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venerdì 19 dicembre 2008

Sospesi a mezz'aria


Un dramma umano si può sempre esprimere con la metafora della pesantezza. Diciamo, ad esempio, che ci è caduto un fardello sulle spalle. Sopportiamo o non sopportiamo questo fardello, sprofondiamo sotto il suo peso, lottiamo con esso, perdiamo o vinciamo. Ma che cos'era successo in realtà a Sabina? Niente. Aveva lasciato un uomo perché voleva lasciarlo. Lui l'aveva forse perseguitata? Aveva cercato di vendicarsi? No. Il suo non era un dramma della pesantezza, ma della leggerezza. Sulle spalle di Sabina non era caduto un fardello, ma l'insostenibile leggerezza dell'essere.

MILAN KUNDERA

L'insostenibile leggerezza dell'essere

ADELPHI EDIZIONI

domenica 14 dicembre 2008

Alcune immagini della gita a Padova






















Gita a Padova


Un fine settimana di metà novembre sono stato con alcuni amici ed ex-colleghi di lavoro a Padova e dintorni.

Da alcuni anni sono soliti organizzare un week-end in giro per l'Italia per dare sfogo ad una passione comune per la fotografia.

Mi era stato proposto di unirmi a loro anche lo scorso anno, ma quale sposo novello non mi andava di lasciare sola Maria Luisa nel fine settimana ed avevo pertanto declinato l'invito.

Quest'anno invece, sollecitato anche da mia moglie che ben volentieri si sarebbe occupata dei ragazzi in mia assenza, mi sono unito al gruppo.

Per non sentirmi da meno mi sono fatto prestare da Andrea la sua fotocamera digitale. Purtroppo, come le vergini stolte rimaste senz'olio, già il giorno seguente esaurivo la carica della batteria e con grande rammarico non sono riuscito a fare tanti altri scatti come i miei amici. Se ci sarà una prossima volta non mi farò cogliere impreparato e cercherò di competere ad armi pari.

Ci siamo presi qualche ora di permesso dal lavoro e già venerdì pomeriggio eravamo sul posto. La prima visita è stata effettuata a Villa Pisani a Stra poco fuori Padova. Dopo aver visitato l'interno, in cui non ci era concesso fare fotografie, ci siamo ampiamente rifatti catturando con l'obiettivo ogni angolo all'esterno della villa. Non ho mai visto tanta foga per la fotografia e così anch'io mi sono lasciato contagiare.

Il giorno seguente, lungo il corso della Brenta, abbiamo visitato altre ville. La fortuna ci ha assistito e per tutto il fine settimana abbiamo avuto giornate bellissime.

Verso sera, mentre rientravamo in albergo, uno di noi si è accorto di aver perso il portafoglio. Ci domandavamo se per caso fosse stato oggetto di borseggio durante la visita dell'ultima villa, dove c'era una sagra per la promozione della cioccolata ed altri prodotti artigianali. L'amico era convinto che gli fosse caduto nel piazzale del parcheggio, poco prima di salire in macchina. Visto il suo desiderio di tornare sul luogo, volentieri l'ho riaccompagnato, lasciando gli altri stanchi in albergo.

La ragione avrebbe detto che non l'avremmo più ritrovato, ma ero convinto che, se veramente l'aveva perso in quel piazzale, là l'avremmo ritrovato. Sant'Antonio dalla barba bianca fammi trovare quel che mi manca. Con pazienza, causa il notevole traffico del sabato sera, siamo ritornati sul posto. Coi fari dell'auto ho subito individuato qualcosa di scuro nel punto in cui qualche ora prima avevamo parcheggiato. L'amico scende e riprende il portafoglio. Risale un po' scontento per i soldi che mancavano, pochi in verità, ma il bancomat c'era ed era quello che più gl'interessava. Non avevo avuto dubbi ed ho archiviato questa cosa come un altro segno.

La domenica, dopo aver santificato la festa, abbiamo visitato la bellissima cappella degli Scrovegni, dove un "fotografo" d'altri tempi ha saputo fissare sull'intonaco immagini d'una suggestione incomparabile.

Nel pomeriggio abbiamo lasciato la città del Santo in direzione di Monselice dove abbiamo fatto visita al castello medievale.

Il tempo è volato. Anche se gli amici sono stati per alcuni giorni la mia famiglia, avevo voglia di fare ritorno per abbracciare la mia sposa e rivedere i figli.

Le sensazioni belle e positive della gita a Padova, specialmente in queste giornate di pioggia e freddo, sono ancora dentro di noi, come abbiamo avuto modo di confidarci via mail.

Se volete ammirare alcuni scatti dei miei amici potete dare un'occhiata ai loro siti. Lì trovate anche le immagini delle escursioni precedenti ed altre ancora.

www.castegnero.eu
www.robertomarini.net
www.robertoserra.it

venerdì 7 novembre 2008

Eccomi...



Eccomi qui… Sono la presenza silenziosa che da qualche tempo serpeggia tra le pagine del blog di Romano: una presenza che non può più tacere, stasera, tanta è l’urgenza emotiva che le preme nel cuore: voglio approfittare dell’invito che da tempo il mio sposo mi rivolge: un invito ad associarmi a lui nelle sue riflessioni, a parlare..

Sono Maria Luisa: nome già comparso altre volte in “Piccola Anima”.
Sono una presenza, nella vita di Romano, da più di due anni ormai. Ma perché “ormai”? “Solo” da poco più di due anni, da quel viaggio a Lourdes per me assolutamente non programmato e provvidenziale.

Da poco più di due anni la svolta nella mia vita: da single ormai “esperta e senza speranze”, indipendente, sempre in movimento tra Cremona e l’Estero (mi piace molto viaggiare…), dedita al lavoro ed alla famiglia d’origine, mi son trasformata in moglie felice, in viaggio sulla Cremona-Brescia, con due figli da amare e conoscere, con un lavoro part-time e, soprattutto, con tanto, tanto affetto da ricevere e dare.

Sì, la mia vita non mi è stata tolta, ma mi è stata trasformata, anche se in modo diverso da quello cui alludono le parole della Liturgia: è stata colmata di amore, si è aperta alla speranza, qui, sulla terra, alla gioia del dono di sé e a quella del ricevere il dono degli altri. Non è stata opera mia: mi sento sempre meno capace di decidere, sempre più portata a lasciarmi guidare: a volte è la salute “che non tiene”, altre volte sono gli eventi, persino le condizioni atmosferiche che mi fanno comprendere il senso di Quelle parole: I miei pensieri non sono i vostri pensieri. Le mie vie non sono le vostre vie.

Sempre più comprendo il senso dell’affidarsi a Dio, nella preghiera e nei silenzi di una vita non sempre facile; e sempre più scopro che è questo che fa germogliare i fiori tra le rocce. Ed allora l’amore di e per Romano diventa inesprimibile e totalizzante dolcezza, il sorriso dei nostri ragazzi proietta la speranza già nell’oggi, il silenzioso procedere dei giorni di mia mamma e la dolcezza del suo sguardo mi dicono il persistere di tutta l’intensità del suo amore materno, la bontà dei genitori di Santina mi fa comprendere che il Regno di Dio è già qui, i racconti ed i consigli del nonno Luigi mi fanno sentire accettata e parte di una famiglia che vuol continuare a vivere… Non parlo degli amici, dei colleghi, degli altri parenti: ognuno ha un petalo variopinto ed originale in questa ghirlanda di nostri giorni nuovi.

E’ bastato dire “Eccomi!” in risposta ad una chiamata, e la vita ha assunto il ritmo di una nuova danza…

sabato 18 ottobre 2008

Il messaggio dell'imperatore


L’imperatore - così si racconta - ha inviato a te, a un singolo, a un misero suddito, minima ombra sperduta nella più lontana delle lontananze dal sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte. Ha fatto inginocchiare il messaggero al letto, sussurrandogli il messaggio all’orecchio; e gli premeva tanto che se l’è fatto ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ha confermato l’esattezza di quel che gli veniva detto. E dinanzi a tutti coloro che assistevano alla sua morte (tutte le pareti che lo impediscono vengono abbattute e sugli scaloni che si levano alti ed ampi son disposti in cerchio i grandi del regno) dinanzi a tutti loro ha congedato il messaggero. Questi s’è messo subito in moto; è un uomo robusto, instancabile; manovrando or con l’uno or con l’altro braccio si fa strada nella folla; se lo si ostacola, accenna al petto su cui è segnato il sole, e procede così più facilmente di chiunque altro. Ma la folla è così enorme; e le sue dimore non hanno fine. Se avesse via libera, all’aperto, come volerebbe! e presto ascolteresti i magnifici colpi della sua mano alla tua porta. Ma invece come si stanca inutilmente! ancora cerca di farsi strada nelle stanze del palazzo più interno; non riuscirà mai a superarle; e anche se gli riuscisse non si sarebbe a nulla; dovrebbe aprirsi un varco scendendo tutte le scale; e anche se gli riuscisse, non si sarebbe a nulla: c’è ancora da attraversare tutti i cortili; e dietro a loro il secondo palazzo e così via per millenni; e anche se riuscisse a precipitarsi fuori dell’ultima porta - ma questo mai e poi mai potrà avvenire - c’è tutta la città imperiale davanti a lui, il centro del mondo, ripieno di tutti i suoi rifiuti. Nessuno riesce a passare di lì e tanto meno col messaggio di un morto.
Ma tu stai alla finestra e ne sogni, quando giunge la sera


Franz Kafka, La metamorfosi e altri racconti, ( Mondadori)

Ho ascoltato questo breve racconto per la prima volta alcune settimane fa durante il discorso tenuto in occasione dell'assemblea diocesana dei catechisti dal nostro Vescovo di Brescia. Un oratore eccellente in grado di mantenere vivo l'interesse di tutti con una riflessione lunga più di un'ora.

Sulle prime questo racconto di Kafka, lo scrittore universalmente riconosciuto come uno dei maggiori del secolo scorso, m'era parso alquanto angosciante e pessimistico.

Poi la mia attenzione s'è spostata sulla parte finale dove ci siamo noi, che stiamo alla finestra e magari contempliamo il cielo. Non riusciamo a scorgere in lontananza il messaggero dell'imperatore, né mai potremo realmente farlo perché quand'anche fosse più vicino a noi, ci separano da lui i bassifondi della città.

Noi ne siamo fuori, come in un'isola felice e raggiungiamo col nostro pensiero questo messaggio intrappolato lontano, quasi a significare che l'importanza del messaggio è tale che se anche non ci arrivasse, saremo noi ad andargli incontro, così che il collegamento si stabilisca al di là di ogni barriera fisica ed umana.

Il contenuto di quel messaggio non lo conosciamo. Ad esso lo scrittore non fa minimamente accenno e quindi ci lascia liberi di arrovellarci con la fantasia.

C'è una Parola di Verità che da duemila anni giunge a noi da un Dio morente. Non abbiamo bisogno di sognarla. E' qui con noi e possiamo leggerla ogni giorno e farne luce per rischiarare il nostro cammino.

sabato 20 settembre 2008

Il sorriso di Maria


Guarda la spianata davanti al santuario e si commuove, papa Benedetto XVI. Ci sono le barelle con i malati, le carrozzelle blu, le dame dell'Unitalsi e dell'Oftal.

Si può misurare il dolore? Il papa non elude la domanda e ammette: "La sofferenza prolungata rompe gli equilibri meglio consolidati di una vita, scuote le più ferme certezze della fiducia e giunge, a volte, a far addirittura disperare del senso e del valore della vita".

Ha celebrato una Messa solo per loro Benedetto XVI, perché a Lourdes il dolore abita insieme alla Grazia che aiuta ad affrontarlo. Ratzinger lo dice senza alcun timore: "Ci sono combattimenti che l'uomo non può sostenere da solo". E' un ragionamento sulla teologia della sofferenza quello che svolge nell'ultima mattina del pellegrinaggio alla grotta di Massabielle. E a esso oppone il "sorriso di Maria". Cercarlo, dice, "non è questione di sentimentalismo devoto o antiquato", né è "pio infantilismo".

Entra in punta di piedi nel dolore di questa folla di malati: "Vorrei dire umilmente a coloro che soffrono e a coloro che lottano e sono tentati di voltare le spalle alla vita: volgetevi a Maria".

Alberto Bobbio - FAMIGLIA CRISTIANA N. 38 del 21 settembre 2008

sabato 13 settembre 2008

Prendi questo libro e mangialo


Il Signore mi disse: "Figlio d'uomo, mangia ciò che trovi; mangia questo rotolo, e va' e parla alla casa d'Israele. Io aprii la bocca, ed egli mi fece mangiare quel rotolo.

Mi disse: "Figlio d'uomo, nùtriti il ventre e riempiti le viscere di questo rotolo che ti do". Io lo mangiai, e in bocca mi fu dolce come del miele.

Egli mi disse: "Figlio d'uomo, va', recati alla casa d'Israele, e riferisci loro le mie parole; poiché tu sei mandato, non a un popolo dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, ma alla casa d'Israele; non a molti popoli dal parlare oscuro e dalla lingua incomprensibile, di cui tu non capisca le parole. Certo, se io ti mandassi a loro, essi ti darebbero ascolto; ma la casa d'Israele non ti vorrà ascoltare, perché non vogliono ascoltare me; poiché tutta la casa d'Israele ha la fronte dura ed il cuore ostinato.

Ecco io rendo dura la tua faccia, perché tu possa opporla alla faccia loro; rendo dura la tua fronte, perché tu possa opporla alla fronte loro; io rendo la tua fronte come un diamante, più dura della selce; non li temere, non ti sgomentare davanti a loro, perché sono una casa ribelle".

Poi mi disse: "Figlio d'uomo, ricevi nel tuo cuore tutte le parole che io ti dirò, e ascoltale con le tue orecchie. Va' dai figli del tuo popolo che sono in esilio, parla loro, e di' loro: 'Così parla Dio, il Signore', sia che ti ascoltino o non ti ascoltino".

Dal libro del profeta Ezechiele (3, 1-11)

Assemblea Diocesana dei Catechisti

lunedì 8 settembre 2008

Primo anniversario


Ebbene sì, oggi è il nostro primo anniversario di matrimonio!

Il grande ed inatteso tributo di auguri ricevuti da parenti ed amici ha rinnovato in noi la gioia di un anno fa. Lo stesso sole, l'immutato affetto di tante persone care hanno ricreato l'atmosfera e la magia di quei momenti.

Per tanti versi non è stato un anno facile. Le questioni logistiche che ci hanno portato a vivere fisicamente lontani in tanti momenti, vari problemi di salute nostra e dei nostri genitori hanno fatto si che l'anno passato non sia stato solo miele.

Ma lo sappiamo che la vita è anche questo. Il nostro amore ci ha sempre sostenuto nei momenti di salute come in quelli di malattia, nei momenti di felicità ed anche in quelli di dolore. Però non ci siamo mai sentiti soli e con la preghiera abbiamo sempre percepito che Dio continua a camminare al nostro fianco. E questo è motivo di gioia grande.

Con impegno ed un poco di sacrificio abbiamo raggiunto un primo traguardo, ricco di soddisfazioni.

Come nella foto siamo in vetta, ma la meta finale è ancora lontana ed il cammino prosegue...

domenica 7 settembre 2008

Le storielle di nonno Luigi



Nei giorni scorsi mio padre ha avuto problemi di sciatica ed è rimasto bloccato in casa. Non sapendo come meglio impiegare il tempo, si è messo a scrivere quel che la mente gli suggeriva.

Ecco alcuni dei suoi raccontini. Li riporto così come li ha scritti su un foglio di carta a quadretti, con semplicità e senza intervento alcuno da parte mia.

Mio padre dice spesso: "Per essere ignoranti è sufficiente poca scuola".

Contadino della valle sabbia

I contadini di montagna sono più mandriani che contadini
aveva un bel numero di mucche una ventina. Un giorno pensò
di venderne una per avere disponibilità di soldi. cosi la piu
bella la porta al mercato di nozza. eravamo negli anni 50
la lega alla filiera aspettando che arrivino i compratori lui
intanto andò a prendere un caffé. La mucca pensò vuoi
vedere che mi vuol proprio vendere che io stavo bene dove
ero. devo pensare come fare perche lui non mi venda.
la mucca si agitò e si sporcò tutta di cacca. Da bella
che era e diventata la piu brutta di tutte passarono i
compratori ma li non si fermavano vedendo una bestia cosi
sporca. si arriva alla fine del mercato ed il mandriano
riporta la mucca a casa da li passa un suo amico e gli
chiese ai venduto la muccha nò rispose. telavevodetto che
al mercato di nozza si vendono solo mucche brutte
mentre invece quelle Belle si vendono a Montichiari


La storia dell'uccellino vagante

Le piaceva la provincia di Brescia come dimora ma un Bel
giorno si accorse che il cibo scarseggiava e lui siccome era
informato che nella provincia di Bergamo cera tanto cibo
pensò di fare un volo fino là vola di qua vola di la.
alla fini arrivò si posa su una pianta e guarda ma del cibo non ne
vede vide pero un uomo che lo guarda e capi che voleva dirci
qualcosa l'uccellino fece un canto e l'uomo le disse vai ha sud
che la c'e tanto cibo l'ucellino parti e arriva in un posto per
lui molto bello e vide tanto cibo. farfalle, zanzare, cavallette,
grilli, mosche, taffani, lucciole, e senza perdere tempo si
avventò su tutto questo cibo ne mangia tanto da capire che ne
basta per giorni ritorna poi da quell'uomo che gli aveva indicato
di andare a sud lo ringrazia e le disse l'ucellino torno in
provincia di Brescia perche la ho lasciato la mia morosa


Disagio e povertà

Siamo ancora nei periodi di povertà anni 1940 nei paesi
solo una piccola bottega per alimentari, quel mercato che
si parlava arrivava il primo lunedi del mese, però per
arrivarci a piedi occorrevano due ore, distante 15 km
localita nozza il mese preferito era quello di settembre
per le spese in quanto tra le altre cose si poteva
acquistare anche uva e fichi la frutta più desiderata
dai bambini e giovani. Allora arriva quel lunedi e si parte
due fratellini assieme il papa aveva dato un po di soldi
e spiegato cosa si doveva comperare. un secchio in aluminio
con una capienza di almeno 12 litri perche quando si mungeva
la mucca che ti dava 8 litri di latte più la schiuma era il caso
che tracimasse, avendo comperato il secchio ci fu un bel
appoggio per comperare uva e fichi ne comperarono più di
sei chili più di mezzo secchio venne poi il momento del
ritorno. abbiam fatto le nostre spese e ci son rimasti ancora
dei soldi cosi papa sara contento. E partirono la tentazione
di mangiare uva e fichi fu tale che dopo fatta poca strada
si accorsero della poca rimanenza. Dobbiamo ritornare in
dietro ad acquistarne dell'altra e cosi fecero al ritorno il
papa fu contento di aver acquistato il secchio e la frutta
e dei soldi non sene parlò più

giovedì 7 agosto 2008

La malattia mortale



No, non è perché Lazzaro fu risuscitato dai morti che si può dire che questa malattia non è mortale; è perché c'è Lui che questa malattia non è mortale. Infatti, umanamente parlando, la morte è la fine di tutto e, umanamente parlando, c'è speranza soltanto finché c'è vita. Cristianamente intesa, invece, la morte non è affatto la fine di tutto; anch'essa è soltanto un piccolo avvenimento compreso nel tutto che è la vita eterna; e, nel senso cristiano, c'è infinitamente più speranza nella morte che non, parlando in un modo meramente umano, dove c'è non solo la vita, ma una vita in piena salute e forza.
Intesa cristianamente, dunque, neanche la morte è << la malattia mortale >>, e tanto meno ciò che si chiama sofferenza terrestre e temporale: povertà, malattia, miseria, tribolazione, avversità, tormenti, pene dell'anima, lutto, affanno. Anche se una pena fosse tanto grave e tormentosa da far dire a noi uomini o almeno a chi ne soffre: << questo è peggio della morte >>, tutto ciò che, in quanto non è malattia, può essere paragonato ad una malattia, non è, nel senso cristiano, la malattia mortale.

LA MALATTIA MORTALE E' LA DISPERAZIONE

A. Che la disperazione sia la malattia mortale
B. L'universalità di questa malattia (la disperazione)
C. Le forme di questa malattia (la disperazione)

LA DISPERAZIONE E' IL PECCATO

1. Le gradazioni nella consapevolezza del proprio io
2. La definizione socratica del peccato
3. Che il peccato non sia una negazione, ma una posizione

LA CONTINUAZIONE DEL PECCATO

A. Il peccato di disperarsi per il proprio peccato
B. Il peccato di disperare della remissione dei peccati
C. Il peccato di rinunziare al Cristianesimo << modo ponendo >> di dichiararlo falsità

S.A. KIERKEGAARD - La malattia mortale - Club del libro fratelli Melita

sabato 5 luglio 2008

L'autostrada dei Rosari


E' ormai da più di due anni che con frequenza settimanale percorro quel tratto di autostrada che collega Brescia e Cremona. Praticamente da quando conosco Maria Luisa. Con quel che costa il gasolio, ma non solo per questo, ho imparato a viaggiare con tutta calma, superando raramente i 120 km all'ora. La strada è tutta diritta e nonostante possa essere oltremodo monotona in realtà non lo è.

Ho conosciuto Maria Luisa durante un pellegrinaggio a Lourdes con i miei figli. Ma il nostro amore è sbocciato dopo. Quella è stata solo la nostra grande occasione d'incontro. Guidati dall'Alto abbiamo scelto una meta comune nello stesso identico tempo e questo viaggio della fede fatto insieme ci ha dato l'occasione per muovere poi i primi passi uno a fianco dell'altra.

Una cosa che a Lourdes ha colpito molto anche i miei ragazzi fu la lunga processione domenicale. Questo interminabile serpentone di persone venute proprio da ogni luogo della terra che si muovevano con compostezza recitando la preghiera del Rosario, ognuno nella propria lingua. In mezzo a migliaia d'individui estranei, lontani anche dal nostro gruppo, non ci sentivamo soli ed avevamo il cuore gonfio di gioia.

E' questo il miracolo più grande che si possa vivere andando a Lourdes. La guarigione dell'anima che arreca un beneficio più durevole rispetto a quella del corpo.

E' questa la sensazione di estasi provata al ritorno, come per i discepoli scesi dal Tabor.

La continua preghiera del Rosario di quei giorni m'ha tenuto compagnia anche nei successivi giorni del mese di maggio, almeno quando potevo scendere all'oratorio dove si celebrava la Messa. Preparavo in fretta la cena per i ragazzi e poi giù a pregare. Avrei rigovernato poi al mio ritorno.

Ed intanto iniziavano i primi contatti telefonici e le prime e-mails con Maria Luisa finché il mese successivo siamo usciti insieme a cena. Ci siamo scoperti attratti l'uno dall'altra ed abbiamo camminato così giorno per giorno verso il matrimonio celebrato appunto l' 8 settembre dello scorso anno. Una data non scelta a caso, ma proprio come ringraziamento alla Madonna che è stata il motivo del nostro primo incontro.

Ed è da quei primi viaggi per spostarmi fra Brescia e Cremona che ho preso l'abitudine di recitare la preghiera del Rosario mentre percorro l'autostrada. Non amo molto la radio che spesso accendo solo per i notiziari. La recita continuata delle Ave Maria dona serenità e distende la mente che richiama il ricordo di tanti altri momenti simili.

I Rosari del mese di maggio quando ero studente in Seminario. Ero agitato per le ultime interrogazioni di filosofia, ma quella preghiera serale fatta in corale compagnia passeggiando avanti e indietro ridonava serenità.

Ricordo i Rosari dei miei genitori. Subito dopo la morte di Santina, mi capitava di passare da loro e li trovavo in preghiera. E' forse l'aiuto più grande che ha saputo darmi mia madre in quei terribili anni. Più dell'aiuto materiale per le faccende di casa che ho sempre rifiutato per non gravare su lei che era sempre stata la serva di tutti.

Ed ora qualche volta, quando viaggiamo insieme, il Rosario lo recito anche con Maria Luisa.

E' bello parlare con la propria sposa in auto, ma pregare insieme permette di raggiungere un'intimità particolare e di porsi davanti a Dio partecipando di quel grande amore che ci viene da Lui.

venerdì 6 giugno 2008

La bambolina di Anna


In un villaggio di pescatori nel nord dell'Europa vive una bambina di nome Anna.
Suo padre, come quasi tutti gli uomini di quella comunità, è un pescatore. Buona parte dell'anno il padre di Anna lo passa lontano dalla famiglia, imbarcato sul peschereccio di proprietà dell'impresa per cui lavora.
La loro casa, che un tempo era appartenuta ai nonni materni, si trova un po' fuori dal centro abitato, su in collina, e domina l'intera baia. Quando c'è bel tempo, da lassù con lo sguardo si può scrutare l'orizzonte del mare fin molto lontano.
Da alcuni mesi Anna ha imparato a riconoscere la sagoma dell'imbarcazione di suo padre, quando ancora è distante molte miglia dalla costa. Durante la bella stagione, prima che si faccia ora di cena, Anna scende un poco il sentiero che porta alla sua casa e si va a sedere nel prato sottostante, proprio nel punto in cui la visuale è migliore. Lei non sa quando farà ritorno suo padre. Non c'è una data fissa. A volte succede parecchi giorni dopo la sua partenza. Altre volte invece gli uomini hanno maggior fortuna e tornano più presto del solito con le stive piene di grossi pesci.
Anna resta seduta nell'erba con l'ampia gonna aperta ad ombrello che le nasconde le gambe. Non è sola. Tiene stretta fra le mani una bambolina che il padre le ha regalato tornando dal suo ultimo viaggio. Ogni volta che il padre ritorna, per far sentire meno il peso della sua prolungata assenza, si ferma giù alla bottega del villaggio e compera qualche pezzo di stoffa per sua madre ed un dono per lei: quasi sempre una bambolina. Anna ormai ne possiede parecchie. Sono tutte ben disposte sulla mensola della sua camera da letto. Tutte tranne una: l'ultima, da cui non si stacca quasi mai. Quando il padre ritorna e ne porta una nuova, la ripone con cura sull'asse ormai piena e quest'ultima diventa la sua inseparabile compagna nei successivi giorni d'attesa.
Un giorno, mentre Anna se ne stava ancora seduta nel prato ad accarezzare la sua bambolina, sollevando di tanto in tanto lo sguardo in direzione del mare, Peter faceva ritorno da una passeggiata in montagna. Percorreva in discesa il sentiero che fiancheggia la casa di Anna. Quando Peter le fu abbastanza vicino decise di fare una sosta ed andò a sedersi accanto a lei cercando di non spaventarla. Anna sentì i suoi passi e si voltò.
Nonostante il villaggio fosse abbastanza piccolo, Anna conosceva Peter a malapena. Il ragazzino dimostrava di avere solo due o tre anni più di lei. Sembrava però molto sicuro di sé andandosene in giro tutto solo, come in verità facevano altri ragazzi del paese suoi coetanei.
Peter fu un poco sorpreso di vedere Anna tutta sola, anche se immaginava che non si fosse allontanata molto da casa. Garbatamente le chiese cosa stesse facendo e lei gentilmente gli rispose che aspettava il ritorno di suo padre. Quando la barca stava per fare ritorno al villaggio, lei riusciva a scorgerla da lontano e così sapeva che di lì a poche ore lo avrebbe riabbracciato. Anche Peter raccontò qualcosa di sé. Descrisse quello che poche ore prima aveva visto lassù in montagna. Poi Anna gli chiese se da grande avrebbe fatto anche lui il pescatore. Peter scosse il capo. Non avrebbe seguito le orme di suo padre. Avrebbe allevato vacche o forse sarebbe diventato un contadino come gli uomini dell'entroterra.
Anna gli sorrise e sentì irrefrenabile l'impulso di offrirgli in dono la sua bambolina. Peter un po' stupito ringraziò e la portò via con sé.

sabato 31 maggio 2008

L'azzurro


Il mio colore preferito è il verde, da sempre. Ma è l'azzurro che suscita in me maggiori emozioni.

E' il nome di una canzone di Celentano, scritta da Conte. Densa d'immagini estive, di desiderio di ristoro, di antiche nostalgie, di fuga dalle noie. ... Ora mi annoio più di allora, neanche un prete per chiacchierar...

Sequenze lontane, troppo avulse dai nostri desideri moderni. O forse no, perché l'uomo, ieri come oggi, ha ancora bisogno di pane, anche se questo non basta.

Quanto azzurro nelle parole del parroco dei miei vent'anni. Durante il servizio di leva sapeva farsi a me vicino come un padre, con una semplice lettera, ma con un'amicizia che poi da sempre mi accompagna in questa vita che ha assunto nel tempo tutte le sfumature dell'iride. I colori caldi per i momenti di gioia; i colori freddi per il tempo del dolore.

Quanto azzurro nel pellegrinaggio in pullman a Lourdes. Il mistero dell'incarnazione, l'Immacolata concezione vissuti come esperienza salvifica. Quanto azzurro nell'acqua che sgorga ai piedi della grotta e che ha davvero il potere di ridonare la salute, solo che tu lo creda.

Quanto azzurro in una giornata di fuga dal lavoro per raggiungere Maria Luisa su in montagna a Siusi.

Quanto azzurro nel giorno del nostro matrimonio. In cielo, come negli occhi di tanti che hanno partecipato alla gioia di quel momento.

Quanto azzurro nel pomeriggio passato a Zone a riveder le piramidi, ad ammirare il Sebino dall'alto, come nella foto di apertura.

Quanto azzurro dietro al grigio di ogni giorno che poi è solo una nuvola leggera che lascia lacrime d'acqua e se ne va.

martedì 27 maggio 2008

Modello Unico

Alcuni giorni fa ho ricevuto una lettera dall'Agenzia delle Entrate. Ancora prima di aprirla ho cominciato ad agitarmi chiedendomi cosa c'era di nuovo che non andava.

Infatti avevo già subito in passato un accertamento fiscale per qualcosa che non tornava nella mia dichiarazione dei redditi.

Quando Santina era viva se ne occupava lei grazie alle sue competenze acquisite in occasione del suo primo lavoro svolto presso lo studio di un commercialista. Poi ho provveduto in autonomia facendomi assistere dall'ottimo programma messo a disposizione dall'Agenzia delle Entrate. Sono sicuro che anche lei avrebbe apprezzato tantissimo questo strumento dato che la scadenza per la compilazione della dichiarazione dei redditi era motivo ogni volta di notevole ansia.

Nella prima notifica mi veniva richiesto di esibire copia di tutte le fatture e ricevute relative a spese sanitarie, di ristrutturazione e oblazioni. Per un errore nella comunicazione dei dati da parte dell'INPS i miei figli non risultavano essere a carico come da me dichiarato. Il limite previsto dalla legge per essere considerati "fiscalmente a carico" è fissato in Euro 2.840,51 mentre invece dai controlli incrociati per ognuno di loro risultava un reddito di circa 3.000 Euro. Di poco superiore, ma sufficiente a farmi perdere le detrazioni d'imposta per familiari a carico.

Sapevo benissimo che la porzione di pensione di reversibilità dei mie figli non superava i 1.500 Euro e quindi fu facile scoprire che c'era stato un errore di doppia comunicazione durante la trasmissione dati dall'INPS all'Agenzia delle Entrate. Presentando copia di tutta la documentazione che avevo conservato con cura sono riuscito a sistemare la cosa. Sorvoliamo sul fatto che mi sono dovuto presentare varie volte all'ufficio territoriale di competenza prima che fosse confermata la totale correttezza della mia dichiarazione originale.

Con l'ultima notifica di questi giorni credo invece che abbiano ragione loro. Nel maggio del 2005 mio figlio Andrea ha cominciato a lavorare ed io ingenuamente ritenni che per i primi 4 mesi egli fosse a mio carico, non avendo percepito per quel periodo un reddito superiore a quanto stabilito dalla legge. Nella lettera mi veniva anche richiesto di esibire la documentazione relativa alle erogazioni liberali in denaro a favore delle ONLUS e/o delle popolazioni colpite da calamità pubbliche o da altri eventi straordinari.

Sicuramente i 1.300 Euro portati in detrazione devono essere parsi eccessivi. Ma loro non sanno che ho adottato tre bambini a distanza a cui mando regolarmente ogni anno 300 Euro ciascuno. Inoltre in quel periodo ne ho elargiti altri 400 per sostenere la costruzione di un villaggio in una delle località devastate dallo tsunami di cui sicuramente tutti abbiamo ancora un vivo ricordo.

Quando si fa un'offerta non dovrebbe sapere la mano destra quello che fa la sinistra. Però penso che un po' di pubblicità non fa mai male. Magari l'impiegata dell'ufficio delle imposte potrà trovare qualche stimolo in più per fare altrettanto.

Anche Maria Luisa che già sosteneva un bimbo con un'adozione a distanza, dopo aver appreso delle mie tre ha deciso di incrementare a due il numero delle sue.

In uno dei primissimi post di questo blog inserivo questa dedica:

Appongo una dedica per i miei figli adottivi a distanza.

A

Mallampalli Pradeep Kumar,
Nandikolla Prasanna - India e
Sofia Rufael - Eritrea

con grande affetto.

Fate come me. Adottate anche voi almeno un bambino a distanza.


domenica 18 maggio 2008

L'istante

Era una mattina nata con il vento. Le onde alte si rompevano in fragorose scrollate, nella risacca color ghiaccio. Era un mare forte e giocoso, come un cavallo giovane. E i bambini lo affrontavano con urla e risa, si lasciavano sommergere dalle onde, le attraversavano con grida, ne uscivano trionfanti. Le schiene abbronzate apparivano e scomparivano nella spuma. Genitori, nonni, fratelli li controllavano perché non si allontanassero, nell'aria limpida risuonavano avvertimenti allegri o arrabbiati. Una bimba uscì piangendo dal mare, a un ordine più deciso e squillante della madre. Tre ragazzi eccitati presero la rincorsa per tuffarsi di colpo, e un'onda li rimandò indietro con uno schiaffone.Un uomo, all'ombra dello spalto bianco di arenaria, osservava con stupore e allegria.Non aveva figli. Aveva avuto una moglie, ma gli anni erano passati e, senza sapere perché, un giorno avevano cominciato a parlarne come di una cosa lasciata indietro, non più possibile.L'uomo non aveva una particolare predilezione per i bambini: aveva dei nipoti, qualcuno simpatico qualcuno odiosetto. Ma i giovani e audaci delfini di quella mattina gli piacevano.E strani pensieri gli nuotavano in testa, leggeri e gravi, proprio come il mare che fingeva una tregua e poi si animava in sequenze di tre, quattro onde più grandi. Una di queste arrivò ai suoi piedi, fino a bagnargli i sandali.

Era l'unico bagnate solitario, tra coppie, famigliole e tribù sotto fungaie di ombrelloni. Ma si sentiva bene, come fosse tornato giovane, e si godeva ogni immagine di quella giornata, fino al lontano orizzonte.Improvvisamente, sul tratto di spiaggia davanti a lui, apparve una donna. Era magra e abbronzata, il vento le scompigliava i capelli e camminava con passi svelti. Guardava il mare inquieta.L'uomo capì subito perché.La donna non vedeva più tra le onde la figlia. Non scorgeva la cuffietta, il colore del costume, il profilo lontano, qualcosa di unico e prezioso che avrebbe potuto calmarle l'affanno del cuore.Perciò chiamava un nome a voce alta, sempre più forte. Alcuni bagnanti si avvicinarono, e lei indicava lontano.Il frastuono del mare copriva le sue parole. Solo quel nome, ogni tanto, risuonava chiaro e doloroso, e gli faceva eco il lamento di un gabbiano.Finché la donna si fermò nel punto più luminoso della spiaggia, una chiazza abbagliante di granelli di quarzo, e sembrava non avesse più la forza di muoversi, né di gridare.In quel preciso istante, l'uomo vide qualcosa di inspiegabile.Il ghiaccio azzurro delle onde si sommò al candore della sabbia e al fuoco del sole, e ne nacque una zona di luce abbacinante, la muta esplosione di una stella. In questo bagliore la snella figura della donna sembrò torcersi e dividersi in due, due corpi gemelli che sbocciarono e si separarono.Una donna corse subito verso levante, incontro alla figlia che usciva dall'acqua. La abbracciò e pianse, tenendola in braccio.Nello stesso tempo, un'altra identica donna correva dalla parte opposta, verso un gruppo di persone radunate sul bagnasciuga, chine sopra qualcosa, mentre una vecchia si metteva le mani nei capelli.Un attimo prima il mondo era uno solo. Ora niente era diverso come quei due mondi, nati in quell'istante.L'uomo non riuscì a fare un passo, non capì se doveva andare da una parte e sorridere alla madre e alla figlia ritrovata, o correre dall'altra a guardare se era accaduto davvero qualcosa di terribile.Un'onda luminosa, alta azzurra, sorse dal mare, si innalzò come un cielo liquido sulla sua testa, l'uomo chiuse gli occhi.Quando si svegliò era già notte, e la spiaggia era deserta.Non sapeva quale dei due mondi esisteva ancora. E in quale dei due viveva. Ed ebbe paura.

STEFANO BENNI
LA GRAMMATICA DI DIO
Storie di solitudine e allegria
I Narratori / Feltrinelli

lunedì 21 aprile 2008

La croce

L'ultimo mercoledì di marzo, mentre scendevo a Cremona da Maria Luisa, ho cominciato ad avvertire pesantezza di stomaco ed un certo dolore alla colonna vertebrale. Poi in piena notte mi sono svegliato accusando dolore sul fianco destro, nella zona del fegato.

Non riuscivo a riprendere sonno per il fastidio insistente. Maria Luisa avrebbe voluto portarmi al pronto soccorso, ma io non ne vedevo l'urgenza. Girando per casa cercavo di trovare sollievo e nel contempo riflettevo su quanto avevo mangiato in precedenza per trovare una spiegazione al mio malessere.

Colpa di quella pasta con i funghi consumata nel precedente pranzo? Oppure quel gran pezzo di cioccolata trangugiato ingordamente? Dopo qualche ora l'infiammazione si è placata ed ho potuto riprendere un poco a dormire.

Le sere seguenti l'episodio si è ripetuto ancora, anche se con minore intensità. Ho quindi pensato che il mio stato non fosse dovuto a qualche alimento particolare. Per precauzione mi sono subito autosospeso il vino ed indirizzato verso una dieta più leggera del solito.

E' così. In quei giorni ho addirittura pensato che la fine dei miei giorni potesse essere vicina. In piena notte ho inviato al mio capo ed al collega di lavoro un sms con la password del mio PC. Naturalmente la cosa ha provocato in loro non poco stupore. Nei giorni seguenti, quando sono ritornato in ufficio dopo il fine settimana, mi hanno chiesto se avessi avuto intenzioni suicide oppure fatto una vincita straordinaria ed avessi per questo intenzione di trasferirmi ai tropici. La seconda ipotesi mi ha fatto un po' sorridere, mentre alla prima ho risposto con estrema meraviglia. Non ne vedevo assolutamente la ragione. E' curioso scoprire cosa possono pensare gli altri di te in talune circostanze.

La settimana seguente mi trovavo di nuovo a casa di Maria Luisa. Nessuna voglia di stare davanti alla tv. Lancio l'idea di uscire a far quattro passi per le vie del centro, così tanto per goderci una serata diversa. E' magnifico il Duomo di Cremona la sera. Le luci notturne esaltano le tonalità dei suoi marmi e su di esso incombe la maestosità del Torrazzo. Restiamo un poco a contemplare il tutto con i nostri nasi all'insù. Mi vien voglia di scattare un'istantanea col cellulare e di condividere con un mms la magia di quel momento inviandolo ad un collega.

Poi sono preso da un certo languore, per non dire fame, ed invito Maria Luisa ad entrare nella gelateria che si affaccia proprio sulla piazza. Lei non ha voglia di gelato ed opta per una cioccolata con panna. Io invece oso e mi prendo una favolosa coppa Duomo. Quattro cannoncini di pasta sfoglia agli angoli a foggia di torri, biscotti e cialde e tanto gelato alla crema guarnito di caramello e nocciole in abbondanza. E' fin troppo. Insisto con la consorte affinché ne assaggi un po' anche lei.

Non era ancora mezzanotte che già mi trovavo in preda a dolori tremendi nella zona del fegato. Questa volta sono io stesso che chiedo a Maria Luisa di accompagnarmi al pronto soccorso, non prima di aver ben soppesato la cosa e capito che ne ho proprio bisogno. Mi sarebbe dispiaciuto farle fare un'uscita in piena notte, magari per una cosa che di li a poco si sarebbe potuta risolvere con un ruttino.

Le disconnessioni dell'asfalto si ripercuotono dolorosamente sul mio ventre e mi convinco sempre più di aver bisogno d'aiuto. Entro nel pronto soccorso in pigiama e ciabatte avvolto in una copertina per ripararmi le spalle. Non devo aver dato l'impressione di essere tanto grave. Mi assegnano infatti un codice verde e mi dicono di attendere nell'atrio.

I dolori però aumentano spasmodicamente. Ho voglia di picchiare pugni sulle pareti per attirare l'attenzione, ma continuo a portare pazienza perché so che sono impegnati per un codice rosso. Mi fa molto male, insopportabile, ma non sono in pericolo di vita. Posso attendere. Poi finalmente mi mettono su un lettino, mi portano in una stanzetta e mi attaccano una flebo con Toradol e Buscopan. Attendo impaziente un po' di sollievo. Dopo un'ora circa vomito e libero lo stomaco. Le analisi fatte d'urgenza rivelano un'elevata glicemia, potassio sotto il limite e transaminasi alte. Il resto nella norma. L'ipotesi dei medici è che si tratti di calcoli biliari. Serve un'ecografia per evidenziarli. Quando il dolore cessa mi lasciano andare, ma dovrò ritornare al mattino per fare questo accertamento.

L'ecografista è brava ed un poco a fatica riesce ad individuare un solo calcolo di 17 mm in fondo all'infundibolo. La colecisti è infiammata e la bile densa. Si stupisce per il valore dei globuli bianchi. Di solito sono alti mentre invece nel mio caso sono in quantità normale. Comunque dovrò essere operato.

Mi prendo un paio di giorni di malattia e nel frattempo prenoto una visita chirurgica. Il medico guarda distrattamente i referti del pronto soccorso e conclude che l'operazione è d'obbligo. Non vorrei attendere molto perché le coliche si stanno facendo sempre più frequenti. Mi congeda dicendo che entro un mese al massimo sarà sicuramente tutto finito.

La sera a casa dopo cena comincio ad avvertire nuovamente dolore. Senza indugio mi prendo le mie prime venti gocce di Alginor che contiene lo stesso principio attivo del Buscopan. Con pazienza attendo un po' di sollievo, ma più tardi sono costretto a prenderne altre 15 gocce. Il male non accenna a diminuire e quindi decido di farmi accompagnare da mio figlio al pronto soccorso della clinica in cui avrebbero dovuto operarmi.

Dopo una visita sommaria decidono di ricoverarmi. Con attaccata la flebo riesco a dormire un po'.

E' martedì 8 aprile. Oggi sono esattamente sette mesi che Maria Luisa ed io siamo sposati. Contiamo ancora i giorni come fidanzatini. Ma quella giornata è in realtà il mio Calvario. Dopo un iniziale sollievo i dolori ritornano più acuti di prima. Le flebo con antidolorifici si susseguono senza soluzione di continuità, ma il beneficio che mi arrecano è quantomai breve e sempre meno efficace.

Verso sera non ne posso più. Sono in uno stato di prostrazione totale, disumano. Avrei voglia d'infilare la finestra e gettarmi di sotto solo per far cessare il male. Capisco Santina. Ormai terminale voleva gettarsi dall'ottavo piano dell'ospedale. La sua non era disperazione, ma solo tremendo dolore. La mia operazione è stata fissata per dopodomani. Dispero di poterci arrivare. Troppo lontano.

Finalmente il medico che era impegnato in sala operatoria viene a visitarmi. Propone la morfina. Ho qualche titubanza, ma la decisione è presa. Dieci milligrammi per via intramuscolare nella natica destra. Ora cerco di capire se posso avere allucinazioni. Non ho mai assunto droghe e non ho idea di quale effetto possa farmi. Speriamo non una reazione allergica. Alla mamma di Maria Luisa è capitato.

Dopo mezz'oretta circa mi sento già un po' meglio. Mi piego su un fianco e vomitando libero lo stomaco dai resti del pasto del giorno precedente che evidentemente non avevo digerito. La notte torno a dormire il sonno del giusto.

Dieci milligrammi di liquido sono stati il sollievo definitivo. Rifiuto qualsiasi altro antidolorifico, mentre continuo infusioni di antibiotici via flebo. La vigilia dell'operazione non è pesante. Mi sembra tutto in discesa. Posso arrivare a giovedì 10 aprile in tutta tranquillità.

In quest'ospedale sono specializzati per le colecistectomie. C'è un turn-over pazzesco. Faccio notare la cosa alle infermiere e come risposta mi dicono che loro i letti non li lasciano diventare freddi.

Il giorno dell'operazione mi trova tranquillo e rilassato. Non vedo l'ora di togliermi quel coso da dentro. Trovo modo di dire al chirurgo che avverto un dolore anche nella zona dell'appendice. Già che ci sono diano un'occhiata anche a quella. Quando mi risveglio mi dice che l'hanno guardata, ma era a posto. Purtroppo non hanno potuto fare laparoscopia ed hanno dovuto tagliare. Tastandomi l'avevo capito da solo e ribatto che non importa. Sfoggerò anch'io i miei bei punti come mia madre che più di vent'anni fa aveva dovuto subire lo stesso intervento. Nonostante le oltre tre ore di sala operatoria mi sento parecchio bene. Per l'anestesia nessun fastidio. Solo un po' di disagio per il sondino nasogastrico che mi irrita la gola nel deglutire.

