolungate. Quello che mia madre non dice è che da dieci anni prende degli antidepressivi. Ma evidentemente non mette in relazione le due cose. Credo che gli antidepressivi non servano ad alleviare le sua angosce, ma a sopportare l'analisi. Quando racconta le sue sedute, c'è da sbattere la testa al muro. Il tizio fa <<Hmmm>> a intervalli regolari ripetendo i finali delle frasi (<<E sono andata da Lenôtre con mia madre>>: <<Hmmm, sua madre?>>; <<Mi piace molto la cioccolata>>: <<Hmmm, la cioccolata?>>). Se è così, domani posso lanciarmi anch'io nella psicanalisi. Oppure le propina delle conferenze della <<Causa freudiana>> che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non sono dei rebus ma dovrebbero avere un qualche significato. Subire il fascino dell'intelligenza è davvero molto affascinante. Secondo me l'intelligenza non è un valore in sé. Di gente intelligente ce n'è a pacchi. Ci sono molti dementi, ma anche molti cervelli eccezionali. Sarà una banalità, ma l'intelligenza in sé non ha alcun valore e non è di nessun interesse. C'è gente molto capace che ha speso una vita sulla questione del sesso degli angeli, per esempio. E molte persone intelligenti hanno una specie di bug: credono che l'intelligenza sia un fine. Hanno un'unica idea in testa: essere intelligenti, e questa è una cosa stupidissima. E quando l'intelligenza crede di essere uno scopo, funziona in modo strano: non dimostra la sua esistenza con l'impegno e la semplicità dei suoi frutti, bensì con l'oscurità della sua espressione.

Muriel Barbery
L'eleganza del riccio
edizioni e/o

Confesso che qualche anno fa mi sono sottoposto a qualche seduta di psicanalisi. Già dopo il primo incontro ne sono uscito con un enorme senso d'irritazione. Alla terza non ce l'ho più fatta ed ho detto al terapeuta(?) che preferivo interrompere. Lui si è permesso di dirmi che la mia sofferenza meritava di essere trattata. Gli ho risposto: <<Sì, è vero, ma decido io come>>.