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sabato 28 luglio 2012

Fare un fioretto

Da piccolo, ben prima che cominciassi ad andare a scuola, quando ancora abitavamo nella casa di campagna vicinissimo all'azienda agricola Provenza oggi rinomata per i suoi vini, mia madre mi chiamava a sé e mi diceva: "Romano, fai un fioretto alla Madonna". E così m'invogliava positivamente a compierle questo o quel favore, distogliendomi per un attimo dai miei giochi. Dato che la cosa si ripeteva spesso, nella mia già fervida mente di bambino, immaginavo un grande prato tutto pieno di fiori che avevo contribuito a far spuntare con il mio zelo filiale.

Ieri mattina, mentre scendevo da Livemmo di buonora per andare al lavoro in quel di Padenghe sul Garda, forse ispirato da tutto quel verde dei boschi che stavo attraversando, m'è venuto spontaneo pensare a questo episodio della mia fanciullezza e di poterne scrivere su queste pagine.

Nell'educazione dei miei figli non credo proprio di essermi mai rivolto a loro nella stessa maniera di mia madre e forse ho fatto male. Certamente avrei potuto trovare una motivazione diversa e più allineata ai tempi attuali, se "fare un fioretto" è ormai passato di moda e magari non più pedagogicamente valido. Ma qui dovrei lasciare la parola all'esperto oppure chiedere a mia figlia che in tutti questi anni dovrebbe aver studiato qualcosa in proposito.

Forse però l'azione educativa di mia mamma è stata fin troppo efficace ed ora non riesco ad andare oltre, lasciando il giusto spazio anche agli altri. Non c'è in me pazienza sufficiente per attendere un atto di buona volontà, né l'umiltà di chiedere aiuto quando se ne ha bisogno e quindi me la sbrigo da me. Ovviamente sto parlando delle piccole cose, di quelle situazioni in cui farebbe comodo continuare ad occuparsi di quello che stiamo facendo in quel momento ed avvalersi della collaborazione di chi ci sta attorno per massimizzare l'efficienza ed, in ultima analisi, scrollare un po' gli altri dal torpore e dalla pigrizia individuale.

Ieri pomeriggio ho sentito telefonicamente il collega di Bologna che aveva bisogno di allestire il sistema di test per collaudare la nuova gestione targhe implementata nel programma per la gestione dei parcheggi che sviluppiamo per loro. Si scusava di non avermi potuto chiamare ancora la mattina, così com'eravamo d'accordo, e di averlo potuto fare soltanto in quel momento. Per qualche strana impostazione del suo PC, non riusciva ad installare un componente che gli avrebbe consentito di vedere il "Live video" della telecamera direttamente in Internet Explorer. La cosa era molto strana perché, mentre eravamo in collegamento telefonico, ho provato a fare la stessa cosa su un altro computer diverso dal mio e l'installazione è andata liscia al primo colpo. E pure ha dato esito positivo anche su altri tre PC dei miei colleghi di Padenghe, quando più tardi ho voluto fare un'altra verifica.

Ad un certo punto però la tenacia è stata premiata ed il sistema ha cominciato a funzionare anche a lui. Convengo che il senso di frustrazione che l'utente normale può provare quando armeggia davanti al suo PC possa essere molto grande se neppure noi programmatori, che in un certo senso siamo gli addetti ai lavori, riusciamo a trarci d'impiccio prontamente in ogni situazione. Comunque è bene quel che finisce bene e così il collega di Bologna poteva ora continuare in autonomia con gli altri aspetti della configurazione del sistema. Ho chiuso la telefonata dicendogli che sarei rimasto a sua disposizione fino alle 17, orario di chiusura della nostra ditta.

Alle 17:04 vedo sul display del telefono una nuova chiamata da Bologna. Visto che poi il collega se ne sarebbe andato in ferie, non mi son fatto scrupolo ad alzare la cornetta e sentire cosa voleva. Lui subito manda avanti le sue scuse perché è ben conscio dell'orario e non mi vuole trattenere oltre. Gli dico di non preoccuparsi e mi attardo con lui al telefono fin quasi alle 18 per aiutarlo a superare gli ultimi problemi di setup, fino a vedere il dato della targa letta correttamente ricevuto dal programma di gestione. Quando lui rientrerà dalle ferie io invece sarò ancora assente dal lavoro e così potrà procedere con il collaudo delle funzioni implementate senza rimanere bloccato nelle preliminari questioni di configurazione del sistema.