Nel ritornare in corsia mi accoglie il sorriso raggiante di Maria Luisa. Mio figlio Andrea è dovuto scappare a prendere Alessandra che è ormai prossima all'uscita da scuola. Immagino tutta l'apprensione dei miei figli per lo stato di salute del loro unico genitore. Ma è andata bene. Mi sento bene, molto bene. Il chirurgo, straniero, di cui non sono riuscito ad imparare il nome, ha fatto un buon lavoro.

Ogni giorno che passa miglioro con decisione. Provo quasi paura al pensiero di quanto mi senta bene ora rispetto al tanto male patito in precedenza. Parenti ed amici allietano la mia degenza con le loro visite.

Sulla cartella di dimissione leggo la seguente diagnosi: "Colecistite calcolosa gangrenosa con versamento biliare libero".

Probabilmente dovevo essere operato d'urgenza ancora una settimana prima, ma va bene così.

Poi giovedì scorso, mentre sono di nuovo in clinica per togliere i punti, ricevo una telefonata da Maria Luisa. Un mese fa si era sottoposta ad un intervento per la rimozione di un polipo. E' arrivato il referto dell'esame istologico. Dovrà togliere l'utero.

A casa, davanti a lei, scoppio a piangere e capisco perché la mia ripresa è stata rapida.

venerdì 4 aprile 2008

L'eleganza del riccio

Quando siamo stati in viaggio di nozze a Parigi, durante uno dei tanti spostamenti in metrò, ci siamo seduti accanto ad una giovane signora tutta assorta nella lettura di un libro dal titolo L'élégance du hérisson. L'interesse dimostrato dalla lettrice era tale che anche noi avremmo voluto saperne qualcosa di più, ma la nostra povera conoscenza del francese c'impediva addirittura di comprendere completamente il significato del titolo.

Una delle sere seguenti abbiamo avuto il piacere di cenare assieme ad un amico conterraneo di Maria Luisa che da parecchi mesi era in trasferta di lavoro nella capitale francese svolgendo la sua attività di geologo presso una compagnia petrolifera. Durante la piacevolissima serata passata insieme in cui lui è stato nostro ospite a tavola e noi, molto più ricambiati, suoi ospiti in giro per un quartiere del centro, approfittando della sua maggiore perizia con la lingua locale, gli abbiamo chiesto il significato del titolo. Lui prontamente ce l'ha tradotto: L'eleganza del riccio.

Qualche settimana fa, mentre eravamo al solito supermercato, sfiliamo davanti allo scaffale dei libri e nonostante la diversa copertina non m'è sfuggita la recente traduzione in italiano di quella raffinata commedia francese. Maria Luisa d'impulso me l'ha voluto regalare e prontamente l'ha infilato nel carrello. Così, a scatola chiusa, senza sapere se meritava veramente. Ma io ero sicuro che valeva la pena acquistarlo anche solo perché legato in qualche modo alla nostra luna di miele.

Ora lo sto leggendo. Il tempo libero è poco e quindi sono arrivato solo a metà, ma letta la prima pagina di un nuovo capitolo non ho potuto fare a meno di riportarlo di seguito.

Ieri sera a cena la mamma ha annunciato che esattamente dieci anni fa ha cominciato la sua "anaalisi", come se fosse un buon motivo per fare scorrere fiumi di champagne. Siete tutti d'accordo che è una cosa me-ra-vi-glio-sa! Mi pare che solo la psicanalisi possa competere con il cristianesimo nella predilezione per le sofferenze prolungate. Quello che mia madre non dice è che da dieci anni prende degli antidepressivi. Ma evidentemente non mette in relazione le due cose. Credo che gli antidepressivi non servano ad alleviare le sua angosce, ma a sopportare l'analisi. Quando racconta le sue sedute, c'è da sbattere la testa al muro. Il tizio fa <<Hmmm>> a intervalli regolari ripetendo i finali delle frasi (<<E sono andata da Lenôtre con mia madre>>: <<Hmmm, sua madre?>>; <<Mi piace molto la cioccolata>>: <<Hmmm, la cioccolata?>>). Se è così, domani posso lanciarmi anch'io nella psicanalisi. Oppure le propina delle conferenze della <<Causa freudiana>> che, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non sono dei rebus ma dovrebbero avere un qualche significato. Subire il fascino dell'intelligenza è davvero molto affascinante. Secondo me l'intelligenza non è un valore in sé. Di gente intelligente ce n'è a pacchi. Ci sono molti dementi, ma anche molti cervelli eccezionali. Sarà una banalità, ma l'intelligenza in sé non ha alcun valore e non è di nessun interesse. C'è gente molto capace che ha speso una vita sulla questione del sesso degli angeli, per esempio. E molte persone intelligenti hanno una specie di bug: credono che l'intelligenza sia un fine. Hanno un'unica idea in testa: essere intelligenti, e questa è una cosa stupidissima. E quando l'intelligenza crede di essere uno scopo, funziona in modo strano: non dimostra la sua esistenza con l'impegno e la semplicità dei suoi frutti, bensì con l'oscurità della sua espressione.

Muriel Barbery
L'eleganza del riccio
edizioni e/o

Confesso che qualche anno fa mi sono sottoposto a qualche seduta di psicanalisi. Già dopo il primo incontro ne sono uscito con un enorme senso d'irritazione. Alla terza non ce l'ho più fatta ed ho detto al terapeuta(?) che preferivo interrompere. Lui si è permesso di dirmi che la mia sofferenza meritava di essere trattata. Gli ho risposto: <<Sì, è vero, ma decido io come>>.

domenica 16 marzo 2008

Cinema di periferia

Questa cosa è successa diverse settimane fa, ma solo ora trovo il tempo per raccontarla.

Maria Luisa ed io stavamo ritornando dalle abituali spese del sabato mattino. Mentre eravamo in colonna al semaforo mi capita di dare un'occhiata alla locandina di un cinematografo d'oratorio.

Non è molto distante da casa nostra. Pochi passi di buona lena e potrebbe diventare un valido ed alternativo modo di spendere il sabato sera, lontani dalle caotiche ed affollate multisala tanto in voga al giorno d'oggi.

Sicuramente la scelta è meno variegata. Direi anzi obbligata a causa di un'unica proiezione e forse per questo una serata diversa, meno scontata. Niente passerelle di mamme avvenenti o stanco vagabondare di giovanotti che ammazzano la noia del proprio fine settimana prima nel buio di una sala e poi nel frastuono di una discoteca.

Ceniamo un po' più presto del solito e poi usciamo tutti quanti. I ragazzi si dirigono verso il nostro oratorio dove ritrovano gli amici di sempre. Noi proseguiamo a passo spedito per non fare tardi alla proiezione unica delle 21.

Per strada c'imbattiamo in gruppi di giovanotti e ragazze che indugiano intorno alle proprie automobili. Dev'essere dura la vita del sabato sera: sempre qualcosa da organizzare e da fare perché il lunedì arriva presto e non si può affrontare un'altra settimana se non si è goduto la vita fino in fondo, magari con un tantino d'eccessi.

Più avanti nel nostro tragitto troviamo un negozio di frutta e verdura ancora aperto. Questa cosa mi fa tornare al viaggio di nozze a Parigi, quando non era infrequente trovare esercizi aperti anche ad ora tarda. Non si capisce bene se per desiderio di proseguire negli affari oppure perché nelle solitudini di questa esistenza altro non resta da fare che ammazzarsi di lavoro.

Condivido questi pensieri con la mia sposa e passo dopo passo arriviamo alla nostra meta. Ho sempre timore di arrivare tardi e mi rendo conto di averla costretta ad un'andatura fin troppo spedita.

