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sabato 8 aprile 2006

Far parte dell'Organizzazione

A distanza di poco tempo ritorno a parlare del libro di Tiziano Terzani.
Lunedì scorso ne ho terminato la lettura e confermo pienamente il giudizio positivo che avevo anticipato nel mio precedente post.
Ci sono alcuni passaggi che vorrei sottolineare riportandoli di seguito. Pertanto chi fosse intenzionato a leggere queste memorie o lo sta facendo e non vuole vedersi rovinato il gusto della lettura originale non proceda oltre.

Riporto fedelmente da pagina 423 a pagina 424.

FOLCO: Ma secondo te c'è uno stato dell'anima, della mente, dell'essere a cui uno può arrivare...

TIZIANO: Fumato?!

F: No! C'è una meta oltre... oltre a dove sei ora? C'è un altro passo, c'è qualcos'altro che uno può ancora fare con se stesso?

T: Io credo che non c'è.

E se lo desiderassi negherei tutto quello su cui ho lavorato. Perché sarebbe un desiderio. Devo essere proprio onesto, per me è già tanto quello che ho trovato. Chi mi avrebbe mai detto che con una diagnosi di cancro senza tante speranze me la sarei risa fino alla frutta? E ora, non mi basta? Ma che voglio di più? Che voglio di più, che mi facciano il monumento in piazza?!

F: No, quello giusto no. Se ci fosse, sarebbe qualcosa di interiore.

Non lo so però. Se uno accetta la morte, hai ragione, cosa può volere di più? Cosa può esserci di più interiore dell'accettare la propria morte?

T: E ancora più completo è l'integrare il male con il bene, la morte con la vita. Perché se lo hai capito non soltanto con la testa, se davvero riesci a integrarli, allora hai sentito col cuore, con l'intuizione, la quintessenza dell'universo. Lo senti se hai capito che in fondo non c'è differenza, che gli asura sono come i deva, i demoni sono come gli dei, che apparentemente si combattono, ma che alla fine sono la stessa cosa.

F: Ci devono essere diversi livelli di comprensione di questa cosa, no?

T: Ne sono sicuro. E il tuo lama tibetano ne aveva certamente raggiunto uno più alto. Ma io, per me, non ho potuto prenderne uno più alto. E ti assicuro che ora non mi manca.

F: Non ti manca, no?

T: No, no. Sto bene, sono arrivato.

F: Cioè il mondo non ti chiama più? Eppure di tanto in tanto ti incazzi ancora, quando non rimetto la tua radio al suo posto preciso, quando il gattino miagola. Quello che cos'è?

T: Vecchie debolezze di Tiziano Terzani che pensa ancora che sia possibile un aggiustamento che renda migliori le cose di fuori. Ma se per un attimo sei obiettivo, ti rendi conto che non è possibile. Non è possibile, Folco. Guarda questi ultimi cento anni. Allora ti dici che devi usare la scoperta di non essere il corpo, di non essere la tua identità, i tuoi libri, ma di essere parte di un'altra cosa che è indifferente a tutto questo, e che forse, un giorno, questo potrà aiutare l'uomo a trovare una via.

FOLCO: Io mi domando se l'illuminazione non sia proprio l'arrivare a guardare il mondo così com'è e vederlo come perfetto.

T: Ah certo, certo, bravo. Sono assolutamente d'accordo.

F: Cioè, vedere che non c'è niente da cambiare. Che l'abbruttimento, le torture in Iraq e l'acqua che viene troppo calda dalla doccia, tutto è esattamente come deve essere.

T: Mi colpisce questa definizione. Forse è giusta, forse hai ragione. Anzi, mi colpisce questo tuo pensiero perché forse è così. Perché anche nella mia aspirazione a un uomo migliore, più spirituale, c'è desiderio. E c'è una cosa ancora più terribile, c'è divenire. Invece hai ragione tu, sì. Capire che è perfetto. E che non diviene.
E'.
Un pensiero su cui riflettere.

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