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domenica 29 gennaio 2006

Colpo di fulmine

Il colpo di fulmine - 05/11/2002

Nell’approssimarsi dell’esame di maturità il parroco mi mise a disposizione una stanza nei locali annessi alla chiesa perché potessi ritirarmi e studiare con maggiore tranquillità che a casa mia. Durante una breve pausa di studio la mia attenzione fu catturata da un cartellone posto nelle adiacenze. Mi sembra di ricordare che vi erano appesi alcuni bigliettini con una breve presentazione riguardo alle persone che avevano partecipato a quella realizzazione. Fra queste figurava anche Santina e fu così che appresi il giorno del suo compleanno: 30 aprile.

In seguito, dopo che ebbi raccontato ai miei sacerdoti l’intenzione d’interrompere il mio cammino in seminario, confidai al curato la simpatia che provavo per questa ragazza. M’incoraggiò a farmi avanti e parlarle, ma mi mise anche il dubbio che fosse già impegnata con un ragazzo di Vicenza che aveva avuto modo di conoscere al campeggio l’anno precedente. Solitamente, come chierico, partecipavo a tutte le iniziative parrocchiali, ma quell’anno non presi parte, mio malgrado, a quella vacanza in Alto Adige. I miei genitori erano andati a trovare i parenti in California ed io ero rimasto a casa a badare a mio fratello.

Quando ritornarono io sarei dovuto partire per quel campeggio, ma mio padre insistette perché vi rinunciassi, proprio perché era tornato da poco e mi voleva vicino. Capii le sue ragioni e non mi opposi anche se mi dispiacque un poco di dover fare quella scelta. Sul finire del mese di maggio la parrocchia era solita organizzare la festa dell’oratorio. Per la circostanza il sabato sera si tenne una festa danzante a cui non mancai di partecipare. Desideravo avere un primo contatto con Santina. In queste feste mi sono sempre tenuto in disparte, vinto dalla mia inguaribile timidezza.

Quella sera, ardimentoso più che mai, mi ero portato fin sul bordo della pista di ballo ricavata per l’occasione sulla piattaforma della pallavolo. Ognuno partecipava come meglio credeva a quella sana allegria. Spesso Santina era trascinata in vorticosi trenini e giravolte di danza assieme ai nostri amici coetanei. Non smettevo di pensarla e mantenevo fisso il mio sguardo su di lei. Ogni tanto cercavo di farmi coinvolgere lanciando qualche battuta, quando nei vari andirivieni si avvicinava a me. Deve aver notato che la osservavo serio ed ad un certo punto, ridendo divertita, mi pose una domanda a cui ho risposto con un laconico no. 

Dato che mi credeva ancora chierico, come quasi tutti del resto, forse le parve naturale interrogarmi: “Che dici, Romano, credi che andrò all’inferno?”. In realtà fra me e me pensai, ma non ebbi il coraggio di dire ad alta voce, che se anche ci fosse andata, io l’avrei seguita. Per fortuna me ne stetti zitto. Non avrebbe potuto capire. Ero sempre più coinvolto e l’adrenalina cominciava a montarmi in corpo. Quando incrociavo il suo sguardo sentivo un ribollimento del sangue mai provato. Fu un crescendo continuo di emozioni fino al punto in cui sentii la scossa fatale.

Quella sera ho vissuto il classico colpo di fulmine. Fu una folgorazione talmente intensa che ancora oggi resta sul mio cuore una cicatrice indelebile. Si stava facendo tardi e ad un certo punto decisi di rincasare. Forse Santina mi aveva preceduto poco prima, questo non lo ricordo. Quella notte non riuscivo a prendere sonno. Ero tutto un fermento ed un ribollire di pensieri. Era quasi l’alba ormai quando mi appisolai per un’ora o due al massimo.

La domenica mattina ci recammo nuovamente in oratorio per la celebrazione della messa all’aperto proprio su quella stessa piattaforma che la sera prima ci aveva visti convenuti per tutt’altro tipo di festa. Al termine della celebrazione mi accostai a Santina e le dissi che avevo bisogno di parlarle, magari con calma nel pomeriggio. Ella acconsentì, ma mi rimandò alla domenica seguente in quanto doveva accompagnare i genitori dai parenti. Ci salutammo e se ne andò. Improvvisamente quel turbinio e sconvolgimento interiore si placò e tornai padrone di me.

