Terminata la revisione del libro, praticamente pronto per andare in stampa, è maturo il tempo per mettere nero su bianco alcuni ricordi dell'evento "Team Building 2023" che è stato organizzato a Sozopol, in Bulgaria, dall'azienda per cui lavoro.
Dovendo prendere il volo che partiva da Bologna nella mattina presto di lunedì, la mia partenza da Brescia è stata anticipata alla domenica pomeriggio per poter giungere prima nel capoluogo emiliano ed evitare così di viaggiare di notte. Dopo l'usuale pranzo domenicale, mi sono fatto accompagnare da Maria Luisa in stazione dove avrei dovuto prendere un treno regionale per Milano. Non ricordavo il tempo dell'ultimo spostamento su rotaia. Questo trasferimento stava assumendo perciò i contorni di una novità a cui mentalmente un poco mi ero preparato.
Giunto in stazione ben prima della partenza del mio convoglio, me ne sono andato un po' a zonzo in cerca di una sala di aspetto. Non sono riuscito ad individuarla, neppure là dove sapevo che ve n'era collocata una. Quindi, passeggiando lungo la banchina del primo binario, sono arrivato fin di fronte al posto di Pubblica Sicurezza dove mi son potuto sedere stando non troppo esposto al sole. Era una giornata calda ed un poco afosa, come ancora se ne possono godere all'inizio dell'autunno. Intanto osservavo il convoglio che sostava da parecchi minuti fermo sul secondo binario: non sembrava in procinto di partire a breve. Forse era esattamente quello che avrei dovuto prendere per recarmi a Milano.
Mi sono alzato e sono tornato nella zona centrale per imboccare il sottopasso che mi avrebbe permesso di arrivare dall'altra parte. Un cartellone a messaggio variabile riportava esattamente lo stesso numero che compariva anche sul mio biglietto, ma io non ero così tranquillo e confidente di salirvi a bordo, nonostante molti altri passeggeri lo stessero facendo, dimostrando così una sicurezza che io non avevo. Quando ormai mancavano non tanti minuti alla partenza ed ero abbastanza certo che i vagoni davanti a me erano proprio quelli del treno che dovevo prendere, confortato anche dalla risposta di un signore che, dall'interno, ribadiva la destinazione ad altre persone indecise come me, salii senza ulteriore indugio e mi accomodai nel primo posto libero. Al mio fianco si sedette in seguito una giovane mamma che cercava di far dormire in braccio il suo piccolino e questa scena mi lasciò andare ad un tenero pensiero, mentre cercavo di immaginare i motivi di quella sua solitaria trasferta.
Arrivai puntuale in Stazione Centrale a Milano. C'era un certo margine di tempo prima della partenza della coincidenza per Bologna. Nonostante questo, mi recai con una certa sollecitudine sotto uno di quei giganteschi pannelli luminosi che elencano le destinazioni e gli orari delle partenze. Ve ne sono diversi e, dato che ero in una zona laterale, scelsi di sostare in una zona più centrale, perché non avevo idea precisa del numero di binario da cui sarei partito. Nel frattempo il mio sguardo si perdeva qua e là, osservando la consistente folla di persone in attesa come me ed altre che cercavano di dribblare a fatica per andare in un altro punto oppure per uscire in esterno.
Quando comparve l'avviso relativo al Freccia Rossa che dovevo prendere, mi precipitai in direzione del binario indicato. Nonostante ci fosse sufficiente tempo per approcciarsi con calma, come tanti altri, anch'io finii per muovermi con un'andatura fin troppo sollecita. Il posto era preassegnato, che timore avevamo tutti quanti? Raggiunto il vagone il cui numero era indicato sul biglietto della mia prenotazione, vi salii e subito mi guardai intorno per individuare la poltrona a me riservata. Dopo non molto tempo essermi seduto, gli altri tre posti adiacenti furono occupati da una famigliola che portava al seguito un numero considerevole di borse e pacchi, evidente segno di abbondante attività di shopping effettuato nel capoluogo lombardo. Costoro scesero poi al Terminal One di Reggio Emilia, stazione che avevo avuto modo di osservare più volte sfilandola di fianco in autostrada in tanti viaggi. Ma ora avevo occasione di osservare quell'avveniristica costruzione anche dall'interno.