Entriamo. Penso che la proiezione potrebbe essere già iniziata. Oppure non si è presentato ancora nessuno, nonostante sia ormai ora. Nell'atrio c'è gente che sorride. Chissà mai perché penso che stiano ridendo di noi. Siamo forse gli unici che hanno avuto l'ardire di buttarsi in un cinema di periferia?

Compriamo due biglietti e poi entriamo in platea. Non vedo nessuno. Siamo proprio soli. Poi udiamo provenire dall'alto alcune voci. Sono tutti in balconata. Decidiamo di tornare sui nostri passi e saliamo anche noi.

Non torno in questo locale da più di vent'anni quando mi capitava di assistere a qualche cineforum impegnato.

Il pensiero va anche alle proiezioni per periodo di leva. Anche lì in qualche oratorio di periferia con coppiette davanti a me che con le loro tenerezze mi distraevano e mi facevano perdere la trama del film.

Il pubblico del piano superiore è in verità poco numeroso, come prevedibile. Alcuni gruppi di giovani e vivaci nuclei familiari.

Tutti presi dalle vicende de "La bussola d'oro" siamo sorpresi dall'interruzione per l'intervallo a metà proiezione. Nelle multisala si è persa l'abitudine a questa cosa. Il tempo è denaro, si sa.

Alla ripresa manca l'audio. Nascono cori spontanei, prima timidi, poi ben marcati e decisi che reclamano "voce!", proprio come ai vecchi tempi. Come recita una nota pubblicità, ci sono cose che non si possono comprare, ma noi le abbiamo ricevute tutte e a buon prezzo.

Mentre ritorniamo verso casa, felici per la gradevole proiezione, ma ancor di più per esserci riempiti di tenerezza come fidanzatini d'altri tempi, incrociamo alcuni ragazzi che chiaramente escono dal nostro oratorio. Quando vi arriviamo davanti fatico un poco a convincere Alessandra a seguirci a casa. Vorrebbe fare come il fratello più grande ed aspettare ancora un po' a sciogliere la compagnia.

Un sabato diverso, non c'è che dire. Non siamo pesci nell'acquario con tutta la vita programmata. Possiamo scegliere e con sorpresa scoprire che non sono le cose lontane a darci la felicità, ma inaspettatamente la possiamo trovare anche in un cinema di periferia.

mercoledì 6 febbraio 2008

La speranza


Gesù che di sé ha detto di essere venuto perché noi abbiamo la vita e l'abbiamo in pienezza, in abbondanza, ci ha anche spiegato che cosa significhi <<vita>>: <<Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo>>. La vita nel senso vero non la si ha in sé da soli e neppure solo da sé: essa è una relazione. E la vita nella sua totalità è relazione con Colui che è la sorgente della vita. Se siamo in relazione con Colui che non muore, che è la Vita stessa e lo stesso Amore, allora siamo nella vita. Allora <<viviamo>>.

L'uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze - più piccole o più grandi - diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell'uno o dell'altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere.

Questa grande speranza può essere solo Dio, che abbraccia l'universo e che può proporci e donarci ciò che, da soli, non possiamo raggiungere. Dio è il fondamento della speranza - non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l'umanità nel suo insieme. Il suo regno non è un aldilà immaginario, posto in un futuro che non arriva mai; il suo regno è presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiuge.

La preghiera come scuola della speranza

Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell'angolo privato della propria felicità. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini. Nella preghiera l'uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio. Deve imparare che non può chiedere le cose superficiali e comode che desidera al momento.

Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso <<la fine perversa>>. E' speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio.

Agire e soffrire come luoghi di apprendimento della speranza

Non è lo scansare la sofferenza, la fuga davanti al dolore, che guarisce l'uomo, ma la capacità di accettare la tribolazione e in essa di maturare.

La misura dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana. Accettare l'altro che soffre significa, infatti, assumere in qualche modo la sua sofferenza, cosicché essa diventa anche mia.

Soffrire con l'altro, per gli altri; soffrire per amore della verità e della giustizia; soffrire a causa dell'amore e per diventare una persona che ama veramente - questi sono elementi fondamentali di umanità, l'abbandono dei quali distruggerebbe l'uomo stesso.

Benedetto XVI
SPE SALVI
Libreria Editrice Vaticana

sabato 2 febbraio 2008

La vita eterna


Forse oggi molte persone rifiutano la fede semplicemente perché la vita eterna non sembra loro una cosa desiderabile. Non vogliono affatto la vita eterna, ma quella presente, e la fede nella vita eterna sembra, per questo scopo, piuttosto un ostacolo.

Continuare a vivere in eterno - senza fine - appare più una condanna che un dono. La morte, certamente, si vorrebbe rimandare il più possibile. Ma vivere sempre, senza un termine - questo, tutto sommato, può essere solo noioso e alla fine insopportabile.

L'eliminazione della morte o anche il suo rimando quasi illimitato metterebbe la terra e l'umanità in una condizione impossibile e non renderebbe neanche al singolo stesso un beneficio.

Ovviamente c'è una contraddizione nel nostro atteggiamento, che rimanda ad una contraddittorietà interiore della nostra stessa esistenza. Da una parte, non vogliamo morire; soprattutto chi ci ama non vuole che moriamo. Dall'altra, tuttavia, non desideriamo neppure di continuare ad esistere illimitatamente.

Allora, che cosa vogliamo veramente? Che cosa è, in realtà, la <<vita>>?

Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l'eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell'immergersi nell'oceano dell'infinito amore, nel quale il tempo - il prima e il dopo - non esiste più. Posiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell'essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia.

Benedetto XVI
SPE SALVI
Libreria Editrice Vaticana

sabato 26 gennaio 2008

Dio mi ama

In questi giorni cercavo lo spunto per qualcosa da scrivere sul blog.

Questa mattina Maria Luisa ed io, come siamo soliti fare da un po' di tempo a questa parte prima di andare al supermercato, dopo aver accompagnato a scuola Alessandra, ci siamo recati al bar della nostra pasticceria per coccolarci con un cappuccino.

Mentre attendevamo che il barista ci servisse, mia moglie ha estratto da una tasca del suo cappotto un volantino colorato che le era stato dato da uno dei suoi studenti.

Questo foglietto riporta su un lato l'immagine che potete vedere qui a fianco e sull'altro il seguente testo.

E non fare il difficile!
Intanto,comunque la pensi,
Dio ti starà addosso
tutta la vita perchè
ti ama alla follia.
Vuoi continuare
a ignorarlo?
Peggio per te,
perderai l'occasione
di vivere
la tua vera vita,
quella vita pazzesca,
diversa, piena di emozioni
che Harry Potter e le Winx
neanche si immaginano.

SCEGLIGESù.com

Ogni domenica alle 17
al Pub Le Pecore
in via Fiori Chiari, 21 (Brera) a Milano

Non so se in realtà si tratti di una trovata pubblicitaria per qualche spettacolo poco edificante oppure una brillante provocazione per qualcosa di serio ed impegnato.

Quel che a me importa è sottolineare il contenuto positivo di questo messaggio. In un certo senso sto prendendo a prestito queste parole per esprimere il mio pensiero di questi ultimi anni.

Questo Padre buono e paziente, più che starci "addosso", guarda da lontano ed attende con ansia il nostro ritorno.

Se poi siamo fra quelli che non se ne sono mai andati, riscopriamo la gioia dell'amore ininterrotto ed esultiamo con Lui per ogni smarrito che ritorna alla vita.

Le vicende di questi giorni pongono l'enfasi sul declino del nostro paese sfilacciato da tanti problemi e governato da una classe dirigente in cui non ci riconosciamo più.

Abbiamo fame e sete di tante cose materiali, ma ci preoccupiamo poco di trovare il vero cibo che non va a male e l'acqua che ha il potere di dissetarci per sempre.