Translate

sabato 17 aprile 2010

Sette vite


Come una folgorazione, m'è balenata in testa l'idea di aver già vissuto sette vite.

La prima, legata all'infanzia, trascorsa nella cascina di campagna tra Rivoltella del Garda e San Martino della Battaglia. Di quegli anni ricordo i miei primi passi nel mondo della natura. Ho ancora negli occhi le ragnatele coperte di brina, i variopinti fiorellini, gli alberi da frutto da cui prendevo con avidità i mille sapori, le messi dorate, le rondini che facevano il nido sotto il portico della stalla, il frinire delle cicale d'estate, mentre all'aperto fissavamo la luna piena. E poi ancora il sapore del mosto, l'arancio vivo dei cachi, il grigio delle nebbie per arrivare alle mille luci colorate dei presepi nelle cascine vicine che mia madre mi portava a visitare. Poi di nuovo il ciclo si ripeteva ed avevo modo di approfondire quanto già visto oppure esplorare con immenso stupore altre novità.

Poco prima d'iniziare la scuola elementare, papà ha abbandonato la vita del contadino ed è così cominciata per me la seconda, qui in città, a Brescia. In quegli anni tanti ci domandavano se eravamo dispiaciuti di essere venuti via dalla cascina di campagna. Non ho mai avuto rimpianti, né avuto nostalgia di quel che avevo lasciato. Trovavo piacevole anche questa nuova esistenza. Le prime esperienze di gioco in gruppo, con ragazzi più grandi di me. Fantasticavamo sulla possibilità di costruire fortificazioni e far parte di un piccolo esercito di soldati, giocavamo a gare di automobiline sulle piste disegnate sull'asfalto con un pezzo di mattone, talvolta col candido gesso. Tornavo dalla montagna, dove eravamo stati a trovare i nonni, con archi, spade, fucili di legno che mio padre abilmente forgiava per la mia gioia.

Poi, dopo questi primi anni in cui siamo stati in affitto vicino all'abitazione dei nonni materni, i miei genitori hanno acquistato una casa più in periferia. Non era ancora tutto cementificato. C'erano numerosi campi attorno alla nostra abitazione e, per certi versi, in questa terza vita mi sembrava di riassaporare un po' i colori e le immagini della prima. Crescevo e provavo il gusto per le collezioni. Il gioco delle biglie, che si prendeva tanto dei miei pomeriggi estivi e non. La raccolta delle figurine con i vari riti per l'acquisto, lo scambio fra amici, il completamento dell'album: tanti iniziati, ma uno solo terminato. I primi calci seri al pallone, senza che questo sport si sia mai preso tanta parte di me. I giornalini di Topolino. La bicicletta che ho invece amato e desiderato come nient'altro. Le lunghe scorribande fino a portarci sulle colline dei paesi vicini, senza che i genitori avessero troppo a temere per la nostra incolumità. Altre velocità ed altre quantità di automezzi in circolazione. Ragazzo delle medie mi ero vantato coi miei di essere arrivato fino al lago d'Iseo. A mia madre, che in tempo di guerra faceva la spola tra Brescia e Ghedi per andare a prendere un grosso sacco di farina per il pane e la pasta della sua famiglia, non deve certo essere sembrata una grande impresa.

La quarta vita è stata tappa d'esplorazioni interiori. Deciso a diventare prete sono entrato in Seminario, dove ho frequentato il Ginnasio ed il Liceo classico. Convinto che quella fosse la mia vocazione, avevo abbandonato tutto: la mia nascente passione per le cose tecniche e per l'elettronica in particolare. Le ragazze, che mi sono sempre piaciute un sacco e da cui ora distoglievo perfino lo sguardo perché, ne ero convinto, Dio mi chiamava ad una vita di celibato. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Gli anni dell'adolescenza sono stati caratterizzati da austerità, impegno, ma non troppo, per lo studio e allenamento all'oblazione di sé per il bene degli altri. Come potevo aspirare a diventare il sacerdote di tutti, se rifuggivo, per non cadere in tentazione, il contatto con l'altro sesso? Non si diventa preti per soli uomini. Gli studi di filosofia alimentavano le mie crisi. Come poteva Dio chiamarmi a qualcosa di diverso da quello a cui avevo sempre aspirato fin dalla tenera età? Se quella era la Sua volontà, allora avrei ricevuto la forza per rinunciare all'affetto di una buona moglie, alla gioia di figli nostri e avrei portato il suo Verbo la dove lo spirito di missione mi avrebbe spinto.

Un giorno però ho incontrato Santina, o meglio, l'ho rivista sotto una luce diversa durante un ritiro parrocchiale con i giovani della nostra comunità. Sentivo di essere attratto verso una vita diversa: la quinta. Con l'esame di maturità abbandonavo definitivamente la strada sacerdotale e m'incamminavo verso quella di ingegnere. Ma gli studi universitari non hanno ricevuto da me l'attenzione che meritavano. Dopo il primo anno, svanita ormai la passione per l'elettronica, decidevo di ritirarmi e per schiarirmi le idee, affrontavo il servizio di leva. Ero già stato lontano da casa e, se non proprio in una caserma, avevo imparato a badare a me stesso senza mamma e papà che continuamente  provvedono a te. Pensai che quello fosse un anno buttato via, ma non volevo fare obiezione civile solo per potermene stare più vicino a casa. Inaspettatamente il servizio di leva gettò le basi della mia successiva professione d'informatico. Una volta congedato, mi sono iscritto alla facoltà di matematica, qui alla Cattolica di Brescia. Sono riuscito a dare solo un paio d'esami e poi ho abbandonato anche quest'altro ateneo per tuffarmi nel mondo del lavoro. Erano anni in cui in questo mestiere s'imparava più da soli che in un'aula universitaria. Non faticai, per la grande passione, a farmi strada e a concretizzare in un paio d'anni l'obiettivo del matrimonio, dopo oltre sei anni di fidanzamento. Poi sono arrivati presto i figli a cui non ho sempre dedicato il giusto tempo perché troppo assorbito dal lavoro che continuavo a fare con entusiasmo. Ma la mia vita era, per così dire, monotematica. Computer al lavoro e riviste d'informatica nel tempo libero a casa. Santina, quanta pazienza hai portato. Però, quando eri malata me ne sono ricordato ed allora ho detto quella frase. Che cioè tu avevi portato pazienza quando mi dedicavo un po' troppo al lavoro ed ora la ditta avrebbe portato pazienza permettendomi di accompagnarti durante le sedute di chemioterapia e durante tutto il travaglio successivo il cui sbocco è stata la sesta vita.

Sì, la vita senza di te è stata la mia sesta. Anni duri, di solitudine, d'incomprensioni, di rapporti difficili, ma con il pensiero fisso di potercela fare, di doverlo fare per i nostri ragazzi alle cui cure tu ti eri tanto raccomandata con me prima di morire. Credo di aver recuperato il tempo perduto. Però non è stato bello averlo fatto lontano da te. Senza lo spazio per condividere una lacrima, senza il modo per ricevere un sorriso, scambiare un caloroso abbraccio, coprirti le labbra con un bacio. Grazie al Cielo, da cui non ho mai distolto lo sguardo, neppure nei momenti più bassi, neppure quando lo sconforto sfociava nella disperazione, Andrea ed Alessandra sono cresciuti forti e, quel che più conta, sono bravi ragazzi, come spero sarebbe piaciuto a te che diventassero. Ma il mio dolore, la mia pena non è poi durata a lungo. Cinque anni sono volati in fretta e benedetta la sofferenza che mi ha portato a rivedere in Maria Luisa, nel suo primo sorriso, il tuo.

Ora, in questa nuova e settima vita, mi sento l'uomo fortunato di sempre che ha ricevuto tanto e sente il dovere di restituire un po' di quell'abbondanza. Mi stupisce, ma poi non più di tanto, quando mia moglie Maria Luisa mi dice che in fondo sono rimasto il sacerdote che non sono mai diventato. Non lo so se è così. Varcate le porte del terzo millennio forse si può essere servi di Dio anche in questo modo. Senza celebrare l'Eucaristia sull'altare, ma affrontando la quotidianità con occhi diversi. Con quelli del credente che ha la certezza che prima di essere amati dal frutto del nostro grembo, dalla persona che ci siamo scelti in sposa, lo siamo da parte di Chi ci ha prediletti fin dall'eternità e non ha grosse pretese per quello che possiamo offrirgli se non accettare, senza riserve, che Lui ci voglia bene, anche quando il modo o le circostanze possono farci pensare il contrario.

Ho davanti a me altre vite? Questo ovviamente non lo so, ma guardo avanti con attenzione: non vorrei che mi sfuggisse qualcosa o che mi perdessi il piacere di vivere fino in fondo le possibilità che mi sono date.

Nessun commento: