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lunedì 18 aprile 2016

La decima lettera

Roseto 19 giugno 2006 13:43

Maria Luisa amore mio,
come tante cose che hanno una fine, anche queste lettere si stanno esaurendo. Sentirò la nostalgia di questo momento che mi ritagliavo tutto per me e che passavo qui su questo tavolino mettendo i miei pensieri in comunione coi tuoi. Ieri sera sono asceso a Monte Pagano, come già sai, e ti avevo promesso di scrivertene un poco. Mentre terminavo la cena pregustavo il momento in cui avrei indossato calzini e scarpe più adatte e mi sarei messo in cammino.

Con circospezione sono uscito dall'albergo ed attraverso le vie interne ho raggiunto la via che porta a Colle Patito. Sono passato sotto la ferrovia. Un nuovo sottopassaggio che hanno prontamente imbrattato con la scritta: "Io e te tre metri sopra il cielo". Andrea quando l'ha letta di ritorno da messa voleva cambiarla in : "Io e te tre metri e quaranta sotto il treno" visto che è quella l'altezza indicata per i veicoli in transito. Non ho potuto fare a meno di ridere per la sua arguzia e l'avrei forse aiutato, se il mio senso civico non me l'avesse impedito.

Arrivato sul limtare del paese, proprio dove comincia questo sentiero di ciotoli cementati, ti ho spedito un SMS che annunciava la mia ascesa e la volontà di chiamarti appena raggiunto un comodo spiazzo. Siamo in giugno e quindi le giornate più lunghe rispetto ad agosto mi hanno consentito di scorgere meglio il paesaggio circostante.

Il colle è abbastanza desolato. Il sentiero non è costeggiato da alberi e quindi chi volesse salirvi in pieno giorno sarebbe costretto ad una martoriante arrampicata con rischio d'insolazione. Ma la sera è per me qualcosa di alquanto piacevole. Mentre sali ed i tuoi pori emettono sudore ed il battito del cuore si fa più intenso, osservi le minuscole biche di montaliana memoria che sono disseminate lungo il cammino e tutte prese dalla loro fervida attività non si curano del viandante che rischia di pestarle.

Ogni tanto incrocio qualche lumaca senza guscio che se ne va a zonzo senza meta o semplicemente vuole arrivare dall'altra parte del sentiero. A tratti mi volto e vedo le case diventare piccine. C'è ancora troppa luce e quindi manca la magia delle luci notturne che conferiscono al paesaggio un look da presepe. Salendo fiancheggio un campo di frumento o forse d'orzo. Poi osservo meglio la spiga e son convinto che si tratti proprio di frumento. Avrei voglia di afferrare la spiga, ma in quel tratto uscire dal sentiero non è così agevole e quindi desisto. Penso al contadino che non avrebbe piacere che io defraudi le sue messi.

La stradina si fa spesso stretta e sommersa dalle numerose erbacce. Avrebbe proprio bisogno di una ripulita. Ogni dieci metri circa ci sono torrette che dovrebbero contenere lampade per illuminare il percorso di notte. Molte sono danneggiate, alcune hanno fili esposti. Gentaglia! Non ha altro di meglio da fare che devastare la cosa pubblica e non credo proprio per creare un clima di eventuale privacy per coppiette. Gli amanti all'acqua di rose non scelgono erte impervie per le loro coccole. Sicuramente lavoro di annoiati ragazzacci che amano veder spegnere quei fari nella notte abbattuti sotto i colpi di qualche loro sciagurata sassaiola.

Arrivo quasi in vetta a Colle Patito. Ne scorgo la croce in metallo attorniata da alcune antenne di media od operatori telefonici. Calpesto le erbacce dintorno ad una colonna e con breve balzo poso i miei glutei su di essa. Ti chiamo e per oltre mezz'ora abbiamo una piacevole conversazione, come sempre, interrotta soltanto da una momentanea caduta di linea. Ci congediamo e riprendo la salita. Scorgo quasi subito un'altra panchina dove potevo stare più comodo. E' vicino ad un'abitazione, ma in questo momento mi pare disabitata. La nostra intimità non ne sarebbe stata compromessa.

Il sentiero termina e si congiunge con una stradina asfaltata che porta, via cimitero, al paese di Monte Pagano. Sta facendo buio e fiancheggio una siepe ben curata. Alcune lucciole mi accompagnano. Avrei voglia di catturarne una. Ci provo. Poi penso che hanno il diritto alla loro libertà e lascio perdere. Piccoli esserini in amore. Chissà se anch'io emano un'aura visibile?

In breve raggiungo il cimitero dislocato sotto il paese. La fantasia corre ed immagino d'imbattermi, fra i cespugli, in un cadavere. In tal caso avrei prontamente chiamato il 112 e fatto il mio dovere di cittadino. Raggiungo l'abitato nella cosidetta zona del "Belvedere". Da lì infatti si gode una magnifica vista su Roseto. Attraverso le strette vie che portano alla piazza centrale dove troverò un bar e potrò ristorarmi con una bevanda.

