Mi domando quanto amore possa avere in cuore un padre - che si professa ateo - per accompagnare all'altare un figlio di 8 anni che riceve il Battesimo. Avrei voluto stringere la mano a questo genitore, ma per una volta non ho dato seguito alle mie manie di protagonismo. Mi sono accontentato di commuovermi in disparte, quasi alle lacrime, vedendo questo bambino chinare il capo e ricevere con l'acqua il dono della luce e della speranza che sono per tutti.
Faccio fatica a capire come un infante di pochi mesi possa essere macchiato di una colpa così grave da dover essere lavata via con un rito di passaggio. Mi rendo però conto di quanto straordinario possa essere questo gesto compiuto in un'età successiva, là dove non siano più i genitori ad effettuare primariamente una scelta di accompagnamento ed educazione alla fede.
Mi è capitato di presenziare a qualche celebrazione e di trovarmi a fianco di qualcuno che so non essere assiduo frequentatore dei Sacramenti. In tale frangente mi sono domandato se è soltanto l'affetto per le persone care che spinge a quella partecipazione oppure se c'è un interesse diverso e se nell' intimo si affacciano le stesse domande che ci facciamo tutti, ma a cui poi evidentemente diamo risposte differenti. Se non a parole, sicuramente con i gesti che compiamo ogni giorno nella nostra vita.
Mi sono domandato quanto basta. Quale misura di Dio è sufficiente per noi? Credo che ne prendiamo ciascuno la quantità di cui abbiamo bisogno. Chi una dimensione sovrabbondante; chi la giusta ragione; chi invece soltanto un assaggio ed infine altri neppure un morso. Sì, perché siamo liberi di accogliere la misura giusta per noi. E anche niente può essere la dimensione adeguata del nostro desiderio.
C'è un livello di spiritualità che possa farci ritenere più avanti degli altri nel cammino verso la santità? Non credo. Se la fede è un dono, non averla non può essere una colpa. Casomai carica chi la riceve di una maggiore responsabilità da tradurre in opere buone nell'agire di ogni giorno.
Faccio fatica a capire come un infante di pochi mesi possa essere macchiato di una colpa così grave da dover essere lavata via con un rito di passaggio. Mi rendo però conto di quanto straordinario possa essere questo gesto compiuto in un'età successiva, là dove non siano più i genitori ad effettuare primariamente una scelta di accompagnamento ed educazione alla fede.
Mi è capitato di presenziare a qualche celebrazione e di trovarmi a fianco di qualcuno che so non essere assiduo frequentatore dei Sacramenti. In tale frangente mi sono domandato se è soltanto l'affetto per le persone care che spinge a quella partecipazione oppure se c'è un interesse diverso e se nell' intimo si affacciano le stesse domande che ci facciamo tutti, ma a cui poi evidentemente diamo risposte differenti. Se non a parole, sicuramente con i gesti che compiamo ogni giorno nella nostra vita.
Mi sono domandato quanto basta. Quale misura di Dio è sufficiente per noi? Credo che ne prendiamo ciascuno la quantità di cui abbiamo bisogno. Chi una dimensione sovrabbondante; chi la giusta ragione; chi invece soltanto un assaggio ed infine altri neppure un morso. Sì, perché siamo liberi di accogliere la misura giusta per noi. E anche niente può essere la dimensione adeguata del nostro desiderio.
C'è un livello di spiritualità che possa farci ritenere più avanti degli altri nel cammino verso la santità? Non credo. Se la fede è un dono, non averla non può essere una colpa. Casomai carica chi la riceve di una maggiore responsabilità da tradurre in opere buone nell'agire di ogni giorno.
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