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domenica 25 novembre 2012

Passato il giorno

E' passato il giorno, ma non mi sembra giusto procedere oltre senza intrattenermi un poco con te in breve conversazione.

Lo sai che Maria Luisa mi dice spesso che le dispiace di non averti potuto conoscere più a fondo, quando ancora eri nel pieno delle tue forze? "Chissà se le sarei piaciuta?" mi domanda ogni volta che le racconto qualcosa di te oppure che ti prendo a modello per questa o quella cosa. Eh sì, ne sono convinto. Vi sareste volute bene come vien facile alle persone buone fatte della vostra stessa pasta.

Ed a proposito di pasta, oggi che eravamo a tavola tutti assieme per festeggiare la Cresima di Raffaele, di fronte ad un ottimo piatto di tagliatelle, nonna Maria ci ha ricordato di quando impastavi le tue e gliene portavi un po' affinché lei le potesse cucinare per i suoi e tuoi nipoti, Andrea ed Alessandra. Di cose ne avevi tante da fare, ma riuscivi sempre a trovare un po' di tempo per qualche buon piatto che dispensavi con generosità.

Come quando facevi gli gnocchi là su in montagna a Livemmo e poi, una volta cotti ed uniti al tuo impareggiabile ragù, mi spedivi giù per il paese a portarne un piatto fumante per la tua amica Lisa. Con generosità dispensavi, con gratitudine accettavi quanto gli altri donavano a te e mi dicevi: "A star si secca, ad andar si lecca". Proverbio che non ho mai udito altrove, se non sulle tue labbra.

Ma di certo tu non andavi incontro agli altri per un tornaconto immediato. Ti bastava portar loro un sorriso e ricevere in cambio il loro. "En piàt de bùna cera" era quanto ti bastava come gesto di ospitalità, se passavi a salutare qualcuno dei tuoi fratelli e lo sorprendevi ancora a tavola.

Non hai mai pensato che la vita fosse facile. Presto ti alzavi la mattina e tardi andavi a letto la sera. E non senza aver sistemato tutto quello che avevi in animo di fare. Ma come facevi mamma? Quante energie avevi, sia fisiche che mentali. Sapevi piangere nel dolore, ma non per questo ti scoraggiavi e guardavi sempre con fiducia al tuo domani. Il tuo scopo era tutto qua: fare il tuo dovere per il bene di tutti e per te prendevi quel tanto che ti bastava e solo dopo aver servito gli altri.

L'abbiamo scritto sulla tua lapide, ma è bene rammentarcelo ancora. Grazie per il dono della tua vita.


sabato 17 novembre 2012

Pomeriggio di novembre




Sono appena rientrato a casa dopo una breve uscita per andare dal mio barbiere a farmi sistemare i capelli. Di solito li lascio crescere anche di più, senza farmi troppo infastidire dai ricciolini che si formano sopra le orecchie. Questa volta però ho voluto anticipare un po' i tempi perché domani dovrò partecipare ad una messa con mio nipote che mi ha scelto come padrino per la cresima. Celebrerà i sacramenti settimana prossima, ma questa domenica c'è un incontro preliminare con seguito conviviale in oratorio.

In realtà nel pomeriggio me ne sarei andato ben più volentieri a fare due passi con Maria Luisa approfittando del tiepido sole di oggi. La mia capigliatura avrebbe anche potuto aspettare settimana prossima per un intervento di sfoltita. Ma ahimè la pigrizia ha prevalso e così sono uscito di casa rinunciando a quel poco di attività fisica che il mio corpo ormai cinquantenne reclama insistentemente ed io puntualmente disattendo. E non credo possa valere come esercizio fisico il cambio della lampadina del fanale anteriore dell'auto di mia moglie oppure le poche faccende domestiche di cui mi sono occupato stamane.

E' vero che a novembre le giornate sono già abbastanza corte, ma se l'ardore fosse stato sufficiente avremmo potuto fare una passeggiata al mio ritorno. Ed invece quando sono uscito dalla bottega del mio barbiere il cielo si era ormai già tutto ingrigito. Addirittura sembrava montare un po' di nebbia, ma l'inequivocabile odore di legna bruciata mi ha fatto pensare che in realtà si trattasse di fumo piuttosto che di condensa. E mentre torno lentamente a recuperare l'auto parcheggiata qualche via più in là, la mente mi fa tornare bambino quando abitavamo da queste parti e per venire a tagliarmi i capelli bastava muovere quattro passi fuori casa.