Viaggiando ad una velocità prossima ai 300 km all'ora, raggiunsi Bologna senza potermi dilungare troppo in altri pensieri. I treni dell'alta velocità si fermano in binari collocati molto in basso nel sottosuolo della stazione. Per forza di cose, pensai, dato che probabilmente non ci si poteva più espandere in orizzontale. Con calma, dato che ora non avevo alcun altro appuntamento da rispettare, sono salito di un livello, dove ho visto che potevano accedere i taxi per accompagnare le persone. Ho cercato di memorizzare alcuni punti di riferimento per poter tornare ai binari durante il viaggio al ritorno dalla trasferta in Bulgaria. Presa un'altra rampa di scale mobili, giunsi al livello dei binari che hanno numerazione più bassa. Avevo urgenza di recarmi alla toilette, ma non essendo provvisto di moneta e non trovando una macchinetta per cambiare una banconota, ho portato pazienza finché non sarei giunto in Hotel, che tutto sommato non si trovava distante dalla stazione.
Approdato in esterno, ho cercato un po' distrattamente una lapide posta a ricordo della strage avvenuta nel 1980. Non la trovai, ma non mi andava di chiedere informazioni al riguardo e quindi, dopo un rapido consulto al navigatore satellitare, mi sono mosso a piedi in direzione dell'albergo che l'azienda mi aveva aiutato a prenotare. Due isolati e vi sarei stato davanti. Alla reception aspettai il mio turno per effettuare il check-in e prenotai pure un taxi che mi portasse in aeroporto il mattino seguente. L'impiegato propose qualche minuto prima dell'orario da me indicato. Questa volta non ero stato troppo sollecito perché avrei dovuto effettuare online il check-in del volo, ma fu provvidenziale in quanto scoprii in seguito che su quella tratta non si poteva fare e quindi sarebbe stata buona cosa giungere in aeroporto con un maggiore anticipo rispetto a quello che avevamo pensato in un primo momento.
Dopo aver preso possesso della stanza, visto che non era ancora sera, sono uscito in direzione del centro cittadino per uno spuntino e per bere qualcosa. Avevo più che altro sete dato che il pranzo domenicale è solitamente abbondante e quindi la fame non era molta. Ma in treno avevo sudato un po' e quindi ora avevo una certa sete. Andando a passeggio, mi sono fatto guidare dal mio istinto e senso dell'orientamento, anche se in precedenza un'occhiata alla mappa della città l'avevo data. Mi stavo muovendo sotto uno dei numerosi portici, come quelli che avevo visto in altre precedenti visite, ma mai in quella zona. Dalla direzione opposta provenivano tantissime persone. Immaginai che si stessero allontanando dal centro e quindi verosimilmente mi stavo muovendo nel verso giusto. E infatti dopo qualche minuto mi sono ritrovato nei pressi di Piazza Grande. La fontana del Nettuno è ora circondata da una fitta cancellata. Sono però riuscito ad infilarci una mano e a scattare qualche fotografia ravvicinata. Dopo aver sostato un attimo in zona antistante la Cattedrale di San Petronio, ho mosso i miei passi verso le due note torri bolognesi.
