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sabato 25 maggio 2013

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Questo pomeriggio mi trovavo in cattedrale a Brescia per partecipare alla Cresima dei ragazzi della nostra Unità Pastorale. Eravamo entrati nel duomo con un certo anticipo, quando ancora molti banchi erano vuoti. Su ciascuno di essi vi era un fogliettino con l'indicazione della parrocchia assegnataria di quel posto. Dopo un breve zig zag sono riuscito ad individuare il luogo a noi assegnato. A fianco dei banchi vi erano pure delle seggiole con sopra un analogo foglietto, ma con l'indicazione che esse erano riservate ai catechisti.

Pensando che fossero destinate a noi, ho fatto cenno a mia moglie di sederci lì. Intanto la chiesa cominciava a riempirsi e gruppi sempre più folti di ragazzi, genitori e parenti confluivano dentro quella grande casa comune. Contando le seggiole però qualcosa non mi tornava. Erano soltanto quattro e mi sembrava strano che avessero previsto un posto anche per noi proprio lì vicino ai cresimandi.

Dopo qualche altro istante di attesa, ecco giungere anche il gruppo della nostra parrocchia. Li vedo un po' smarriti e confusamente trovano posto nei banchi affiancati dai rispettivi padrini e madrine. Nel gruppo scorgo anche la catechista e gli assisenti più giovani che hanno accompagnato i ragazzi in tutti questi anni. Sono quattro, come le seggiole riservate, di cui noi ne stiamo occupando due. Capisco che c'è un errore. O meglio, che abbiamo commesso uno sbaglio sedendoci lì in quel posto ed allora invito Maria Luisa ad alzarci e a spostarci più a lato dove nel frattempo han preso posto anche i genitori ed altri parenti.

Prima di abbandonare definitivamente le seggiole faccio un cenno agli assistenti ed indico loro dove possono sedersi. Poi noi ci ritiriamo in buon ordine cercando, se possibile, un altro posto dove metterci a sedere. Non è rimasto che l'ultimo banco in fondo. Sul lato dello schienale, invece del semplice inginocchiatoio, vi è anche un ripiano a mo' di panca che va benissimo per non dover assistere in piedi alla cerimonia.

A Maria Luisa pare strano di dover dare le spalle al centro della cattedrale. In effetti lo è un po' anche per me, ma non più di tanto perché lì siamo proprio di fronte all'altare del Santissimo e quando staremo seduti, in realtà volgeremo lo sguardo a Lui ed avremo il privilegio di stare proprio in prima fila.

Inizia la funzione ed i prelati, fuoriuscendo dalla sacrestia, in breve processione passano proprio davanti a noi. Lì in mezzo a loro c'è anche il Vescovo e pertanto possiamo vedere il suo passaggio da vicino e scambiare un sorriso con il sacerdote che ci ha aiutato nel preparare gli incontri in cui noi siamo stati gli accompagnatori dei genitori dei ragazzi.

Durante l'omelia monsignor Vescovo ci parla di Giovanni, l'evangelista, che ha scritto le parole di Gesù riguardo all'amore del Padre. Chi vede Lui vede il Padre perché i due sono una cosa sola. E come in un libro bilingue possiamo capire il messaggio steso in un idioma per noi sconosciuto, così ora noi possiamo conoscere Dio, che non vediamo, per le opere e le parole di suo figlio che è venuto in mezzo a noi e ci ha mostrato il Padre.

Mentre il Vescovo seguita nell'esposizione della sua riflessione, usando immagini semplici per farsi comprendere bene dai più piccoli, senza per questo risultare banale o scontato per gli aduti, per un istante mi sfiora il pensiero d'incontrare Dio e di vederlo faccia a faccia. E la cosa mi pare sorprendente e sconvolgente al tempo stesso, così che tutto il resto ormai non conti più.


venerdì 17 maggio 2013

Io non sono come James Bond

Il titolo di questo post è una fin troppo facile parafrasi del film che mia moglie ed io abbiamo visto in settimana a Cremona. "Noi non siamo come James Bond" non è di certo una pellicola destinata al vasto pubblico, ma più propriamente può trovare la sua giusta collocazione in una rassegna cinematografica dedicata a spettatori dal gusto particolare che non disdegnano degustazioni di frontiera.

Fin dalle prime sequenze si ha l'impressione di assistere ad una sorta di documentario introduttivo all'azione filmica che dovrà svolgersi successivamente. In realtà ci si trova ben presto immersi nelle vicende personali dei due protagonisti - di cui uno è il regista stesso - che, riprendendo in mano un vecchio progetto, tentano di mettersi in contatto con Sean Connery, l'attore che sicuramente ha interpretato meglio e con più successo il ruolo di James Bond.

Attorno a questo debole filo conduttore, che si dipana come una sorta di auto intervista, emerge ben presto il tema della malattia e della prodigiosa guarigione di cui entrambi i protagonisti han fatto esperienza nella vita reale. Il film vien quasi a colmare un vuoto di senso dell'esistenza di cui improvvisamente si prende coscienza nel momento in cui una leucemia ed un cancro investono prima uno e poi l'altro dei due interpreti.

Come vien detto brevemente in alcune sequenze, in questa rappresentazione, più che tentare di dare delle risposte emerge tutta una serie di domande aperte al libero contributo individuale dello spettatore.

Il tentativo è lodevole, ma in alcuni passaggi - a mio modo di vedere - si procede fin troppo speditamente e i protagonisti perdono l'occasione per arrivare in maniera più profonda ed incisiva al nocciolo della questione. Come rapide pennellate che lasciano i contorni non ben definiti ed i tratti fin troppo sfumati. E così, dal crescendo iniziale denso di aspettative e ricco di filoni narrativi tutti equamente possibili, si arriva nel finale ad una sorta di tono minore che lascia in bocca il sapore dell'incompiuto.