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domenica 22 novembre 2009
Straniero in patria
Un paio di settimane fa, come già avevamo fatto lo scorso anno, assieme ad alcuni miei ex-colleghi di lavoro, sono partito per una mini-vacanza. Fino a pochi giorni prima della partenza la mia partecipazione era data per incerta, visto il precario stato di salute della mamma di Maria Luisa, dopo un fallito tentativo d'innesto di pace-maker. Superato positivamente il secondo intervento, mia moglie mi ha scritto con gioia in un sms: "Torino ti aspetta". Ed allora, ho pensato io, non facciamola aspettare.
Niente levatacce. Quando ci siamo realmente messi in viaggio, non mancava molto a mezzogiorno di venerdì 6 novembre. La giornata non era granché, in linea con la media del periodo che lo vuole grigio e piovoso. Però, secondo le previsioni meteorologiche che avevamo attentamente consultato prima di partire, il tempo doveva migliorare nel pomeriggio, come infatti è stato.
La Sacra di San Michele, ad una quarantina di chilometri dal capoluogo piemontese in direzione della Val di Susa, è stata la nostra prima destinazione. Nonostante fossimo provvisti di navigatore, abbiamo inizialmente faticato un po' ad imboccare la direzione giusta per salire in quota là dove è posto questo vecchio monastero. Giunti ormai nelle adiacenze siamo stati colti da meraviglia per la maestosità del luogo. Consultando una locandina turistica abbiamo appreso che questo posto ha anche un alto interesse geologico.
Sfoderato in tutta fretta l'armamentario fotografico, abbiamo proseguito a piedi l'ultimo tratto, dato che il transito era vietato agli automezzi privati. Io mi guardavo in giro e mi attardavo un poco a catturare i colori caldi dell'autunno.
Uno di noi, forse più informato, fa sapere agli altri che inizialmente avevano pensato di girare quassù il film "Il nome della rosa". La costruzione si slancia verso l'alto con uno spiccato movimento di ascesa e fa sentire noi, piccoli uomini sotto la media, ancora più bassi di statura.
Per nostra fortuna ci è concesso fare fotografie anche all'interno, sia pure senza flash. Non vogliamo perderci nulla, quindi ogni angolo, ogni geometria vengono catturati avidamente dai nostri obiettivi. C'è fra di noi una sorta di tacita gara a chi realizza lo scatto migliore, l'inquadratura più suggestiva. Ci contagiamo a vicenda e dove uno posa lo sguardo presto anche un altro lo raggiunge, temendo di perdersi qualcosa d'importante e di bello.
Con l'avvento della fotografia digitale non c'è più ritegno, né timore di sprecare inutilmente pellicola. Spesso mi capita di far sorridere i miei amici per la discutibile scelta delle mie inquadrature a cui loro non danno importanza. A me sta bene di fotografare anche le crepe sul pavimento, perché magari richiamano le trame di una ragnatela.
Quando decidiamo di tornare all'auto, il sole è ormai tramontato dietro ai monti e non c'è più luce sufficiente per i nostri obiettivi. Torniamo allora verso Torino per prendere posto in albergo. Subito dopo ci aspetta una cena ristoratrice. Per pranzo ci siamo accontentati di un panino ed ora abbiamo voglia di fare festa attorno ad un tavolo con più abbondanza e con del buon vino Barbera.
Quando usciamo dal locale ci sentiamo un po' tutti appesantiti. La serata è ancora giovane, quindi passeggiamo per il centro aiutando la nostra digestione.
Il giorno seguente andiamo al museo di Pietro Micca che si trova nelle immediate adiacenze del nostro albergo. La visita è guidata e comprende anche la discesa nel sottosuolo attraverso l'antica rete di gallerie. Chi ci accompagna deve aver avuto un passato da professore, visto che non si astiene da interrogazioni o quesiti con tanto di giudizio finale. Esordisco dicendo che la mia ignoranza spazia in tutti i campi e lascio a Lorenzo l'onore di dare alla guida maggiore soddisfazione dimostrando una buona preparazione storica.
