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domenica 11 aprile 2010

La fede è cosa per vecchi?


Cari amici, ci risiamo. I giovani sono tornati nel mirino dei sondaggi e delle analisi. A distanza di pochi giorni, leggendo due notizie comparse sulla stampa nazionale, ho preso un pugno in pieno volto, capace di mandare al tappeto il migliore dei pugili in circolazione!
Due guantoni sul muso. Primo montante: quasi la metà dei giovani italiani sarebbe razzista e diffidente nei confronti degli stranieri. Solo il 40% si dichiara "aperto" alle novità e alle nuove etnie che ormai popolano il nostro Paese. È il ritratto offerto dall'indagine, "Io e gli altri: i giovani italiani nel vortice dei cambiamenti", presentato alla Camera dei deputati.
Il secondo montante è venuto da una notizia forse ancora più spietata:  sempre più persone considerano estranea la fede cristiana, tanto che si può parlare di "prima generazione incredula". Sono i figli dei figli del Sessantotto che si trovano digiuni di qualsiasi esperienza e cognizione cristiana. La fede è un fatto del passato, che non li riguarda, un concetto da libri di storia.
Vorrei soffermarmi su questo secondo aspetto, che don Armando Matteo ha spiegato nel libro "la prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede" (Soveria Mannelli, Rubinetto, 108 pagine, 10 euro).
I giovani sono sordi e impermeabili alla grande offerta che pure è possibile trovare nelle parrocchie. Con una battuta si potrebbe dire che gli oratori diventano sempre più moderni, i sacerdoti passano dalla tonaca ai jeans, ma le chiese sono disertate dalle nuove generazioni. La fede riguarda una minoranza di giovani che, per quanto creativa, è trascurabile all'interno di una massa che ha testa e cuore altrove.
Il quadro è a tinte fosche. Ma c'è di peggio. Il 90% dei giovani si professa cattolico, sceglie l'insegnamento religioso nella scuola, ma in chiesa non mette quasi piede. La fede diventa in questo modo un fattore solo culturale, di appartenenza senza credenza. Secondo don Matteo (che non è Terence Hill, ma l'assistente della Federazione universitaria cattolica italiana), stiamo imparando a vivere senza Dio e senza chiesa.
Come al solito, le colpe sono distribuite: un po' vanno ai genitori, che per primi hanno rotto la cinghia di trasmissione della fede da generazione a generazione ; un po' vanno alla società di oggi, che soffre di narcisismo e voglia di eterna giovinezza, a ogni costo e con qualunque mezzo, mentre è debole nell'assumere le responsabilità personali e comunitarie.
Qualcosa di simile avviene anche nella chiesa, brava a organizzare i grandi eventi per i giovani, ma poco incisiva nelle sue quotidiane proposte pastorali e incapace di offrire testimonianze che facciano intravedere un accordo tra la fede e la vita. La fede, infatti, è avvertita come un peso, un "affare" che va bene finché si è bambini, ma poi... non c'entra più. Così calano i battesimi, le cresime, i matrimoni religiosi e le vocazioni.
Accettiamo la provocazione. Certamente la fede è esigente, ma vale la pena viverla da giovani! Occorre ampliare e personalizzare le occasioni di incontro. Forse ognuno di noi potrebbe portare le proprie esperienze di fede a don Matteo. Noi siamo pronti ad accoglierle e rilanciarle. Chissà che don Matteo - e noi con lui - non riesca a consolarsi e possa scrivere presto un altro libro dal titolo, "I nipoti del '68 spiegano la fede ai loro genitori".
Senza sottovalutare questa importante indagine sul rapporto tra i giovani d'oggi e la fede, possiamo dire che non è sempre così scomodo essere minoranza. Lo dice perfino il proverbio " Pochi ma buoni"! E poi ricordate la forza del pizzico di lievito dentro la farina? Quei "quattro gatti" che ci credono, diamoci da fare.

Diego Piovani
MISSIONARI SAVERIANI
N. 4 Aprile 2010

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