Vorrei riprendere in qualche modo il discorso del post precedente estendendo un po' più in profondità la riflessione che ho iniziato a fare l'altra volta.
Il rapporto con l'Assoluto è imprescindibile nella vita di ogni uomo, anche di colui che si professa ateo. Nonostante la sua indagine lo abbia portato ad una conclusione pessimistica riguardo all'esistenza di una entità soprannaturale e quindi segua l'avvicendarsi dei giorni facendosi ispirare solamente dal proprio buon senso, dal buon consiglio di chi graviti intorno o da chi lo abbia preceduto, è naturalmente portato a mantenere aperta la riflessione su questo tipo di argomento.
Allo stesso modo, anche colui che sente di credere fermamente in qualcosa di spirituale che trascende la realtà dei sensi, non può smettere di interrogarsi ripetutamente oppure almeno essere colto di tanto in tanto dal dubbio e pensare che non vi sia null'altro al di fuori di ciò che possiamo vedere, udire e toccare con mano.
E così ci arrabattiamo da mane a sera, dall'alba al tramonto, dall'età della autocoscienza fino alla senescenza, alternandoci in queste due posizioni apparentemente antitetiche, ma in realtà convergenti entrambe nel comune obiettivo di dare una risposta alle domande fondamentali: chi siamo noi? da dove veniamo? a cosa siamo destinati?
E mentre portiamo avanti questo travaglio interiore, c'è chi fa pressione dall'esterno e vuole forzarci ad un cambiamento di vita che non sentiamo nostro e che non vogliamo assolutamente adottare perché non ci rende liberi: di agire, di pensare, di essere felici. Come rigettiamo un amore che non sentiamo sincero, reciproco e che non ci fa stare bene, così sentiamo forte la repulsione per tutto ciò che è coercizione, violenza, sopruso e tendiamo ad allontanarlo con risolutezza e decisione.
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