La città era sempre affollata, ma si capiva che ormai la gente era in procinto di rincasare e, visto l'orario, tanti locali erano prossimi alla chiusura. Non mi ero accomodato da nessuna parte per un aperitivo. Dovevo affrettarmi altrimenti non avrei soddisfatto la necessità di uno spuntino che stavo continuando a rimandare da un bel pezzo. Imboccata nuovamente la via su cui si trova la facciata della chiesa di San Pietro, pigramente mi apprestavo a rientrare in hotel tenendo al contempo d'occhio i locali che si affacciano sul quel lungo viale. Sotto i portici ne ho individuato uno che faceva al caso mio e, pertanto, mi sono seduto ad un tavolino libero come, in verità, lo erano ormai tutti a quell'ora. All'ingresso c'era il personale di servizio che si perdeva in chiacchiere. Ho cercato di attirare la loro attenzione con un cenno, ma dato che non mi sembra che avessero inteso correttamente il mio gesto, mi sono alzato e sono entrato nel locale per domandare esplicitamente se facevano servizio ai tavoli. Avuta risposta affermativa, sono tornato a sedere dove una cameriera mi ha poi raggiunto per raccogliere la mia ordinazione. La spremuta mi venne rifiutata in quanto la macchina era già stata pulita. Optai allora per uno spritz chiedendo qualcosa in accompagnamento per evitare di bere a stomaco vuoto. Di lato, sulla strada e non sotto al porticato dove mi trovavo io, quattro turisti dall'accento anglosassone si sedettero al tavolino ordinando birra, ma anche a loro, con mia sorpresa, fu servita la stessa serie di tigelle che avevano allietato il mio aperitivo.
Lasciato il bar, ho proseguito la mia camminata per rientrare in stanza in orario non troppo tardivo. Domattina mi sarei dovuto alzare presto e quindi speravo di riuscire ad addormentarmi velocemente, come invece non avvenne. Nessun caffè era lì a giustificare la mia difficoltà a prendere sonno. Neppure la visione su cellulare di una serie Netflix da completare era riuscita a conciliare e favorire una buona dormita, almeno non prima di quando sarebbe piaciuto a me. Ma l'esigenza di andare in bagno mi ha fatto svegliare esattamente poco prima dell'orario impostato prima di andare a letto. Disattivai la sveglia ed ho iniziato a prepararmi. Avevo a disposizione una colazione al sacco che mi era stata consegnata la sera prima, dato che sarei dovuto partire presto ben prima dell'usuale orario di apertura della sala da pranzo. Ho mangiato qualcosa, pensando che durante la giornata, tutta impegnata nei due voli per arrivare a Sofia e poi per il lungo trasferimento in pulmino per raggiungere Sozopol, non ci sarebbe stato tanto spazio per un desinare regolare. Sceso da basso, ho effettuato il check-out e mi sono messo in attesa a fianco dell'ingresso.
Il taxi non si fece aspettare troppo. Uscii e, dopo aver salutato l'autista, ho accomodato il mio essenziale bagaglio nel vano posteriore della sua auto. Gli chiesi di accompagnarmi in aeroporto e durante il tragitto scambiai con lui alcune parole riguardo alla mia destinazione, al mio soggiorno nell'hotel, alla passeggiata della sera precedente ed ottenni un ragguaglio per il caso in cui avessi dovuto prendere nuovamente un taxi al mio ritorno, giusto per avere conferma del fatto che effettivamente riescono a giungere vicinissimi ai binari dell'alta velocità. Dopo pochi minuti sono stato lasciato davanti all'ingresso dei voli in partenza. Una volta entrato mi sono diretto verso la zona A del check-in, ma non trovandovi nessuno dei colleghi di Bologna, ho mandato un messaggio su WhatsApp per avvisarli del mio arrivo sul posto. Subito uno di loro mi ha risposto che anche loro erano già in coda al check-in, per cui ho capito di non trovarmi nel punto giusto. Chieste informazioni all'info point ed ottenute precise indicazioni riguardo a dove recarmi, ho raggiunto tutti gli altri colleghi che erano già in coda.
