Riporto un altro brano di Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra - Longanesi.
Poi, con la stessa intonazione, la stessa pronuncia, lo stesso ritmo usato da millenni, recitavamo alcuni dei mantra più belli e più famosi delle Upanishad. Uno che mi piaceva tanto cantare a squarciagola, attirandomi con le mie stecche gli sguardi severi delle <<sagrestane>> e i sorrisi divertiti del mio compagno di banco, Sundarajan, era il mantra della Brihadaranyaka Upanishad:
Asato ma sadgamaya, dall'irreale conducimi al Reale
Tamaso ma jyotirgamaya, dall'oscurità conducimi alla Luce
Mrityorma amritam gamaya, dalla morte conducimi all'Immortalità.
E pronunciando quella parola <<immortalità>>, fatta di una a privativa e di mrityo, la morte, sentivo la bellezza del sanscrito, che - mi rendevo conto - ci ha dato così la parola <<a-more>>: ciò che non muore.
-
<<DIO E' AMORE; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui>> (1 Gv 4, 16).
Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: <<Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto>>.
Dall'introduzione all'enciclica DEUS CARITAS EST di Benedetto XVI.
L'amore umano che non muore è figura dell'amore di Dio. Impariamo dall'amore umano che vediamo a scorgere Dio che non vediamo.
Nessun commento:
Posta un commento