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domenica 24 giugno 2012

La montagna

Non ero mai stato in Valle d'Aosta. Qualche settimana fa, durante il ponte del primo maggio, siamo andati a vederla. Maria Luisa l'aveva già visitata tante altre volte, anche in gita scolastica con i suoi studenti, quindi è stata di valido aiuto nel programmare le escursioni da fare, le cose da vedere. Nonostante il tempo non sempre all'altezza delle nostre aspettative e dei nostri desideri, la vacanza è risultata veramente rilassante e gradevole. E' probabile che ci torneremo ancora perché in tre sole giornate non abbiamo di certo esaurito tutte le possibili escursioni. Eppoi sono ancora numerose le fortificazioni ed i castelli che non abbiamo visitato, vuoi per mancanza di tempo, vuoi perché interdette all'accesso causa lavori di restauro in corso.

In un paesino poco fuori dal capoluogo regionale, dopo essere entrati in una enoteca come attività di ripiego per l'ennesima visita andata a vuoto, mentre tornavamo all'auto, abbiamo avuto modo d'incrociare, comodamente seduto su una panchina all'ombra, un brillante vecchietto che un po' sfacciatamente si è rivolto a noi chiedendoci da dove venivamo. Lì per lì siamo rimasti un tantino spiazzati dal suo modo di fare. Ma poi, non avendo nulla da temere, abbiamo acconsentito di buon grado ad un breve scambio di batture raccontando donde venissimo. Ma il simpatico nonnetto sembrava più interessato a narrare la sua storia che stare a sentire la nostra e così, dopo un breve accenno riguardo alle bellezze di quel luogo, senza che ci fosse stata da parte nostra alcuna richiesta in tal senso, cominciò il suo lungo racconto.

Quand'era più giovane, evidentemente molti anni fa, non c'era tutta questa grande passione per la montagna. L'alpinismo non era ancora una disciplina così affermata e diffusa. Intendiamoci bene, di gite in montagna se ne organizzavano anche allora, ma in quelle ascese non c'era nulla di metodico e ben pianificato. Erano più un passatempo estemporaneo, quasi una sagra di paese per stare in lieta compagnia. E non si era per nulla attrezzati. Si partiva per un'escursione senza avere l'abbigliamento adatto. Però, mentre l'anziano seguitava a raccontare, talvolta fermandosi un attimo per mettere bene a fuoco i ricordi, a me veniva da pensare che anche oggi può capitare di vedere qualche sprovveduto arrampicarsi senza neppure un paio di scarpe adatte. Tempo fa addirittura m'è capitato d'imbattermi in una signora che procedeva malsicura su per un erto sentiero con tanto di tacchi a spillo. Chissà dove aveva intenzione di andare così temeraria...

E dopo una momentanea divagazione stimolata da spontanee associazioni d'idee, torno nuovamente a prestare attenzione al discorso di quel simpatico vecchietto. Mi pare di scorgere una luce nuova nei suoi occhi: si capisce che il racconto lo appassiona ed è più l'attenzione di Maria Luisa che la mia a tener ben vivo il suo entusiasmo. Mi devo essere perso qualche pezzo, ma poi riesco a capire che un giorno d'estate hanno organizzato un'ascesa di massa, non so per quale festeggiamento o celebrazione. Partivano tutti un po' baldanzosi, senza troppi generi di conforto al seguito. Addirittura alcune dame ascendevano in abito lungo con tanto di ombrello parasole, così come vi potrebbe capitare di vederle in un quadro dell'impressionismo francese. Non mancava neppure qualche cagnetto tenuto debitamente al guinzaglio.

Ben presto però il gruppo cominciò a sfaldarsi. Alcuni di loro sembrava non avessero mai preso sul serio l'impresa. Partecipare o meno, per loro era la stessa cosa e quindi presto girarono i tacchi e ridiscesero a valle. Ve n'erano poi di quelli con il fiato corto che subito si stancano ed al primo spiazzo ne approfittano per fermarsi. Panchine allora non ve n'erano. Bastava un semplice masso per prolungare un po' la sosta. E non servivano gl'incitamenti di quelli che procedeva più avanti. Lasciavano diventar freddo il sudore e così mancava loro la voglia di proseguire. Al contempo c'era anche chi si era messo in cammino con uno slancio particolare, ma poi, esaurita ben presto la spinta iniziale, cominciava a procedere con affanno e sempre più ansimando decideva infine di arrestare di colpo la propria marcia. Ad uno di loro andò pure via la voce quasi completamente, tanto l'affanno respiratorio era stato intenso.

Quando ancora si procedeva nella folta vegetazione boschiva, poco mancò che uno si cavasse un occhio con il ramo ripiegato da chi procedeva dinanzi a lui. Non erano molti quelli che s'erano presi al seguito qualcosa da mangiare: un pezzo di formaggio, del salame, un po' di vino. Ma poi quest'ultimo, oltre a rallegrare lo spirito, finiva col tagliare le gambe e la comitiva inesorabilmente pativa un'ulteriore defezione. Non era una vera e propria gara alla volta della vetta, ma a chi avesse avuto modo di assistervi da lontano, sarebbe anche potuta apparire come la corsa per la conquista di un lembo di terra nel lontano West. Ad un certo punto quasi si è sfiorata la tragedia. Durante uno stretto passaggio fra due spuntoni di roccia, un ragazzo scivolò e nel tentativo di sorreggerlo, un signore attempato mise un piede in fallo e precipitò in basso.

Alcuni ritornarono di corsa a valle per chiedere soccorso, ma i più, quasi incuranti della necessità d'aiuto, proseguirono imperterriti, forse anche perché già molto avanti e per nulla desiderosi di tornare indietro. Ma le lunghe ore di cammino e la fatica cominciarono a farsi sentire anche per i più ardimentosi e vigorosi. Presto le scorte d'acqua finirono ed ormai si era troppo in alto per trovare ristoro in qualche rigagnolo naturale. Il sole, che aveva bruciato numerosi visi quel giorno, già calava all'orizzonte. Sulla cima ne arrivò uno solo, ma la gioia fu di breve durata. La mirabile visione di quei luoghi visti dall'alto non compensava il dispiacere di esserci giunto da solo. Vinto dalla fatica si accasciò lì sulla vetta e, trovando riparo fra alcuni massi, trascorse la notte nel siderale silenzio.

sabato 16 giugno 2012

La settimana prima degli esami


Oramai ci siamo. Settimana prossima toccherà anche a mia figlia Alessandra sostenere l'esame di maturità. E così, tutto il suo gran daffare per rifinire la tesina e completare gli studi della scuola superiore, è per me un'ottima occasione per volgere lo sguardo indietro di oltre trent'anni e ripercorrere con la memoria alcuni di quei momenti in cui anch'io mi trovavo nella sua stessa situazione.

Ci sono cose che ci accomunano, ma tantissime che ci differenziano e non solo a motivo del lungo tempo trascorso. Il calendario scolastico era diverso e l'esame di stato veniva collocato qualche giorno più avanti lasciandoci un maggiore stacco fra la fine della scuola e la prima prova scritta. Con tutto questo avvicendarsi di riforme a cui abbiamo assistito in questi decenni, ci sarebbe da meravigliarsi se qualche cambiamento esteriore non fosse così tangibile. Non voglio entrare nel merito e formulare un giudizio riguardo a ciò che è stato fatto: se era meglio prima oppure adesso, e quindi mi asterrò.

A differenza di mia figlia che dovrebbe essere momentaneamente libera da impegni affettivi particolari, io invece avevo conosciuto da poco Santina. Mi sembra abbastanza ovvio che la mia concentrazione fosse totalmente rivolta a lei più che allo studio e quindi la mia preparazione mancava di quel "mordente" che avrebbe dovuto avere per ben impressionare la commissione d'esame.

Il tema d'italiano da me scelto riguardava i mezzi di comunicazione sociale. Stesi un componimento formalmente corretto, senza infamia ma anche senza lode. Il giudizio dato dal presidente sul mio elaborato fu lapidario: "troppo ingenuo". Non ebbi la forza di obiettare nulla. Forse anche perché reputai che quell'insegnante di filosofia avesse colto nel segno. Come dargli torto? Non molti giorni prima c'era stata la tragedia di Vermicino a cui tutti avevamo assistito attoniti in quella interminabile diretta televisiva. Tutto il palinsesto della RAI veniva sovvertito per dare modo all'Italia intera di essere compartecipe ai tentativi, risultati poi vani, di salvare il piccolo Alfredino Rampi.

Il tema d'italiano poteva essere un'ottima occasione per parlare anche di queste cose, di come il mezzo televisivo poteva essere alla base di un condizionamento globale come di fatto sarebbe poi avvenuto con la TV commerciale a partire dal successivo decennio. Più avanti negli anni, quando reggevo ancora il mio primogenito Andrea in braccio, mi resi conto del grande cambiamento di mentalità che la televisione privata stava apportando al mio stesso modo di pensare. Completamente imbottita di ammiccante pubblicità, lentamente mi trascinava verso una sorta di apatia e svuotamento morale. L'unica etica propugnata subdolamente era quella del consumismo più sfrenato per inseguire una felicità effimera.

Da parecchi mesi ormai siamo passati alla TV digitale. Innegabilmente, oltre alla migliore qualità dell'immagine, sono per me aumentate le possibilità di fruizione di trasmissioni culturali e non solo di svago. E così, quando raramente torno a quardare qualcosa su reti private, mi rendo conto di essermi "disintossicato" e di non riuscire più a sopportare benevolmente tutte quelle interruzioni pubblicitarie.

La generazione dopo la mia, quella dei miei figli, ha fatto il salto prima di me. Sono anni che Andrea ed Alessandra non si siedono più con noi sul divano per vedere la TV. Ora ci sono internet ed i nuovi media che li portano lontano. La mia speranza è che siano riusciti o che riescano a sviluppare ben prima di me quel senso critico di approccio alle cose. A volte affacciarsi alla vita con una grande dose d'ingenuità aiuta a vivere meglio. Altre volte ne favorisce l'annullamento.

venerdì 15 giugno 2012

Mediocrità italiana

E come la nostra nazionale di calcio che si accontenta di pareggiare, anche noi non siamo più una nazione di navigatori, santi ed eroi. Mediocre è la classe politica che ci governa, ma la base non è da meno, cresciuta in tutti questi anni alla scuola del disimpegno e dell'indifferenza.

Dovrà passare almeno un'altra generazione per vedere le cose cambiare in meglio. Oh, sì! Poi le cose cambieranno in meglio.


domenica 10 giugno 2012

Teoria del mondo imperfetto


Venerdì, poco prima di cena, sono passato un attimo a trovare mio padre. Dovevo portargli il modulo F24 per il pagamento dell'IMU da far avere a mio fratello, ma anche restituirgli l'ombrello che aveva "smarrito" nella mia auto qualche settimana fa, quando siamo scesi a Cremona per la festa della mamma. Il giorno successivo mi aveva chiesto che fine avesse fatto il suo ombrello, dato che non se lo ritrovava più per casa. Ho insistito perché guardasse meglio fra le sue cose, visto che mi pareva di ricordare che l'avesse preso con sé quando era sceso dall'auto. Però, siccome poteva anche essere rimasto nella mia macchina, avrei controllato meglio. Ma dell'ombrello nessuna traccia ed allora mio padre, per nulla sprovvisto di altri parapioggia, deve averlo dato per perso.