Dove si trovavano loro non c'era molto da attendere e così ci siamo potuti recare velocemente al punto d'imbarco. L'attraversata dei punti di controllo è stata per me occasione di un momento d'ilarità essendomi dovuto cavare la cintura dei pantaloni e temendo perciò di restare in mutande. Il metal detector, nonostante mi fossi liberato di ogni parte metallica, fece scattare l'allarme e così mi sono dovuto sottoporre ad un blando controllo con perquisizione sommaria del bagaglio che avevo al seguito. Avevo portato con me una bottiglietta di acqua che era compresa nella colazione al sacco che avevo ricevuto in albergo. Avevo pensato che sicuramente me l'avrebbero confiscata ed infatti così è avvenuto. Chissà poi perché l'acqua e non altre cose che in aereo potrebbero essere ben più pericolose di una bevanda. Parlandone coi colleghi la spiegazione più accreditata a cui siamo giunti fu quella che avendo generi di conforto al seguito non avremmo comperato quelli che erano in vendita prima del gate oppure anche a bordo dell'aereo, là dove non veniva offerto gratuitamente dalla compagnia, come infatti mi capitò poi al ritorno.
A questo punto sarebbe giusto menzionare almeno un po' riguardo la mia paura di volare che da oltre 23 anni mi ha impedito di salire su un aereo. Non che non ne avessi avuta anche in occasione di questo viaggio, ma in un certo senso ero stato messo con le spalle al muro. Avevo di fronte a me la scelta di aderire a questa iniziativa aziendale oppure avrei dovuto rinunciarvi. Ho spinto via le mie paure e mi sono aggregato al gruppo dei colleghi dando assenso positivo fin dall'inizio. Però ammetto di aver riversato buona parte delle mie fobie sulla consorte impartendo precise disposizioni su cosa fare con il libro che aveva già preso il corso della pubblicazione e che non avrei potuto seguire nelle ultime fasi, se un incidente d'aereo avesse dovuto prematuramente stroncare la mia esistenza. Con gli accordi presi in precedenza con l'editore mi mettevo l'animo in pace, ma al contempo instillavo in Maria Luisa un profondo senso d'inquietudine che lei mai avrebbe provato nell'imminenza di un volo, proprio perché poteva vantare una serie innumerevole di viaggi all'estero effettuati in gioventù, prima che ci conoscessimo.
Ci furono due voli all'andata per effettuare uno scalo intermedio a Belgrado. Per il ritorno uno diretto da Sofia a Bologna. Tutto molto tranquillo con turbolenze impercettibili, niente a che vedere con quanto da me patito nel volo da Malaga a Linate al ritorno dal viaggio di nozze in Andalusia con Santina nel lontano 1987. Dopo quella prima problematica esperienza, avevo volato altre due volte nel 2000: la seconda da Montichiari a Fiumicino per ragioni di lavoro. Mi ero fatto coraggio perché di lì a poco avrei dovuto volare nuovamente verso Londra con Santina per effettuare una delle nostre ultime vacanze insieme al termine del suo primo ciclo di chemioterapia. Avevamo sempre rimandato ad un periodo più in là negli anni l'occasione di un viaggio lontano da casa proprio perché avevamo dei figli piccoli e non ci sembrava giusto andare incontro a rischi per la loro salute, nel caso in cui si fossero ammalati in terra straniera. In quella terza occasione volli in qualche modo recuperare le rinunce fatte e così lasciammo Andrea ed Alessandra a dormire dai nonni che ben volentieri assecondarono il nostro desiderio conoscendo la grave situazione della figlia.
