Mi sto accingendo a scrivere altre due righe sul blog ed improvvisamente, dopo aver controllato la posta on-line, vengo distratto da una frase attribuita ad un membro del governo: serve un' "ideona" per contrastare la crisi. Evidentemente la "bella pensata" d'imbottirci di nuove tasse, sia pure per evitare la caduta nel baratro, non dev'essere stata una grande soluzione, se ora ci si ritrova a doversi inventare qualcosa di nuovo nella speranza di far ripartire i consumi.
Non vorrei tediare più di tanto, ma a me la soluzione sembra abbastanza semplice. Se l'aumento delle tasse per far fronte all'inesorabile incremento della spesa non sortisce gli effetti sperati, non è forse giusto fare marcia indietro? No, meglio proseguire ancora un po' e vedere come va a finire. Di questo passo sono sicuro che un obiettivo lo raggiungiamo di certo: impariamo tutti a vivere con più sobrietà, lasciando perdere ciò che non ci serve veramente. Il che non sarebbe un male.
Mi sembra quasi un atto di selezione naturale. Se non riusciamo noi a darci un'organizzazione giusta ed efficiente, ci pensa "il sistema globale" a ricondurci in pista su binari più corretti. Però ci vuole tempo e noi nel frattempo abbiamo bisogno d'imparare dai nostri errori. Scoccia però che quanto è chiaro ad ogni cittadino nella conduzione della propria vita familiare, non lo sia altrettanto per chi deve governare la comunità più ampia nella vita sociale. Ed allora armiamoci di pazienza ed aspettiamo che le cose facciano il loro corso. Sopra le nuvole splende sempre il sole e dopo la pioggia torna immancabile il sereno. Ma se i danni li causiamo noi abbattendo gli argini, non lamentiamoci poi di doverci leccare le ferite perché siamo stati travolti dalle acque.
E dopo questa divagazione, che ha più il sapore di uno sfogo estemporaneo che di una lucida presa di coscienza su ciò che serve fare veramente, vediamo se riesco a ritornare proficuamente a quella che doveva essera la mia riflessione originaria.
Vorrei partire da una frase attribuita ad Indro Montanelli che un giorno ebbe a dire: "La fede è un dono. A me Dio non l'ha dato. Un giorno gliene chiederò conto". Pensandoci bene, è abbastanza paradossale questa affermazione che sembra implicitamente ammettere ciò che di primo acchito vorrebbe negare. Che cos'è infatti la fede se non credere in Dio e cercare da Lui delle risposte?
Tempo fa, mentre stavo sviluppando qualche riflessione personale, sono arrivato quasi a pensare che, con qualche buona argomentazione, avrei potuto persuadere a credere. Pensandoci ora la cosa mi fa sorridere non poco perché se così fosse, qualcuno di gran lunga più bravo di me già sarebbe riuscito nell'intento. Addirittura non riesce a convincere tutti neppure Dio in persona, che in un momento particolare della storia si è fatto presente ed ha camminato in carne ed ossa inseme a noi.
A chi nutre seri dubbi sulla divinità di Gesù Cristo, posso soltanto obiettare che se non fosse veramente Dio, come uomo non avrebbe potuto essere così coerente in tutto quanto da lui affermato. Avete voi provato mai ad essere buoni e giusti per sempre? Forse ci riuscite per un'ora, un giorno intero. Ma il dì appresso siete da punto a capo ed avete bisogno di ripartire nuovamente.
Ma allora, se la perfezione non fa per noi, è giusto inseguirla con così grande fatica oppure dovremmo abbandonare ogni tentativo di elevarci in alto e dare continuo sfogo alle nostre passioni ed agli impulsi più umani? Non credere potrebbe autorizzarmi ad inseguire senza sosta tutto ciò che mi va di fare, senza necessariamente rispettare la libertà degli altri. Magari poi col tempo arriviamo a maturare la convinzione che, se vogliamo durare a lungo, non possiamo proprio arraffare tutto ciò che vogliamo sempre incuranti di quelli a cui pestiamo i piedi. Questo perché è così che ci siamo organizzati e non si usa dire che la mia libertà finisce dove comincia quella dell'altro?
Ma se siamo furbi abbastanza, forse un modo lo troviamo. Per arraffare più degli altri, per godere più degli altri, per star bene più degli altri. E perché poi non si dovrebbe fare? Per timore di un castigo eterno in cui non crediamo e che neppure ci spaventa più? Non è forse questa la pena più grande? Quella cioè di buttare via la nostra vita e non goderla a pieno fino in fondo perché, lo dicono tutti, tanto si vive una volta sola.