Nel pomeriggio facciamo nostro il Museo Egizio, che avevo visto una sola volta ai tempi del Ginnasio. Ora, a distanza di così tanto tempo, mi sembra che i vari reperti siano valorizzati meglio grazie anche ad un più accorto uso delle luci nelle varie sale. Più tardi troviamo modo di divertirci visitando il Museo del Cinema all'interno della Mole Antonelliana. La sera del sabato trascorre pressoché identica a quella del venerdì. Cambia il locale dove ceniamo, ma la soddisfazione a tavola resta immutata. Nell'allegria generale, come la sera precedente, non manchiamo di mandare qualche sms ad un altro nostro amico che quest'anno non si è potuto unire a noi per svariati impegni.
Domenica mattina piove. Prima di fare colazione andiamo a messa. Ci dirigiamo pertanto verso la Consolata, visto che alla chiesa di S. Agata lì nei pressi non ci saranno celebrazioni fino a tardi. A metà strada fiancheggiamo la chiesa del Carmine. Un movimento di persone, insolito per quell'ora, mi fa pensare che stia per iniziare anche lì una messa. Un rapido consulto e, dato che piove, decidiamo di risparmiare strada fermandoci in quella chiesa. Mi rivolgo ad un ragazzo che sta entrando e lui mi conferma che verso le 8,30 ci sarà la celebrazione eucaristica.
Entriamo e ci sediamo in un banco abbastanza avanti verso l'altare. Mancano ancora alcuni minuti, ma ci sono già diverse persone in silenziosa attesa. Fabio, accanto a me, nota che per lo più sembrano stranieri. Ne convengo, ma non mi meraviglio più di tanto, anche se il pensiero va ai nostri giovani, ai miei figli che a quest'ora dormono ancora. Entra il celebrante. Dopo le prime parole di un canto in una lingua per me incomprensibile, riesco a realizzare che non stiamo partecipando ad una messa in italiano. In un attimo comprendo gli sguardi di meraviglia degli altri fedeli: probabilmente loro si conoscono tutti e si stanno domandando cosa ci facciamo in mezzo a loro.
Ormai è troppo tardi per uscire ed andare altrove. Non comprenderemo granché delle parole pronunciate, ma la messa dovrebbe valere ugualmente. Mi prende dentro un po' di commozione. Mi sento straniero in patria e credo di capire solo ora per la prima volta cosa possa significare questa condizione per quelli che sono costretti a viverla ogni giorno.
A fine messa mi volto verso la ragazza a cui avevo stretto la mano allo scambio della pace e le chiedo in che lingua è stata celebrata la funzione. Inizialmente pensavo fosse in russo, ma poi per l'inflessione di alcune parole mi ero orientato verso il polacco. La giovane, dopo un attimo di sconcerto che ho scorto nei suoi occhi, mi risponde: "In rumeno". Ora la meraviglia è mia. Per quasi un'ora sono stato indegno fratello di un'intera comunità di rumeni. Ai loro occhi sarò apparso l'occidentale fortunato stranamente bisognoso di Dio. Loro ai miei sono apparsi i figli privilegiati del Regno.
Prima di fare ritorno verso casa troviamo il tempo di visitare Palazzo Madama, dove contempliamo la straordinaria bellezza di tante opere del passato. E così, con un tuffo all'indietro nel tempo, si chiude circolarmente il nostro viaggio.
Per chi fosse interessato, con il collegamento riportato qui di seguito, si può prendere visione di alcune Immagini della nostra gita a Torino scelte, secondo mio gusto, fra i circa 700 scatti che resteranno a ricordo di quei giorni.
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1 commento:
Vorrei ringraziare anche oche e maiali, protagonisti, loro malgrado, della nostra gita annuale
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