Giunti a Sofia e raggiunta l'uscita dell'aeroporto, ci accolse un signore con in mano un cartoncino con sopra scritto il nome della nostra ditta. Felici di aver individuato l'autista per il trasferimento fino a Sozopol, ci stavamo apprestando a salire sul pulmino quando tanti si misero a sorridere perché sul fianco del mezzo vi era l'indicazione di una ditta italiana e, per giunta, ubicata esattamente nel paese in cui vi era stato in precedenza il mio ufficio: Lonato del Garda. Mi sentii di nuovo a casa, ma lo ero doppiamente per il fatto che il territorio intorno a Sofia, a causa dei suoi rilievi, mi ricordava la mia Brescia da cui ero partito il giorno prima. Consultando Google maps, avevo capito che ci attendevano numerose ore di viaggio lungo una diritta arteria autostradale per giungere fino a Burgas e poi piegare verso Sozopol effettuando l'ultimo tratto in zona costiera. Non potevamo procedere a velocità troppo spedita. La distanza da colmare era tanta e quindi non saremmo giunti a destinazione che in tarda serata.
I colleghi che da Ruse, città situata nella zona nord della Bulgaria, si erano messi in viaggio in mattinata in pullman, erano già giunti in albergo e in varie riprese postavano foto del luogo dedicandosi alle prime attività di relax per ingannare l'attesa del momento in cui anche noi saremmo arrivati sul posto. Ma alcuni contrattempi facevano prolungare il congiungimento ben oltre l'orario ipotizzato per il completamento del trasferimento. Ci fu bisogno di una seconda sosta proprio prima di Burgas perché il nostro pulmino era andato in riserva ed aveva bisogno di nuovo carburante. L'autista si era fermato presso una pompa non abilitata e così, dopo aver ricevuto istruzioni dal personale presente in cassa alla stazione di servizio ed aver fatto manovra per spostarsi verso gli erogatori adibiti alle automobili, fu preceduto da un camioncino di operai che lo costrinsero ad una prolungata attesa. Ripreso finalmente il viaggio, qualche chilometro prima dell'arrivo, percorrendo una solitaria strada accidentata che ogni tanto ci faceva fare grandi sobbalzi sul sedile, improvvisamente ci siamo dovuti fermare. Nel frattempo fummo pure affiancati da una pattuglia della polizia che voleva capire cosa ci facessimo fermi a bordo strada. Vollero controllare che non ci fossero a bordo dei migranti. Uno dei poliziotti, dopo aver conferito brevemente con l'autista ed aver capito che il motivo della sosta era dovuta al dispositivo di bordo che era andato in blocco per il numero di ore di viaggio, fece cenno di liberare la strada e di proseguire perché ormai mancavano pochissimi chilometri al raggiungimento della nostra destinazione.
Arrivati nei pressi dell'hotel, il responsabile della filiale bulgara si parava dinnanzi a noi illuminato dai fari del nostro pulmino. Era in perfetto abbigliamento estivo e faceva intuire cosa ci avrebbe atteso di li a poco. Effettuato velocemente il check-in e depositato rapidamente il bagaglio in stanza, siamo scesi in sala da pranzo dove anche i colleghi erano rimasti in attesa per la cena. Con nostra piacevole sorpresa non avevano voluto cenare e gentilmente ci avevano aspettato per condividere insieme il primo pasto. Noi italiani eravamo poco meno di venti. Loro oltre una trentina. Ci siamo liberamente distribuiti fra i vari tavoli per fraternizzare in allegria. Provenendo dall'Italia, il nostro viaggio era stato decisamente più impegnativo del loro. Terminata la cena eravamo cotti e desiderosi di metterci a letto a riposare. Prima di dormire sono riuscito però a mandare un saluto a casa accompagnandolo con alcune foto del posto per dare l'idea del bel luogo in cui ci trovavamo.
Mi sono svegliato presto per andare in bagno. Avendo visto che era già chiaro, ho tirato le tende e dato un'occhiata verso la spiaggia. C'era vento e le onde agitavano il mare. Il sole, ormai sorto, colorava di rosa alcune nuvole che si muovevano velocemente sopra la zona. Ho pensato che poteva essere una buona idea quella di mettermi in abbigliamento estivo e scendere da basso per scattare alcune fotografie, mentre tutti gli altri stavano ancora dormendo. Una sensazione magica, nonostante le poche ore di riposo e che il buon senso mi avrebbe suggerito di proseguire a letto ancora per un po'.