Questa mattina, mentre sbrigavo alcune faccende domestiche, mi sono sintonizzato via sms con Maria Luisa che è ancora su a Livemmo con sua madre e mio papà. Nonostante io le dica che fare l'assistente geriatrico non è sempre una vacanza, lei non smette mai di ringraziarmi per questa sorta di privilegio - così si esprime lei - che le concedo mentre invece a me tocca continuare a lavorare. Stamane addirittura, per sottolineare meglio il suo senso di gratitudine, soggiungeva che dovrà trovare il modo di ricambiarmi. Le ho risposto che sono già stato ricambiato in abbondanza ed in chiusura di sms le ho riportato questa frase.

Quando da giovane andavo a portare i pasti agli anziani per il Comune, ho conosciuto una nonnina profuga di Fiume. Giungendo da lei mi faceva un complimento e mi raccontava di suo marito che era ormai morto, ma che era sempre stato un uomo molto gentile. Ero così intenerito da quelle sue frasi perché non sempre capita di ascoltare dalle anziane parole di stima e tenero affetto per il marito defunto.

Forse non tutti gli sposi mandano le mogli al mare o in montagna con la suocera ed i figli per avere la "piazza libera" mentre loro se ne restano in città a continuare il lavoro. Per molti c'è sincero amore e desiderio che la dolce metà possa godere ciò che a loro, per contingente necessità, è temporaneamente negato.

mercoledì 25 luglio 2012

Correva l'anno 1984

Qualche settimana fa, l'amico Lorenzo, grande appassionato di fotografia, ha mandato a me e ad altri amici il link al suo sito per permetterci di visionare uno dei suoi ultimi album. Nella sua raccolta di fotografie scattate durante una recente visita alla città di Brescia vi è anche uno scorcio del duomo visto dal castello. L'inquadratura mi è sembrata praticamente identica a quella di una mia vecchia fotografia scattata poco meno di trent'anni fa con la reflex - una Pentax Super-A - che mi aveva regalato Santina in occasione del mio compleanno.

Qualche mese più tardi utilizzai quella fotografia, ed un'altra ancora in cui era ritratta la mia fidanzata con in braccio il nipote di sua zia, per l'esecuzione di un quadro ad olio. Ho raccontato queste cose a Lorenzo e si è un po' meravigliato del mio passato da pittore. Ci conosciamo ormai da quasi un ventennio ed un poco m'imbarazza il non averlo mai edotto circa la mia passione giovanile per la pittura.

Visto l'interesse dimostrato per la cosa, promisi che alla prima occasione sarei andato a casa di mio padre con la compatta ed avrei scattato una foto al quadro che è rimasto appeso in casa dei miei genitori per tutto questo tempo.

Paragonando ora la fotografia dell'amico con l'immagine del quadro che dipinsi nel lontano 1984, mi sembra che, visivamente parlando, ci sia maggiore gradevolezza nell'immagine recente piuttosto che nel mio dipinto ad olio. Eh sì che per realizzare quell' "opera" ci misi vari giorni colorandone una piccola porzione per volta cercando di porre la massima cura nel riprodurre con una certa fedeltà ciò che appariva nelle due fotografie e che la mia immaginazione aveva fuso insieme sulla tela.

Quando lo portai a far incorniciare, l'artigiano del quartiere mi disse che conosceva la signora che appariva ritratta nel quadro e mi disse anche il nome. Ma si sbagliava perché in realtà si riferiva alla sorella del mio medico di famiglia che ben conoscevo. Non potei però negare che, seppur sbagliando, vi fosse una certa somiglianza con la persona da lui indicata.

