Translate

venerdì 28 maggio 2010

Dietro quella porta


La seconda domenica di maggio, notoriamente festa della mamma, avevamo un impegno programmato da tempo in parrocchia e quindi non potevamo passarlo con la madre di Maria Luisa. Abbiamo allora deciso di anticipare il festeggiamento di una settimana scendendo a Cremona per stare insieme a nonna Carla e tenerle compagnia per qualche ora. Non volevo che la nostra visita fosse per lei motivo di un affaticamento extra e pertanto abbiamo deciso di spostarci poco oltre l'altra sponda del Po, nel piacentino, tornando a visitare un locale alla mano in cui abbiamo sempre mangiato bene.

La giornata non era delle migliori, meteorologicamente parlando. Comunque sia non vi abbiamo dato troppo peso, visto che avremmo passato la maggior parte del nostro tempo con le gambe sotto ad una tavola imbandita. Nonna Carla, come molte persone della sua età, tende a mangiare poco, vuoi per problemi di dentatura, vuoi per senile inappetenza. Avendo un buonissimo rapporto col cibo, mi viene naturale stimolare chiunque mangi con aria svogliata a compiere uno sforzo e lasciarsi andare ai piaceri del palato, quantomeno nelle occasioni in cui possiamo trovare tutto già pronto perché sono stati altri a prodigarsi per noi.

In realtà la mia opera di convincimento non è stata troppo ardua ed ho avuto la soddisfazione di vedere mia suocera alimentarsi con maggior convinzione e gusto rispetto al suo solito. Anzi, nei giorni successivi è arrivata addirittura a desiderare di ritornare presto in quel locale per assaggiare anche altri piatti che aveva visto sul menu.

Dopo alcune ore di pressoché totale immobilità, tutti concentrati nell'attività di degustazione, le nostre membra avevano ormai voglia di svago all'aria aperta. La madre di mia moglie non è più una grande camminatrice, specialmente ora che le è stato innestato un pace-maker per regolare il ritmo del suo cuore. Nonostante questo, una volta terminato il pranzo, non avevo voglia di riaccompagnarla subito a casa così che si rinchiudesse nuovamente fra le sue quattro mura. Quelle pareti saranno pure molto confortanti per lei, ma credo che talvolta le tolgano ogni stimolo per continuare ad apprezzare con più entusiasmo la gioia di vivere.

Una volta saliti in macchina, ho lanciato la proposta di tornare in città e, se la cosa era gradita, avremmo potuto fare una breve visita a San Sigismondo dove so che Carla ha fatto studi per la sua tesi di laurea. Magari le sarebbe piaciuto tornare a dare uno sguardo intorno, anche se deve averla vista chissà quante volte e sicuramente conosce quella struttura, gli affreschi ed i dipinti in essa contenuti, con la stessa precisione e con lo stesso livello di dettaglio di un catalogo enciclopedico.

Parcheggiata l'auto poco distante, all'ombra di enormi platani secolari, mentre madre e figlia si davano braccetto una con l'altra, con pochi tranquilli passi siamo entrati in questa chiesa quattrocentesca progettata per volontà di Bianca Maria Visconti a ricordo del matrimonio con Francesco Sforza avvenuto nel 1441. L'interno venne affrescato a partire dal 1535 e rappresenta uno dei più significativi complessi decorativi del manierismo cinquecentesco dell'Italia settentrionale.

Dopo esserci soffermati per qualche breve istante davanti alle numerose nicchie delle navate laterali, in cui ricevevo brevi lezioni di storia dell'arte, sia dalla moglie che dalla suocera, giungiamo infine nei pressi dell'altare, il cui accesso è interdetto da un'alta cancellata. Allora ci accomodiamo in un banco e sostiamo un attimo in silenziosa preghiera.

Il mio sguardo cade quasi distrattamente su una specie di porta candele posto lì a lato. Negli appositi ripiani, invece dei ceri, ci sono alcuni foglietti e qualche penna per scrivere. Un cartoncino avvisa che chiunque può servirsene per lasciare uno scritto da imbucare nella fessura di quella che una volta doveva essere la cassetta delle offerte. Mi è noto che da diversi mesi nel complesso di San Sigismondo è ospitata una piccola comunità di suore di clausura. Una di queste religiose è seduta all'organo, al di là del cancello che ci separa dall'altare e, col tocco delicato delle sue mani, ne fa uscire armoniose melodie.

Non so resistere e prelevo un foglietto ed una penna che sembravano ammiccare ed invitarmi con insistenza. Mi rendo subito conto che le libagioni e l'ottimo pranzo hanno smorzato qualsiasi mia velleità poetica e sebbene la scrittura esca fluente, il periodare risulta impreciso e non completamente lucido.

Vorrei stabilire un contatto con chi mi leggerà da dietro quella porta. Non chiedo una preghiera per me solo, ma la invoco per tutte le famiglie, da cui provengono, in ultima analisi, tutte le vocazioni. Lascio scritta la promessa di un pensiero reciproco per chi sta al di là della grata e che un giorno fece la scelta di ritirarsi lontano dal mondo, con un voto coraggioso, quasi uno scandalo, incomprensibile per i più.

Nessun commento: