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sabato 9 gennaio 2016

Il mondo che conoscevamo

Nel mondo che conoscevamo ci veniva domandato fin dalla più tenera età che cosa ci sarebbe piaciuto diventare da grandi. Nel corso degli anni mutavamo la scelta del nostro destino con naturale disinvoltura adeguandola ai desideri ed alle aspirazioni del momento lasciandoci di volta in volta influenzare da ciò che l'esperienza e la nostra sensibilità ci portavano ad apprezzare maggiormente.

Effettuavamo la scelta del percorso di studi, tenendo sì conto delle nostre inclinazioni naturali, ma soprattutto considerando la professione che avremmo voluto svolgere un domani. Ci fidanzavamo pensando al matrimonio come sbocco naturale del nostro percorso di coppia e verificavamo ogni giorno la bontà della nostra scelta valutando l'armonia e la conseguente felicità che nasceva nel rapporto di relazione con un'altra persona.

Entrati nel mondo del lavoro, scoprivamo ora la possibilità di dare concretezza ai nostri desideri e facevamo progetti, ormai non più a lunga scadenza, per trovare casa e convolare a nozze. Una volta costituita la nuova famiglia, pensavamo a darle maggiore sostanza auspicando l'arrivo di nuovi giovani componenti. I figli venivano accolti con aura di mistero di cui noi potevamo essere soltanto tramite per una perpetuazione i cui fini ultimi restavano sconosciuti pur potendone comprendere appieno tutti gli aspetti biologici.

Poi il mondo che conoscevamo all'improvviso è sparito. Non c'interessa più chiedere ai più piccoli cosa vorranno fare da grandi perché ormai è diventato tutto più complicato. Non si studia più per diventare un domani ciò che avevamo desiderato in precedenza di diventare. Le scelte, ma soprattutto i consigli, sono dettati dalla possibilità di trovare più facilmente un lavoro, qualunque esso sia, indipendentemente dalle caratteristiche ed inclinazioni spontanee di chi si approccia ad entrare nel mondo degli adulti.

Fidanzamento è ormai una parola desueta. Prevalentemente si sta insieme, ma senza che questo sia necessariamente finalizzato ad un'unione nel senso tradizionale del termine. Si ha la chiara coscienza che l'amore è eterno finché dura - ammesso e non concesso che di amore realmente si tratti - ed in questo clima d'incertezza generale e, nello specifico, del sentimento provato, la genitorialità viene vissuta piuttosto come incidente di percorso anziché come scelta consapevole del nostro personale contributo alla vita.

venerdì 1 gennaio 2016

Una pazienza infinita

Lo so benissimo che quello che sto per scrivere potrebbe suscitare la disapprovazione dei miei lettori più anziani, ammesso e non concesso che io ne abbia di così attempati. Pur non di meno mi concederò il lusso di una confidenza un poco impertinente in questa pigra giornata di capodanno.

La considerazione nasce spontanea come risultanza di una serie di riflessioni che sono affiorate alla mente avendo a che fare con diverse persone anziane. Quello che prima era solo un insieme disordinato di pensieri, ha trovato ieri un ordinamento naturale durante la partecipazione al rito funebre di un caro amico di famiglia di mia moglie.

In realtà bisognerebbe essere sempre in grado di esercitare una pazienza infinita con ogni persona della generazione precedente. La qual cosa, oltre che essere un atto dovuto, è pure un caloroso invito della sacra scrittura, nonché un altro modo di veder coniugato il quarto comandamento.

E' innegabile che la vita media si sia allungata di molto e questo lo sperimentiamo quotidianamente potendo godere di una maggiore longevità dei nostri cari. Eppure, giorno dopo giorno, siamo costantemente impegnati a tenere alto il morale di chi ormai nell'età è proceduto di molto fino al punto quasi da non ricordare con precisione il computo totale dei propri anni.

Le abilità individuali degli anziani sono quantomai varie e non a tutti è concesso di godere di una vita serena ed attiva come nei decenni precedenti. Però, proprio a motivo di una maggiore longevità, si dovrebbe riuscire a trovare il modo di dare a quest'esistenza ancora una qualche forma di contributo attivo che non sia invece solo passiva rassegnazione in attesa del giorno fatale. Che poi tanto agognato non è perché quasi mai nessuno sembra invocarlo convintamente, se non proprio chi sia gravato da una malattia esacerbante che lo spinga a proferire auspicio di un anticipato congedo.

Se posso esprimere un desiderio, e come primo giorno dell'anno mi si potrebbe anche concedere, vorrei arrivare in là negli anni con immutata consapevolezza riguardo all'inarrestabile declino fisico del proprio corpo e delle proprie capacità. Se la genetica potrà assistermi e farmi dono di un avvenire ancora lungo, vorrei svegliarmi al mattino sempre grato per la luce di un nuovo giorno, dimenticando gli acciacchi ed i dolori dell'età di cui già oggi colgo i primi segni e che andando avanti - suppongo - si faranno ancora più insistenti. Vorrei coricarmi la sera desideroso di un meritato riposo, ma contento delle possibilità che mi sono state offerte nelle ore precedenti.

Se le mie inabilità saranno tali da necessitare delle amorevoli cure di qualcuno, vorrei che un congiunto non abbia a rattristarsi per questo e che il suo "sporcarsi le mani" non sia visto come tale, ma come un atto d'amore. Per tale gesto vorrei poter godere di sufficiente lucidità così da esprimere gratitudine con sincero affetto. E se la nebbia dell'età avrà invece offuscato la capacità d'intendere, chiedo che una dose di pazienza aggiuntiva permetta ancora di riconoscere in me la dignità dell'essere.

Quell'essere che nasce eguale e che la vita distingue un po', ma che poi torna ad essere uguale nell'ultimo giorno.