Sulla spiaggia qualche turista si muoveva avanti e indietro. Chi correva e chi proseguiva più lentamente, esattamente come anch'io stavo facendo. Non avevo mai visto il Mar Nero, ma cominciavo a capire le ragioni del suo nome dovute ai colori molto scuri delle sue acque, almeno se le si osserva, come stavo facendo io, in direzione orientale. Sull'arena vi era un secchiello che mi richiamò alla mente un'analoga situazione vista a Roseto degli Abruzzi dopo una giornata di burrasca che aveva trascinato sulla spiaggia diversi oggetti di plastica, di legno e varie conchiglie. Anche qui la stessa cosa. Postai alcune di quelle foto sul gruppo webex aperto dai colleghi ed in seguito ebbi modo di raccogliere da loro svariati complimenti per le buone inquadrature.
A tavola però uno dei colleghi stranieri mi domandò come mai avessi pubblicato quelle fotografie. In inglese cercai di farmi capire per bene, tentai insomma di esplicitare le ragioni che mi avevano spinto a effettuare quegli scatti. Per me c'era qualcosa di poetico. Un ramo ritorto che era stato spinto dai marosi sulla spiaggia, non appariva più come un pezzo di legno. Dall'angolatura in cui lo avevo ritratto pareva un punto di domanda, una interrogazione fatta al mio spirito in quella giornata così mistica che stava assumendo una valenza spirituale che andava ben al di là di un incontro di lavoro per conoscere più in profondità i colleghi di una filiale estera. Avendo però scorto nel commensale una certa perplessità, volli domandare esplicitamente cosa a lui richiamasse la mia fotografia. Mi rispose che gli dava soltanto l'idea di spazzatura. Con le mie fotografie ebbi l'impressione di aver offeso lui e magari anche altri. Mi giustificai dicendo che non ero lì per fare un reportage sulla Bulgaria che la potesse mettere in cattiva luce, ma per incontrare e fare amicizia con dei colleghi e, pertanto, se avevo offeso qualcuno, che si facesse interprete dei miei sentimenti nei confronti degli altri e porgesse le mie scuse a quanti si erano sentiti offesi dalla mia pubblicazione. Ottenni un cenno di assenso.
Anche se probabilmente è stato un caso isolato, questo episodio mi ha fatto riflettere non poco riguardo al fatto che una cosa non è necessariamente univoca e che possa prestare il fianco ad una duplice interpretazione. Probabilmente sono entrate in gioco anche altre ragioni personali del collega, come pure io stesso posso essere stato molto condizionato dall'aspetto esteriore del suo volto e che magari non vi era realmente perplessità nei miei confronti. Semplicemente poteva riflettere situazioni personali di cui non ero a conoscenza, dato che poi non ho visto cambiare espressione per tutto il periodo del meeting. Però, la circostanza mi ha spinto ad essere un pochettino più cauto del dovuto e a valutare con maggiore attenzione la condivisione dei mie scatti fotografici proprio per evitare di urtare il sentimento altrui.
Potrei dilungarmi ora stendendo tanti altri particolari che riguardano l'evento a cui, sul finire di settembre, ho avuto la fortuna di vivere in compagnia di tante persone. Potrei proseguire con la narrazione del viaggio di ritorno iniziato all'alba di giovedì e concluso con il mio arrivo a Brescia soltanto nella tarda serata quando tutti gli altri erano già tornati in famiglia da molte ore. Preferisco chiudere qui. Non so se sono riuscito a trasmettere per bene tutto l'entusiasmo profuso e altre sensazioni forti di quella trasferta di lavoro. Sicuramente sono ancora qui davanti ai miei occhi i sorrisi e le attestazioni di affetto di tante persone che fino a ieri consideravo semplicemente colleghi, ma ora posso dire a ragion veduta che sono amici.
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