L'altra sera, mentre facevo manovra in retromarcia per mettere l'auto in garage, noto una cintura posteriore un po' fuori posto. Precisino come sono, fatico un po' ad accettare che le cose siano disposte come non dovrebbero e quindi apro la portiera posteriore per srotolare la cinghia. Così facendo mi scappa l'occhio e dietro il poggiatesta di uno dei sedili posteriori scorgo un manico d'ombrello. Di primo acchito credo che sia il mio. Ma poi, pensando che non poteva essere così ben visibile dal vano bagagli, allungo la mano e con grande sorpresa estraggo il redivivo parapioggia di papà.

Me n'ero andato in giro per tutto quel tempo senza accorgermene. Se c'è qualcuno che sta perdendo i colpi, di certo non è mio padre che, a onor del vero, a motivo della sua età avanzata, ne avrebbe tutte le ragioni. E così, quando sono andato da lui per portargli il suddetto modulo di versamento per Matteo, gli ho riportato anche il suo ombrello. Tutto intento a grattugiare un po' di formaggio per la sua minestra della sera, non ha inizialmente dato troppo peso al rinvenimento, ma poi con un sorriso eloquente mi ha fatto capire che non riteneva di essere ancora rimbambito del tutto.

E così ho avuto modo di scorgergli in bocca un altro dente rotto. Quest'autunno scorso gli si era spezzato un incisivo, ma lui non se ne dava troppa pena. Io invece ho insistito perché prendesse appuntamento con il dentista ed andasse a tappare quella finestrella aperta sulla sua bocca. Ho addirittura cercato di usare le parole di mia madre per convincerlo. Se ci fosse mamma, gli dissi, ti avrebbe detto di andare subito a farlo aggiustare perché così non le saresti piaciuto. Mio padre non aveva fretta e mi disse che verso la fine dell'inverno, a febbraio oppure a marzo, ci sarebbe andato. Ed è stato di parola.

Dopo 85 anni, i denti che s'è portato in bocca per tutto questo tempo, hanno tutte le ragioni di sfaldarsi, ma io fatico a vederlo in questo stato, nonostante non mi scomponga minimamente per magagne maggiori che possono colpire altre persone vicine. Questa volta il dente rotto è un po' di lato. Quando aveva sistemato l'incisivo l'aveva fatto notare alla dentista, ma lei aveva affermato che quel dente non sarebbe durato a lungo ed infatti così è stato.

Vorrei che la bocca di papà fosse a posto come sempre, ma in questo ha ragione lui: bisogna imparare ad accettare il proprio inesorabile disfacimento. Tutto sommato sono stato più tollerante nei miei confronti quando, non ancora ventenne, ho dovuto rinunciare al mio primo molare e dopo alcuni anni anche al secondo. C'è stata una leggera migrazione dei denti adiacenti così col tempo le fessurazioni nascoste si sono quasi completamente occluse.

Come al solito ho divagato molto su alcuni aspetti collaterali parlando poco di altre precarietà esteriori. Come ad esempio di alcune cerniere rotte del mobilio di casa che attendono ormai da anni di venir rimpiazzate. Basterebbe fare un salto in un magazzino di bricolage per acquistare quanto serve a rimettere in sesto alcuni antelli che non si chiudono più alla perfezione, ma che ogni giorno con pazienza ci ricordano il loro stato. Dovrei cambiare anche il tubo della doccia e  potrebbe essere quella l'occasione buona per un rimpiazzo generale. E così passano i giorni, i mesi, gli anni.

Nel frattempo, mentre me ne vado al lavoro con l'auto a cui è stato riparato il motore dopo la rottura prematura della cinghia della distribuzione - sicuramente a causa dei postumi per l'allagamento del garage - penso che le cose perfette non durano tanto a lungo. Lo sono per un attimo, quando sono nuove e le abbiamo appena acquistate, ma poi si danneggiano e nonostante questo riusciamo a trarne beneficio per un lungo tempo.

Come la torre di Pisa che fa dell'imperfezione la sua essenza naturale e ci pare più bella di tante altre opere che non si sono guastate strada facendo. Ed è così che nasce spontanea dentro di me la teoria del mondo imperfetto. La vera perfezione è questa.