Le case sono in mattoni tipici del posto. Non rossastri, ma color sabbia, simil tufo. Per terra scorgo dapprima disordinati petali poi altri disposti più regolarmente a forma di croce. Ne trovo ogni dove e non so spiegarmi il motivo. Poi chiedo al barista che si dichiara, mestamente, cristiano poco praticante e dice che c'è stata la processione del Corpus Domini. Ne convengo: è quello sicuramente il motivo.

Mi siedo un attimo sui tavolini di plastica all'aperto, sorseggiando l'acqua tonica e mentre rumorosi mocciosi giocano a fianco con i loro moderni cellulari, io col mio antidiluviano ti mando un breve SMS che testimonia il tragitto fin lì fatto. Ritorno nel bar per posare il bicchiere, pagato avevo già all'inizio e quindi saluto il solitario barista. Riprendo felice la via del ritorno attraverso quelle deserte calli che tanto mi ricordano il paese natio di mio padre, su in montagna.

Prima di raggiungere nuovamente il Belvedere sento scendere dalle scale di una casa una persona. La scorgo: una signora che mi vede e gentilmente saluta. Contraccambio e proseguo alambiccandomi in qualche pensiero. Avrei potuto scambiare quattro parole, ma la natura timida del mio animo ha fatto scivolar via quella tenue possibilità.

Lasciato il cimitero sono nuovamente lungo la stradina buia. Ogni tanto alzo lo sguardo in cielo e scorgo alcune stelle. Odo alcuni rumori ed un frusciare nel campo di fianco. Sembra un grosso animale, forse un cane, ma non odo nessun latrato. Un fremito mi percorre le viscere e mi stupisco di essere colto da brividi quasi infantili. Penso ad improbabili cinghiali e fiducioso seguito nella recita del rosario che avevo iniziato lasciando il paese.

Arrivato a Colle Patito non mi è difficile imboccare il sentiero, anche se l'illuminazione è scarsa. Penso di aver fatto bene a non insistere che i ragazzi mi seguissero. Loro saranno comodamente sul lungomare in compagnia di Francesca, Eleonora e rispettive madri. Oggi a pranzo scopro che hanno parlato della mia escursione e la madre di Francesca, Angela, mi prega di salire ancora. Vuole venire anche lei.

I nostri figli, vista la fatica che li attende non paion colti d'entusiasmo. Neppure io in verità. E' stato un momento magico per me, in cui mi sei stata dolce compagna, anche in voce, ma soprattutto in pensieri e non muoio dalla voglia di "contaminarlo" con presenze estranee. Vedremo. Sono stato possibilista, così tanto per non essere scortese ed indelicato.

Stamane non è stata una gran bella mattinata. Il sole non si è quasi mai visto. Poi a pranzo qualcosa di meglio senza un vero e proprio sereno. Ora il cielo è tornato a velarsi. Il bagnino dice che comunque non dovrebbe piovere, ma forse la sua è un'affermazione interessata. Ricevo i tuoi SMS con l'entusiasmo per la pasta al forno della mamma ed altri dettagli tecnici sugli esami che si stanno tenendo a scuola.

Nonostante le numerose cacofonie e ripetizioni di termini, presenti in questa lettera, si dovrebbe capire dal periodare che chi ti scrive è un uomo felice ed immensamente grato per quanto la vita gli sta riservando. Tu in questo hai ampio merito. Ti stringo forte al cuore e mi congedo amore mio.
Tuo per sempre, Romano.

lunedì 11 aprile 2016

La quarta lettera

Roseto 13 giugno 2006

Amatissima Maria Luisa,

anche se sento un po' di sopore, torpore o rallentamento metabolico che dir si voglia, sicuramente legato al desinare ed al goccetto di rosso che l'ha accomapagnato, non ho voglia di coricarmi. Mi sono sistemato in terrazza da cui scorgo per ampio tratto il mare a perdita d'occhio. E' di un azzurro carico leggermente sconfinante nel verde smeraldo. Le onde vanno pigramente a morire sull'arena. I lidi sono disertati e pochissime imbarcazioni si possono scorgere all'orizzonte.

Sono sistemato su un tavolino ed odo provenire dal corridoio lamenti di bimbi recalcitranti che le madri vorrebbero coricare per il riposino di entrambi. Uno stato di benessere diffuso ci pervade e di cui più e più volte sono tornato a sottolineare in questi giorni. Ho messo il cellulare in ricarica come non ricordo il tempo per la frequenza. Solitamente passavano mesi fra un attacco e l'altro alla presa di corrente. Come possono repentinamente cambiare le abitudini.

Questi mutamenti sono per me ben accetti. Mi rendo conto che il nostro rapporto costringe anche te a numerosi giochi d'equilibrio per incastrare le numerose incombenze del vivere quotidiano con tempi e modi da ritagliare sulle esigenze di entrambi. Un po' come una gravidanza. Quello che ti cresce dentro costringe a far spazio, a mutar d'abito, d'alimentazione. Cambia l'abitudine al sonno e tante altre cose che non sto qui noiosamente ad elencare. Una nuova vita è esigente. Se la si accoglie, chiede a te tante energie, te le succhia dal di dentro e tu ben volentieri accetti questo impoverimento per far posto ad un altro io. Un altro tu che prende posto su questo suolo, con le sue aspirazioni, desideri e progetti per il domani.