Il quadro è un tantino ingombrante e, forse per non lasciare un gran vuoto sulla parete della sala dei miei genitori, non l'ho voluto asportare e portare via con me quando ho messo su casa per sposarmi. Qualche anno fa, quando mamma ormai aveva cominciato a dare in escandescenze per i suoi problemi di alzheimer - così gravi a tal punto che non riusciva a riconoscere la propria immagine riflessa nello specchio e per questo vi scagliava contro qualsiasi oggetto a portata di mano - stranamente riusciva ancora a riconoscere nel quadro la sua nuora ed un giorno mi disse: "Ecco, quella è tua moglie".

Quando cominciai a svolgere l'attività di programmatore progressivamente persi l'attitudine per il disegno e più in generale la passione per la pittura. Non so se in realtà sia semplicemente stata una fase della mia vita che giunta a compimento ormai svaniva, così come un fiore che, dopo aver dato il meglio di sé, avvizzisce. Ho attribuito la colpa di ciò alla mia professione e fatto l'ipotesi che un giorno, magari da pensionato, quell'antica passione sarebbe anche potuta ritornare.

Chi può dirlo? Confidando in un po' di salute, se non avrò altro di meglio da fare, in futuro potrei tornare a giocare con i colori e, magari con soddisfazione, riscoprire una passione tutta nuova.


domenica 15 luglio 2012

Nel sentiero della vita

Alcuni flash sulla persona Angelo Turrini conosciuto nell'aprile 1985 quando entrando in canonica, mi si è presentato come "colui" che già aveva inviato un primo contributo per il restauro di Barbaine i cui lavori erano già iniziati.
Mi ha parlato in dialetto bresciano e sempre in dialetto conversava con tutti quelli che incontrava e che di inglese non sapevano nulla. "Il dialetto - diceva- l'ho imparato in casa quando mia mamma Marina parlava col papà Pietro, ed io, primo dei figli, l'ho imparato abbastanza bene". Di Livemmo e della "chiesa dei morti di Barbaine" aveva avuto notizia dai suoi cari e amati genitori. Era un figlio che parlava con grande orgoglio e grande stima di suo papà e di sua mamma i quali gli hanno sempre parlato del loro paese natio, Livemmo e della chiesa dei morti di Barbaine. Era lui che di frequente esordiva raccontando: "ogni sera mia mamma invitava noi figli a dire una preghiera per i morti di Barbaine".
Diventato adulto, incuriosito, volle vedere di persona il santuario e, vistolo in disperate situazioni, prese l'iniziativa divenendo il grande promotore e il fedele benefattore del completo restauro della chiesa stessa.
(...)
Quando giungeva a Livemmo, prima di entrare in canonica, andava nella chiesa parrocchiale, si inginocchiava nell'ultimo banco e lì sostava in preghiera per un po' di tempo. "Prima saluto il Padrone, e poi vengo da te in canonica".
Avrei molto da riportare a suo riguardo, ma permettetevi che vi riporti alcune frasi che tolgo dalle lettere che mi giungevano nel periodo natalizio. Emerge il suo grande affetto ai bambini, in particolare.

3 dicembre 1985

"E' Natale e un altro anno volge alla fine. Nulla è più vicino ai bambini se non GESù CRISTO, bambino; quindi Key ed io includiamo un assegno a loro favore e chiediamo di fare qualche cosa per i bambini di Livemmo, Belprato, di Lavino e Odeno. Non è molto, ma forse tu puoi comperare un dolcetto per ognuno di loro".

27 gennaio 1986

"Trovo giusto ringraziarti, don Franco, per l'aiuto e la gentilezza per l'attività che hai preparato per i ragazzi di Pertica Alta. So che li hai portati alla visita dei presepi. Da Desenzano ho ricevuto quattro belle cartoline firmate da dozzine e dozzine di bambini. Key ed io speriamo che si siano divertiti. La prossima volta chiedi loro di dire una "Ave Maria" e saremo più che ripagati. Grazie per il tuo aiuto".

