Una delle cose che ti crucciava di più era quella di non avere un giorno particolare in cui ricordare il tuo onomastico. Magra consolazione per te essere ricordata il primo di novembre, festa di tutti i santi e quindi anche tua, Santina. Questo nome non ti era mai piaciuto fino in fondo ed hai dovuto ereditarlo alla nascita in ricordo del nonno Santo, morto tanti anni prima, prima ancora che tu fossi concepita. Da lui hai probabilmente ereditato anche una carenza genetica che è stata la concausa della sua e della tua malattia.
Quando fosti dimessa, dopo l’operazione, parlammo un poco del tuo male e delle sue possibili origini. I medici m’avevano detto che per il cancro al colon due potevano essere le cause più probabili: l’alimentazione oppure una tara genetica. Ti sei sempre alimentata con equilibrio, almeno da quando ti ho conosciuta e quindi quella motivazione ci sembrava non appropriata. Cosa dire allora dell’altra ipotesi? Qualche anno prima avevamo perso la sorella più giovane di tua madre per un cancro al seno. E poi c’era stata la morte di tuo nonno prima ancora. Tu subito precisasti che era morto di polmonite, come ti era stato detto, come mi avevi detto da fidanzati, ad una mia domanda, osservando i ritratti dei tuoi nonni nella casa paterna dove mi piaceva andare e dove ho ancora la fortuna di tornare qualche volta. Poi un giorno al cimitero, alcuni mesi fa, di fronte alla sua tomba, presente l’altra tua zia, volli rifare quella domanda. Di cosa era morto. Di cancro al polmone fu la risposta.
Ecco lo sapevo, mi sembrava di averlo sempre saputo. Forse a te avrebbe fatto piacere o almeno avrebbe aiutato a capire del perché ora ti trovavi in quella situazione. Non un dispetto del destino per qualche colpa morale oppure altro. Una sera, mentre passavo a prendere i bambini, tua madre, prima che me ne andassi, quasi singhiozzando mi dice che non è vero che suo padre era morto di cancro. Io dopo che lo avevo saputo, mi ero sentito in dovere di ragguagliare i tuoi fratelli. Il mio intento era quello di metterli sull’avviso. Per questioni di salute nei confronti dei nostri figli non dimenticherò mai di cosa sei morta. La rilevanza o meno la decideranno i medici. Per conto mio non ha nessun senso nascondere lo stato delle cose.
Ho cercato di far capire a tua madre che forse averlo saputo prima non ti avrebbe salvato. Le ho detto che anche il fratello di mia madre era morto per cancro e forse mio nonno stesso. Sicuramente è morta di cancro la madre di mio padre eppure non l’abbiamo mai nascosto. Ammetto che per qualcuno possa essere stata considerata in passato una malattia disonorevole, ma erano altri tempi e si aveva un’altra cultura. Come marito mi sento abbastanza in colpa per la tua perdita prematura. Non ho avuto abbastanza cura di te. Appena conosciuti hai cominciato a soffrire di eritema solare. Come non pensare che alla base di questa patologia ci sia stata una qualche forma di scompenso genetico. Avrei potuto essere più combattivo. Invece che rassegnarmi al fatto che tu non potevi esporti al sole, avrei dovuto condurti o lasciarti andare a compiere qualche esame più approfondito.
Non so se tu avresti risolto il tuo problema legato all’esposizione solare. Forse però da quelle indagini poteva emergere qualcos’altro, qualche elemento che ci avrebbe permesso di affrontare la malattia all’inizio e non in dirittura d’arrivo com’è stato. E sì che ripensandoci qualche sintomo c’è stato, ma lo abbiamo trascurato alla grande. Ogni tanto avevi qualche problema di stomaco. Capitava a volte che vomitavi. Nella mia stupidità arrivavo a pensare che forse eri incinta, quando mancavano i tempi tecnici per esserlo. Un giorno mi facesti notare un linfonodo ingrossato in maniera anomala sotto l’ascella. Mi turbavo e tu mi tranquillizzavi dicendo che poco prima delle mestruazioni era normale che capitasse. Ogni tanto avevi strane fitte al capo, ma poi passavano.
Altre volte quelle ben note sensazioni di aver già vissuto una determinata situazione o circostanza. Una sera, arrivai a dirti di aver letto che tali dejà-vu sono frequenti in soggetti malati di cancro al cervello. Pensa un po’ come siamo stati ciechi. Abbiamo dovuto aspettare che una grossa massa dura si facesse largo nel tuo intestino per sottoporti a qualche esame medico. Non so se può essere una consolazione quanto mi disse il primario dell’oncologia durante un colloquio mentre tu eri in seduta chemioterapica. In questi casi, mi disse, solo le piatole si salvano. Quelle persone che vanno dal medico per un nonnulla.
Se penso che avevamo quasi litigato quella sera e alla fine avevo tagliato corto. Ti decidi allora ad andare dal medico e sentire cosa ti dice per quel gnoccone che ti senti in pancia. Non volevi dispiacere tua madre, non volevi darle una preoccupazione in più rispetto a quelle che già aveva. Un giorno però l’ha detto che lei si era sempre lamentata tanto per questo o per quello mentre invece tu che eri malata grave non ti sei mai lamentata di niente.
Ma questo non è un processo alla suocera. Non attribuisco a lei colpe maggiori di quante non senta su me stesso. Se abbiamo sbagliato sicuramente ora siamo qui a portare ogni giorno il peso dei nostri errori. Sono quasi due anni che non ci sei più. Non tutto è rimarginato, non per tutti. Vedo tua madre un poco più sorridente e serena e questo mi fa piacere per lei. Questo è quello che vedo esteriormente senza sapere quanto interiormente ancora soffre. Settimana scorsa, il giorno non lo ricordo, mi ha chiesto se il primo di novembre avrei pranzato con loro. Non ci sperava e credo di averla sorpresa accettando. Il giorno di Ognissanti era la tua festa, come potevo rifiutare. Dire no era per me come dirlo a te.
La mattina, dopo messa, dato che non dovevo provvedere al pranzo ho avuto tempo per farti una visita al cimitero. Ultimamente il tuo volto sorridente riesce a donarmi serenità e non soffro più così tanto come in precedenza specialmente quando con me c'erano Andrea ed Alessandra davanti alla tua lapide. Ho voluto fare il giro largo, per individuare anche i loculi di altri parenti che so essere sepolti in quel luogo. Nell’angolo verso nord, ad un certo punto, ho visto una serie di piccole lapidi. Dapprima ho pensato si trattasse dei caduti in guerra. Poi leggendo le iscrizioni e le date, mi sono accorto che erano di tanti bambini nati morti. Su una ho letto “Ti vogliamo bene”. Non sono riuscito a trattenere le lacrime.
Poi a pranzo altra sofferenza. Mentre cominciavamo a mangiare mi sono sentito fortemente a disagio. Non sono sicuro che qualcuno mi abbia visto gli occhi umidi. Forse ho mascherato il tutto fingendomi raffreddato. Non mi andava di lasciarmi andare ad un pianto liberatorio di fronte ai miei suoceri, a mio cognato ed ai miei figli. Se m’hanno visto ed hanno fatto finta di niente, di questo sono loro grato. Il mio percorso di purificazione è ancora lungo. In questi giorni sto soffrendo più del solito, ma ho la speranza che i giorni del pianto finiscano così più alla svelta.
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