Altra immagine a cui mi piace paragonare l'amore di un uomo e di una donna è una piantina. Debole, bisognosa di cure ed amorevoli attenzioni. Se la si accudisce cresce presto robusta e rigogliosa. Fa bei frutti dai fiori di lì a poco sbocciati. Ma se la si trascura, se ci si distrae, come i pochi vasi del mio appartamento, dopo un po' ingiallisce, le foglie seccano ed i rami presto si spogliano. Il lavoro e la cura come giardiniere dev'essere piacevole, quasi spontaneo. Richiede dedizione costante ed occhio allenato per cogliere in tempo i segni di appassimento. Non bisogna lasciar mancare l'essenziale acqua, né darne troppa altrimenti, come ben sai, marcisce.

Ma l'amore, seppur paragonabile ad un fiore, non è una pianta. E' qualcosa che ha la possibilità di rinascere anche quando inevitabilmente avvizzito o soffocato da preoccupazioni esterne. Mi rendo conto che il discorso potrebbe apparirti alquanto ermentico. Cosa avrà voluto dire Romano in questi passaggi? Tieni bene in mente che sto lasciando libera la penna di scorrere dove vuole maldestramente guidata da una sonnecchiante volontà. Non dare un peso ed un valore assoluto alle mie affermazioni. Accettale così come sono.

Come pensieri sciolti che ti giungono di lontano, ma dolcemente sussurrati da dietro la nuca come se io fossi lì accanto a te. Con la mano che ti solleva mestamente le tue lisce ciocche e con le labbra che dolcemente ti baciano il collo proprio lì dove si congiunge alla spalla. Ti ho stretto fra le braccia troppo poco per sentire la sazietà di quei teneri gesti. Mille carezze ci attendono ancora. Il tuo fisico tonico e possente suscita nel mio il desiderio di un approdo sicuro e foriero di dolci sensazioni.

Credo di lasciarmi andare un po' troppo ad immagini languide, ma siamo anche questo. C'è comunione d'animo, ma sento anche quell'attrazione fisica di cui avevo bisogno per sentirmi davvero investito da un amore totalizzante. Non hai bisogno di ribattere molto. Mi par di vedere i tuoi occhi brillare della medesima luce. Mi dicesti al telefonino che, pur fra mille incombenze, torni presto a rifugiarti nel pensiero di me per trovarne ristoro. Quanta bellezza in tutto questo.

E' naturale sentirsi così e la meraviglia è che questo non ha limite d'età. Il nostro cuore batte come giovinetto pur avendo già spinto avanti molto sangue in tanti giorni felici ed in altri meno lieti. Ma poi, quando ti è concessa la grazia di poter vivere un amore pieno, tutto si trasforma. La sofferenza patita svanisce, le pene che ancora verranno non faranno più paura perché una nuova benedizione ci accompagna. Abbiamo poi l'età per vedere le cose come davvero sono, per non crearci false illusioni e per continuare a camminare coi  piedi per terra 'che non sarebbe giusto, né salutare proseguire con la testa nelle nuvole come immancabilmente in tanti di questi momenti possiamo scoprirci ad incedere.

Ritorno a dire, ancora una volta, costruiamo prima un "noi" forte, lavoriamo per una piena e vera sintonia su cui poggiare l'armonia degli anni futuri che verranno, quanti Dio vorrà concedercene, senza pretesa, non senza l'intelligenza necessaria che non ci porti a sprecarli. A non lasciarci vivere, più che a vivere il nostro tempo. Sicuramente verranno anche questi momenti di "stanca" in ci si lascerà un poco andare e tutti i bei proponimenti iniziali sembreranno ormai decaduti. Uno di noi due, almeno, se ne ricordi e sia stimolo all'altro per riprendere quel cammino interrotto.

Si deve tendere alla meta. Come quando in montagna si punta alla vetta. Ma l'impresa non deve essere troppo ambiziosa e fuori dalla portata. Una volta scelto l'obiettivo da raggiungere perseguiamolo alacremente e di comune accordo. Qualche volta sarà uno a fare l'andatura e l'altro a seguire, in un continuo scambio di ruoli alla testa della marcia. L'importante però è avere questa passione comune per l'ascesa. Senza questa si finisce per maledire la fatica e si rimpiange il tranquillo bassopiano.

Queste immagini alpestri sono forse un contrasto eccessivo per questi luoghi. In realtà anche qui il paesaggio è vario. Non distante si staglia il massiccio del Gran Sasso. Bella questa varietà orografica. La bellezza, quella vera, sta proprio nella diversità e varietà di possibilità, per la vita, per le persone, per le cose.

Eccomi anche oggi giunto in fondo. Poi rileggendo mi accorgerò di aver sciorinato un bel polpettone. Ci può stare anche questo. E' parte del mio carattere. Non sono tutta perfezione, anche se cerco di profondere un costante impegno al miglioramento. Un abbraccio stretto, stretto ed un interminabile bacio senza fiato. Tuo Romano.