5 dicembre 1986

"Le principali risorse per il futuro sono i nostri bambini e la gioventù d'oggi. Senza di loro non c'è il domani. Se non fosse stato per GESù BAMBINO, non avremmo avuto il Natale. Noi vorremmo avere una cosa sola riservata: "Natale e i Bambini sono quasi sinonimi", perciò accludo qualche dollaro per far un po' più felice il Natale ai bambini. Per favore, non dire da dove vengono questi soldi".

La chiesa restaurata di Barbaine, sita in Livemmo di Pertica Alta (BS) resta il più bel ricordo, il più gradito gesto di saggezza cristiana e umana al grande benefattore ANGELO TURRINI.
Alla carissima e gentile signora e figli del compianto Angelo la certezza che il "marito" e "padre" ha lasciato una lodevolissima testimonianza di amore e di solidarietà: un figlio di emigranti di Livemmo si è ricordato del paese natio, dei suoi genitori.
Tra i nomi dei "Morti di Barbaine" ora dobbiamo scrivere a caratteri grandi anche il nome di "ANGELO TURRINI".
Grazie tante, Angelo.

don Franco Bettinsoli






sabato 14 luglio 2012

Verso la meta

Ho voglia di raggiungere Maria Luisa su in montagna alla casa di mio padre, ma devo pazientare ancora un poco. Questa volta il viaggio non lo farò da solo perché con me viene anche Alessandra che, a quanto pare, ha voglia di un po' di frescura e relax dopo l'ennesima settimana impegnativa in cui si è prodigata senza risparmiare energie nell'animazione del Grest parrocchiale. Devo attendere ancora qualche momento affinché mia figlia torni dal centro commerciale dove si è recata ad acquistare un regalo per l'amica che compie gli anni.

Le ho chiesto se le faceva piacere che l'accompagnassi, ma mi ha risposto che preferiva andarci sola. Non ho insistito perché in effetti il mio unico intento sarebbe stato quello di fare più alla svelta e lasciare quanto prima la città in balia della calura estiva. Ma non importa. Del resto il mio post precedente non era un invito alla pazienza? Eppoi, quale occasione migliore per sedermi ancora una volta davanti allo schermo e lasciare che le dita imprimano qualche pensiero su questo candido foglio virtuale che sta davanti ai miei occhi?

Oggi a pranzo Ale si è lasciata scappare che invece di fare il giro delle capitali europee avrebbe preferito andare al mare. Non la biasimo. Sicuramente assieme alle amiche avrà modo di vedere tante belle cose, ma dopo un anno di studi così impegnativi probabilmente le ci voleva qualcosa di più rilassante. Male che si vuole non duole, dice sempre mio padre. E' questo l'onere del diventare grandi. Bisogna imparare ad organizzare la propria vita e non restare in attesa e che siano gli altri a farlo per noi. Così dicevo a mia figlia come chiosa finale per il suo sfogo ad alta voce.

Noi genitori vorremmo schivare qualsiasi fatica a quelli che non smettiamo mai di considerare i nostri bambini. Ma la cosa più giusta che possiamo fare è quella di lasciarli andare anche se questo significa che passeremo qualche momento d'ansia nell'attesa del loro ritorno. Sì, perché invece di pensare al meglio, alle grandi opportunità che aspettano di essere colte, se solo ci si mette in cammino, fatalmente ottenebriamo la mente caricandola di funesti pensieri su questa o quella disgrazia che, senza il nostro premuroso aiuto, potrebbe capitare a loro.

Un po' di fiducia in più aiuterebbe noi a vivere più sereni e a lasciare ad essi la giusta libertà per fare esperienze significative necessarie per la crescita. Qualche volta mi domando se sono riuscito a dar loro il buon esempio. Spero di averlo fatto, più che con le parole, con la mia stessa vita nelle scelte concrete di ogni giorno. Avendo poi piena consapevolezza che qualcun altro veglia dall'alto e non lascia mancare il suo amorevole sostegno sempre, ma specialmente nel momento del bisogno.

sabato 7 luglio 2012

Pazienza infinita

Siamo in piena estate e verrebbe voglia di andare a trovar refrigerio in qualche specchio d'acqua. Ma si fa largo la mia proverbiale pigrizia e quindi, sbrigato il minimo sindacale di faccende domestiche, me ne sono andato a letto per un breve pisolino pomeridiano. Mi sono assopito giusto un attimo perché il caffè vero preso dopo mangiato comincia a fare effetto e subito i pensieri hanno ricominciato a circolare vorticosi in testa.