Siamo così, senza costrizione alcuna, lasciati liberi di aprirci a qualsiasi ipotesi. A quella che ci vuole come sofisticato sottoprodotto del caso governato dalle imperscrutabili leggi della natura. Oppure anche ad una lucida follia che trascende l'attimo presente ed aprendosi al mistero fa della sconfitta la sua vittoria.
Non vorrei tediare più di tanto, ma a me la soluzione sembra abbastanza semplice. Se l'aumento delle tasse per far fronte all'inesorabile incremento della spesa non sortisce gli effetti sperati, non è forse giusto fare marcia indietro? No, meglio proseguire ancora un po' e vedere come va a finire. Di questo passo sono sicuro che un obiettivo lo raggiungiamo di certo: impariamo tutti a vivere con più sobrietà, lasciando perdere ciò che non ci serve veramente. Il che non sarebbe un male.
Mi sembra quasi un atto di selezione naturale. Se non riusciamo noi a darci un'organizzazione giusta ed efficiente, ci pensa "il sistema globale" a ricondurci in pista su binari più corretti. Però ci vuole tempo e noi nel frattempo abbiamo bisogno d'imparare dai nostri errori. Scoccia però che quanto è chiaro ad ogni cittadino nella conduzione della propria vita familiare, non lo sia altrettanto per chi deve governare la comunità più ampia nella vita sociale. Ed allora armiamoci di pazienza ed aspettiamo che le cose facciano il loro corso. Sopra le nuvole splende sempre il sole e dopo la pioggia torna immancabile il sereno. Ma se i danni li causiamo noi abbattendo gli argini, non lamentiamoci poi di doverci leccare le ferite perché siamo stati travolti dalle acque.
E dopo questa divagazione, che ha più il sapore di uno sfogo estemporaneo che di una lucida presa di coscienza su ciò che serve fare veramente, vediamo se riesco a ritornare proficuamente a quella che doveva essera la mia riflessione originaria.
Vorrei partire da una frase attribuita ad Indro Montanelli che un giorno ebbe a dire: "La fede è un dono. A me Dio non l'ha dato. Un giorno gliene chiederò conto". Pensandoci bene, è abbastanza paradossale questa affermazione che sembra implicitamente ammettere ciò che di primo acchito vorrebbe negare. Che cos'è infatti la fede se non credere in Dio e cercare da Lui delle risposte?
Tempo fa, mentre stavo sviluppando qualche riflessione personale, sono arrivato quasi a pensare che, con qualche buona argomentazione, avrei potuto persuadere a credere. Pensandoci ora la cosa mi fa sorridere non poco perché se così fosse, qualcuno di gran lunga più bravo di me già sarebbe riuscito nell'intento. Addirittura non riesce a convincere tutti neppure Dio in persona, che in un momento particolare della storia si è fatto presente ed ha camminato in carne ed ossa inseme a noi.
A chi nutre seri dubbi sulla divinità di Gesù Cristo, posso soltanto obiettare che se non fosse veramente Dio, come uomo non avrebbe potuto essere così coerente in tutto quanto da lui affermato. Avete voi provato mai ad essere buoni e giusti per sempre? Forse ci riuscite per un'ora, un giorno intero. Ma il dì appresso siete da punto a capo ed avete bisogno di ripartire nuovamente.
Ma allora, se la perfezione non fa per noi, è giusto inseguirla con così grande fatica oppure dovremmo abbandonare ogni tentativo di elevarci in alto e dare continuo sfogo alle nostre passioni ed agli impulsi più umani? Non credere potrebbe autorizzarmi ad inseguire senza sosta tutto ciò che mi va di fare, senza necessariamente rispettare la libertà degli altri. Magari poi col tempo arriviamo a maturare la convinzione che, se vogliamo durare a lungo, non possiamo proprio arraffare tutto ciò che vogliamo sempre incuranti di quelli a cui pestiamo i piedi. Questo perché è così che ci siamo organizzati e non si usa dire che la mia libertà finisce dove comincia quella dell'altro?
Ma se siamo furbi abbastanza, forse un modo lo troviamo. Per arraffare più degli altri, per godere più degli altri, per star bene più degli altri. E perché poi non si dovrebbe fare? Per timore di un castigo eterno in cui non crediamo e che neppure ci spaventa più? Non è forse questa la pena più grande? Quella cioè di buttare via la nostra vita e non goderla a pieno fino in fondo perché, lo dicono tutti, tanto si vive una volta sola.
Siamo così, senza costrizione alcuna, lasciati liberi di aprirci a qualsiasi ipotesi. A quella che ci vuole come sofisticato sottoprodotto del caso governato dalle imperscrutabili leggi della natura. Oppure anche ad una lucida follia che trascende l'attimo presente ed aprendosi al mistero fa della sconfitta la sua vittoria.
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