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sabato 21 gennaio 2006

Il sogno.

Anche questa notte, come tante altre, ti ho sognata. Ero a casa dei miei, non quella attuale, ma quella precedente e scrutavo sopra i mobili alla ricerca delle tue lettere. Quelle lettere che mi scrivesti quando eravamo fidanzati e durante il mio periodo di ferma obbligatoria. Lo sai, le ho cercate tanto dopo la tua morte, ma non sono stato in grado di trovarle.

Che poca cura ne ho avuto. Le tue invece, quelle che ti scrissi io, sono ancora ben riposte in una scatola di latta in mezzo a quel che resta della tua biancheria. Eh sì perché nei mesi successivi dalla tua dipartita dissi a tua madre di venir pure a prendersi quanto desiderava dei tuoi indumenti. Le chiedevo solo di farlo quando io ero al lavoro in modo che per me lo strazio fosse limitato. Ricordi il film "Le parole che non ti ho detto"? Il marito ci mise un po' prima di dare i quadri della moglie alla suocera ed al fratello. Avevo capito la lezione.

Non potevo restituirti ai tuoi genitori, ai tuoi fratelli, ormai non più. Quello che potevo fare era permettere che mettessero le mani nei nostri cassetti, nei nostri armadi e si prendessero di te quanto desideravano. Chiesi a tua madre se per caso in quest'operazione avesse addocchiato le tue lettere. Magari tua sorella le aveva viste. Mi disse di no. Nel sogno ho pianto per non essere riuscito a trovarle. Forse è meglio così. Magari sarei tentato di rendere pubblico qualche tuo scritto, mentre invece non dovrei.

Poi il sogno ha cambiato scenario. Forse mi trovavo in un corridoio d'ospedale. Mi viene incontro un medico, almeno così lo giudico io, e vedendo me, Alessandra ed una donna si complimenta augurandosi che ora stiamo tutti bene. Gli rispondo che quella non è mia moglie, ma una tua conoscente che mi chiedeva di te. Se i sogni son desideri di felicità, beh allora quello che il mio inconscio continua a cercare è quello che forse non potrò mai più avere.

Non si può mai sapere quello che la vita ci riserva e per questo val la pena di continuare a lottare. Eppoi ci sono loro. Me li hai affidati ed io debbo averne cura, anche se tante volte mi sento inadeguato.

Qualche giorno fa mi sono soffermato a pensare che Alessandra, diventando donna, sta lentamente colmando quel vuoto che tu hai lasciato in me. Non ho con lei quell'intima confidenza che c'era tra noi, ma pur non di meno i suoi discorsi che si stanno facendo via via più maturi appagano in certo qual modo quel desiderio di completezza che mi viene solo dal confronto con un altro essere umano. Non ne ho mai affrettato la crescita. Non ho mai chiesto ai nostri figli di portare il peso del mio dolore. Se ci sono riuscito, sono contento di averlo fatto.

Lo so che corro troppo, ma ora mi sembra già di temere il giorno in cui prenderà il volo per formare una sua famiglia. L'augurio più grande che posso far loro, ad entrambi, è di darmi dei nipoti per la loro e la nostra gioia. Ciascuna cosa però a suo tempo.

1 commento:

Romano Scuri ha detto...

Mi fa grande impressione tornare a rileggere queste cose dette, per così dire, nella notte dei tempi. Mi sembra di partecipare con intensa commozione al dramma umano di questa persona che altri non è che me stesso.

La donna sognata - l'ho già scritto - è qui presente.