Durante i mesi estivi mi capita spesso di tornare a ricordare le estati della mia gioventù. Il tema della montagna affrontato nel post precedente è per me quasi un richiamo naturale al tempo trascorso verso la fine degli anni settanta nei pressi di Passo Cereda. Il nostro curato aveva affittato una baita per i vari campi estivi parrocchiali e così ebbi modo di trascorrere in due riprese quasi un mese intero sulle cime del bellunese. Era l'anno in cui Paolo VI si era congedato e di lì a poco si faceva avanti "lo spazio di un sorriso" - Giovanni Paolo I - che dal non lontano Agordo traeva le sue origini.

L'attività di animatore parrocchiale richiedeva una dedizione a tempo pieno. Tuttavia riuscivo lo stesso a ritagliarmi qualche momento per portare avanti la lettura di un buon libro. Dino Buzzati ed il suo "Deserto dei Tartari" sono stati la mia felice compagnia fra un trasferimento e l'altro nelle numerose gite ed escursioni che ogni due o tre giorni mettevamo in cantiere. Non erano tanto le vicende alla Fortezza Bastiani a tener ben vivo il mio interesse. Piuttosto trovavo avvincenti le azioni militari in esterno nel tentativo di fronteggiare il nemico che per lo più non si vedeva.

E così, quella struggente metafora della vita in cui si finisce per attendere invano ciò che arriverà soltanto dopo molti anni allorquando noi ce ne saremo andati, pervadeva il mio animo di adolescente e contribuiva ad alimentare quell'inquietudine esistenziale che sarebbe diventata più acuta nei mesi successivi e che talvolta mi porto ancora dentro. In talune circostanze riaffiora infatti quella sensazione di disagio per gli anni che volano via senza che sia accaduto qualcosa di veramente importante e che abbia potuto giustificare il nostro essere stati qui.

Per fortuna che in quei momenti c'è Maria Luisa al mio fianco a riportarmi con i piedi per terra. Con dolci parole m'invita ad avere più stima e considerazione per le cose fatte. A vedere la cura per i figli come un alto compito che nel suo piccolo ha comunque risvolti sociali non indifferenti. Ne sono convinto: dobbiamo fare figli migliori per un mondo migliore perché esso è così come noi lo facciamo. Questo compito tocca ad ognuno e non ce lo dobbiamo aspettare dagli altri. Dovrei imparare ad avere maggiore pazienza, com'è giusto che sia perché le cose fatte bene sono quelle che richiedono tempo e non si possono fare in fretta.

Il risalto dato dai media in questi giorni alla dimostrazione dell'esistenza del bosone è stato notevole. La scoperta ha arrecato agli addetti ai lavori importanti conferme ed al contempo ha aperto la via a nuovi studi perché nel campo dell'infinitamente grande, così come dell'infinitamente piccolo, sembra non si possa mai scrivere una parola definitiva. Tanto da poter dire come S. Paolo che "Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto".

L'età dell'universo è stimata in circa 13,72 miliardi di anni e gli scienziati la ritengono precisa con uno scarto di soli 120 milioni di anni. L'età della terra risale a circa 4,5 miliardi di anni fa. I resti di Lucy, l'ominide rinvenuta in Etiopia, sono databili con buona approssimazione a circa 3,2 milioni di anni fa. Spesso la Bibbia è stata al centro di notevoli scontri d'opinione circa l'origine dell'universo. C'è voluto un sacco di tempo per capire che in questo testo sacro, che è un insieme di libri, non ci sono risposte sul come, ma sul perché. Credo fermamente che il mondo l'abbia creato Dio, ma il come ce lo spiega la scienza, man mano che i giorni passano. Intanto dovremmo imparare tutti dalla pazienza infinita di Dio che in Gesù ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere suoi figli nell'amore.