Il titolo di questo post è una fin troppo facile parafrasi del film che mia moglie ed io abbiamo visto in settimana a Cremona. "Noi non siamo come James Bond" non è di certo una pellicola destinata al vasto pubblico, ma più propriamente può trovare la sua giusta collocazione in una rassegna cinematografica dedicata a spettatori dal gusto particolare che non disdegnano degustazioni di frontiera.
Fin dalle prime sequenze si ha l'impressione di assistere ad una sorta di documentario introduttivo all'azione filmica che dovrà svolgersi successivamente. In realtà ci si trova ben presto immersi nelle vicende personali dei due protagonisti - di cui uno è il regista stesso - che, riprendendo in mano un vecchio progetto, tentano di mettersi in contatto con Sean Connery, l'attore che sicuramente ha interpretato meglio e con più successo il ruolo di James Bond.
Attorno a questo debole filo conduttore, che si dipana come una sorta di auto intervista, emerge ben presto il tema della malattia e della prodigiosa guarigione di cui entrambi i protagonisti han fatto esperienza nella vita reale. Il film vien quasi a colmare un vuoto di senso dell'esistenza di cui improvvisamente si prende coscienza nel momento in cui una leucemia ed un cancro investono prima uno e poi l'altro dei due interpreti.
Come vien detto brevemente in alcune sequenze, in questa rappresentazione, più che tentare di dare delle risposte emerge tutta una serie di domande aperte al libero contributo individuale dello spettatore.
Il tentativo è lodevole, ma in alcuni passaggi - a mio modo di vedere - si procede fin troppo speditamente e i protagonisti perdono l'occasione per arrivare in maniera più profonda ed incisiva al nocciolo della questione. Come rapide pennellate che lasciano i contorni non ben definiti ed i tratti fin troppo sfumati. E così, dal crescendo iniziale denso di aspettative e ricco di filoni narrativi tutti equamente possibili, si arriva nel finale ad una sorta di tono minore che lascia in bocca il sapore dell'incompiuto.
Fin dalle prime sequenze si ha l'impressione di assistere ad una sorta di documentario introduttivo all'azione filmica che dovrà svolgersi successivamente. In realtà ci si trova ben presto immersi nelle vicende personali dei due protagonisti - di cui uno è il regista stesso - che, riprendendo in mano un vecchio progetto, tentano di mettersi in contatto con Sean Connery, l'attore che sicuramente ha interpretato meglio e con più successo il ruolo di James Bond.
Attorno a questo debole filo conduttore, che si dipana come una sorta di auto intervista, emerge ben presto il tema della malattia e della prodigiosa guarigione di cui entrambi i protagonisti han fatto esperienza nella vita reale. Il film vien quasi a colmare un vuoto di senso dell'esistenza di cui improvvisamente si prende coscienza nel momento in cui una leucemia ed un cancro investono prima uno e poi l'altro dei due interpreti.
Come vien detto brevemente in alcune sequenze, in questa rappresentazione, più che tentare di dare delle risposte emerge tutta una serie di domande aperte al libero contributo individuale dello spettatore.
Il tentativo è lodevole, ma in alcuni passaggi - a mio modo di vedere - si procede fin troppo speditamente e i protagonisti perdono l'occasione per arrivare in maniera più profonda ed incisiva al nocciolo della questione. Come rapide pennellate che lasciano i contorni non ben definiti ed i tratti fin troppo sfumati. E così, dal crescendo iniziale denso di aspettative e ricco di filoni narrativi tutti equamente possibili, si arriva nel finale ad una sorta di tono minore che lascia in bocca il sapore dell'incompiuto.
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