Non vedevo l’ora di confidarle tutto me stesso e lei mi si sottraeva. Come resistere ancora per una settimana, sette lunghissimi giorni. Forse furono provvidenziali. Staccare un poco mi permetteva di riprendere pienamente possesso delle mie facoltà mentali e dominare meglio i miei sentimenti.

La domenica successiva, dopo la messa, Santina non aveva dimenticato e si presentò innanzi a me, assieme ad una sua cara amica, per sentire orbene quella cosa tanto importante che dovevo comunicarle. Con discrezione feci capire che dovevo parlarle a tu per tu in privato e quindi c’incamminammo lentamente per la strada che conduce a Collebeato.

Notai che indossava un paio di scarpe contrarie al mio gusto. In seguito non mancai di dirglielo. Ricordo quella camminata come se l’avessi fatta l’altro ieri. Spesso durante il primo anno di università ripercorrevo mentalmente quel tragitto passo dopo passo e lezione dopo lezione mi disaffezionavo agli studi d' ingegneria. Per rompere il ghiaccio le chiesi se durante la settimana passata aveva avuto modo di pensarci e s’era fatta un’idea di cosa le avrei detto. Mi disse che non sapeva proprio. Forse era mia intenzione coinvolgerla con una proposta di volontariato al Gottolengo di Torino.

Evidentemente quando ne avevo parlato durante un incontro nei mesi scorsi mi aveva seguito con attenzione ed ora pensava che io stessi per formulare qualcosa di concreto al riguardo. Le dissi invece che avevo preso la decisione di lasciare il seminario. Ma c’era di più. Ero innamorato di lei e volevo intraprendere un nuovo cammino al suo fianco. Così discorrendo andammo avanti per un bel pezzo lungo la strada, quasi al limite fra i due comuni.

Con un certo stupore appresi che lei non provava per me nessuna simpatia particolare. Nella mia ingenuità pensavo che la settimana precedente ella avesse provato le mie stesse emozioni e tutti quegli incroci di sguardi fossero qualcosa di più che casualità. Quando ormai eravamo ritornati nei pressi della chiesa e quindi anche di casa sua, la vidi molto perplessa e pensierosa. La invitai a confidarsi con i suoi genitori e non tenersi tutto dentro. Rinnovai l’invito a considerare la mia proposta.

Anche se lei non era già innamorata come lo ero io, se c’era qualche presupposto, potevamo iniziare a frequentarci e vedere l’evolversi della cosa. Io ero rimasto sconvolto da lei e lei da me per altri motivi. In poco più di un’ora, una persona che ti sta di fronte e che per anni hai imparato a conoscere come un aspirante sacerdote, ti dice che abbandona tutto che è innamorato e che per giunta lo è di te.

Santina non aveva coi genitori quella confidenza tale per poter parlare di queste cose. Il pomeriggio stesso decise di parlarne con un’amica che conoscevo benissimo in quanto abitava a fianco di casa mia. Fu singolare come quel pomeriggio, pur venendo a me vicinissima, non ci siamo più incrociati. Quest’amica, saggiamente le consigliò di parlarne innanzitutto coi nostri preti.

Il giorno seguente, mentre io ritornavo in seminario e lei si recava al lavoro, per pura coincidenza salimmo sullo stesso autobus. Ci salutammo e nulla più. Per me, uomo di poche parole, fu abbastanza naturale. In seguito lei mi disse che si era pentita di non essere riuscita a dirmi nulla e di essere rimasta chiusa nei suoi pensieri. Dopo essersi confidata col curato, acconsentì, con cautela, a muove i primi passi al mio fianco.

Grazie Santina per aver avuto fiducia in me. Grazie per aver avuto il coraggio di tentare. Grazie per aver lasciato che la tua vita s’intrecciasse con la mia.

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