Percorrevo queste strade anche per recarmi alla scuola elementare. Il grande palazzo con le arcate a vela proprio sulla sommità del tetto è ancora lì che domina la via in cui ho lascito l'auto di Maria Luisa. Una recente ristrutturazione lo ha riportato al suo antico splendore come tante villette lì intorno che sono state riammodernate e così la città, pur restando sempre uguale a se stessa, in realtà vive una seconda giovinezza.

Quanti anni ormai sono passati da quelle rapide corse all'uscita di scuola per tornare in fretta a casa dove la mamma ci attendeva con la pappa pronta. Qualche volta però si sostava un attimo in più davanti alla vetrina di un negozio dove veniva esposta in questo periodo, fra le altre cose, anche la farina di castagne che a me in verità non è mai piaciuta granché. Le castagne vere, specialmente le caldarroste, quelle invece sì che riscuotevano il mio favore. Come pure le biglie colorate che sul finire dell'anno scolastico comparivano in mostra nello stesso negozio e che ora sfilo passandovi accanto velocemente in automobile e di esso mi resta soltanto uno sbiadito ricordo.

Il semaforo è ancora verde in fondo alla via. Con un colpetto deciso all'acceleratore riesco a passare anch'io prima che diventi giallo. Gli pneumatici da neve della C3 di Maria Luisa sembrano letteralmente incollati all'asfalto. Chissà se avremo tanta neve quest'anno ed io mi dovrò pentire di non averne ancora acquistato un paio per la mia auto. Già mi par di sentire le risate dei colleghi, casomai dovessi restar bloccato da qualche parte a causa del ghiaccio oppure, peggio ancora, se sarò andato a sbattere contro qualcosa.

Se avessi un camino, questo sarebbe il momento adatto per accendere il fuoco e trarne compagnia e consolazione. Ed invece eccomi qui alla scrivania di Alessandra e, approfittando della sua momentanea assenza, non ho altro di meglio da fare che mettermi ancora una volta davanti allo schermo di un PC e ricordare. Scrivi Romano, racconta qualcosa. Parlaci ancora di te e così un giorno, quando la tua memoria sarà un po' sfilacciata qualcuno potrà sottrarti un poco all'oblio rileggendoti queste parole.

venerdì 2 novembre 2012

La prova



Per aiutarvi propongo alcune riflessioni conclusive sul tema della prova.

1. La prova c'è e c'è per tutti, anche per i migliori. (...)
2. Dio è misterioso. Egli sa benissimo se l'uomo vale o non vale, lo sa prima di provarlo, eppure lo prova. (...)
3. L'atteggiamento a cui tendere nella prova è la sottomissione, l'accogliere e non il domandare. (...)
4. Nella prova corriamo anche il rischio della riflessione. L'uomo, per grazia di Dio, può rapidamente assumere l'atteggiamento della sottomissione, ma subito dopo sopravviene il momento della riflessione che è la prova più terribile. Il Libro di Giobbe si sarebbe potuto concludere alla fine del secondo capitolo, dimostrando che Giobbe aveva resistito perché il suo amore per Dio era vero, autentico. In realtà, bisogna attendere e la situazione concreta di Giobbe non è quella di chi se la cava con un sospiro, con una accettazione data una volta per tutte; piuttosto è la situazione concreta di un uomo che, avendo espresso l'accettazione, deve incarnarla nel quotidiano. Tutto questo dà adito allo sviluppo drammatico del Libro.

Talora noi sperimentiamo qualcosa di simile: di fronte ad una decisione difficile, a un gesto grave, li accogliamo presi dall'entusiasmo e dal coraggio che ci viene dato nei momenti duri della vita. Dopo un poco di riflessione, però, si fa strada un tumulto di pensieri e sperimentiamo la difficoltà di accettare ciò a cui abbiamo detto di sì. Questa è la prova vera e propria.

Il primo "sì" detto da Giobbe è proprio di chi istintivamente reagisce al meglio; la fatica è di perdurare per una vita in questo "sì" sotto l'incalzare dei sentimenti e della battaglia mentale.

La prima accettazione, dunque, che spesso è una grande grazia di Dio, non è ancora rivelativa completamente della gratuità della persona. Occorre che sia passata per il vaglio lungo della quotidianità.

La prova di Giobbe non è tanto l'essere privato di ogni bene e l'essere piagato, ma il dover resistere per giorni e giorni alle parole degli amici, alla cascata di ragionamenti che cercano di fargli perdere il senso di ciò che egli è veramente. Da questo punto la prova comincia a snodarsi dentro l'intelletto dell'uomo e la vera e diuturna tentazione nella quale anche noi entriamo e rischiamo di soccombere è quella di perderci nel terribile travaglio della mente, del cuore, della fantasia.

Carlo Maria
MARTINI

LA FORZA DELLA DEBOLEZZA
La risposta della fede nel tempo della prova
PIEMME