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sabato 29 settembre 2012

Incorrisposto amore


Viaggiando sarà capitato anche a voi d'imbattervi in qualche esternazione amorosa scritta a caratteri cubitali sopra il pilone di un viadotto ferroviario, sul muretto che costeggia la strada che state percorrendo, dipinta su un telo e appesa al cavalcavia sotto cui state transitando. "Patatina perdonami", "Musino ritorniamo insieme", "Senza di te non so stare". Ecco alcuni dei tanti slogan che innamorati disperati, e probabilmente insonni, vanno apponendo nel vano tentativo di recuperare un rapporto che risulta ormai compromesso in maniera definitiva e sortirà solamente l'effetto d'imbrattare ed imbruttire ulteriormente edifici o costruzioni spesso già fatiscenti.

E pensarci prima? A mio modo di vedere il cammino a due è un percorso di scoperta continua e di reciproco dono di sé. Il "Ti amo" sbandierato con eccessiva disinvoltura può apparire falso se poi non porta chi lo pronuncia a compiere gesti quotidiani di affetto, tenerezza, condivisione, servizio, rinuncia, pazienza, perdono. E non ho la pretesa di aver elencato proprio tutte le azioni che possono contribuire ad arricchire un rapporto d'amore fra due persone.

Sto dicendo queste cose così come la mia sensibilità mi permette di esprimerle. Non ho la pretesa di dar lezioni a nessuno, sia perché in questo campo, ne sono convinto, nessuno mai può dire di aver imparato a sufficienza, sia perché con i miei studi non ho avuto modo di confrontarmi con chi ha steso su questo argomento ampie riflessioni che possano avere un carattere di validità più generale.

Sono convinto che il percorso di una vita insieme condotto da due persone possa inizialmente ricevere impulso da uno soltanto dei due. Non sempre ci si innamora contemporaneamente. Talvolta capita che sia uno solo ad essere interessato all'altro e da spingerlo a dichiararsi apertamente. Qualche volta succede che il germe di una vita nuova stava già nascendo in entrambi ed aveva bisogno del gesto coraggioso di uno dei due per manifestarsi e venire alla luce.

Ma come appena detto, altre volte capita che non ci sia una iniziale corrispondenza in chi è oggetto di una proposta d'amore, sconvolgente così come lo è la vita in tanti suoi momenti. In quest'altro caso ci si può approcciare in maniera possibilistica oppure rifiutando con decisione. Per parte mia, se vi è un minimo di presupposto, bisognerebbe sempre dischiudere il cuore a qualcosa di buono per noi, anche se in quel momento ci parrebbe piuttosto di dover rifiutare con risolutezza perché ciò è troppo lontano dai nostri pensieri oppure perché semplicemente non sta avvenendo secondo le nostre aspettative o consuetudini.

Quello che non dovrebbe succedere però è che al rifiuto segua uno stare insieme ad ogni costo, per il solo desiderio morboso di chi lo vuole. Quando si ama veramente si è disposti ad accettare di buon grado il ritiro dell'altro, se preferisce smettere di camminare con noi oppure non ha nemmeno voglia di cominciare a farlo. Ovviamente non così al primo colpo perché, se c'è del sentimento, il primo no potrebbe non bastare. Figuriamoci poi dopo molti anni di vita condotta insieme. In quel caso è doveroso lottare e qualche volta è giusto che l'amore di uno soltanto riesca dapprima a salvare e poi a recuperare un rapporto così importante come quello che ha portato alla nascita di nuove vite.

Quando invece le cose stanno ancora in embrione, l'azione di conservazione dev'essere più limitata ed in ogni caso sempre nel rispetto dell'altro. Certamente si dovrebbero contenere impulsi di spettacolarizzazione che difficilmente sortiscono l'esito sperato. Se apriamo veramente la porta del nostro cuore, un'altra persona è già lì ad attenderci e porgerci a piene mani quella felicità a cui noi aspiravamo. Il buon Dio non è stato così avaro: di persone adatte a noi, e noi per loro, ce ne sono un sacco, anche se poi, fra tutte quelle, ne sceglieremo una soltanto.


sabato 22 settembre 2012

Stereotipo

Lo spunto per questa breve riflessione è nato da un vivace scambio di battute avvenuto qualche giorno fa su Facebook con un'amica. Il tutto traeva origine dalla condivisione di un'immagine in cui vi era una scena domestica con madre sconsolata, con tanto di capelli in piedi, e figli seduti sul pavimento intenti a giocare, mentre la casa versava nel più completo disordine. Al ritorno del marito la risposta della moglie per giustificare tutto quel guazzabuglio era stata lapidaria. Non si era curata di fare le solite cose "irrilevanti" di tutti i giorni e quindi in cucina regnava il caos e la cena non era pronta.

Osservando con cura la scena, mi era parso di poter sottolineare che l'unica cosa fondamentale sarebbe stata soltanto quella di richiudere il frigorifero lasciato completamente spalancato. Per il resto, a mio giudizio, poteva anche essere "normale disordine" procurato dai figli in assetto da gioco e che poteva essere annullato in breve tempo.

L'intento dell'immagine doveva probabilmente essere quello di richiamare l'attenzione su tutto il lavoro sommerso che le casalinghe conducono e che non viene mai riconosciuto a sufficienza e quindi era stato mostrato esplicitamente cosa potrebbe trovare l'indolente maritino di ritorno dal lavoro, se la moglie avesse smesso per una volta di occuparsi delle solite cose.

Senza voler negare che possano ancora sussistere numerosi casi di schiavitù domestica, mi premerebbe ora evidenziare che oggi come oggi la situazione famigliare è profondamente cambiata e certi stereotipi non hanno più una gran ragion d'essere. Restando sul personale, durante il mio recente passato di vedovanza non ho disdegnato di rimboccarmi le maniche e fare in casa quanto farebbe una buona madre, sia pure con un provvidenziale aiuto da parte dei suoceri nel tenere i figli finché a tarda sera non ero rientrato dal lavoro. Quindi, senza richiedere un part-time, ho cercato di gestire al meglio l'economia domestica, occupandomi direttamente di tutte le faccende: cucinare, lavare, stirare e tenere pulita la casa. Ovviamente tutto questo senza il conforto di una persona affettuosa che poi la sera a letto desse ancora maggior senso a tutto il mio faticare.

E non è da meno neppure mio padre che dalla morte di mamma, ma in verità ancor prima, si occupa pure lui di badare in autonomia a se stesso e a tutto quello che ne consegue. Credo che avendo visto me stirare abbia pensato, se c'è riuscito mio figlio, posso tentare anch'io. In tutta onestà, non sono mai riuscito a stirarmi una camicia così bene come invece riesce a fare lui con le sue. Se penso che quando c'era mamma, impareggiabile donna tuttofare d'altri tempi, lui non era neppure capace di rifarsi il letto... Tra poco nonno Luigi compirà 85 anni ed ogni tanto si lamenta per un po' di mal di schiena. Ma se mettiamo in conto tutto il pesante lavoro fatto da giovane ed ora anche questo, come potrebbe essere diversamente?

Non credo però che possiamo essere bravi solo noi. Secondo me, se solo riuscissimo a varcare la soglia di casa di tante famiglie italiane, non ci stupiremmo di ritrovare l'identica scenetta ovvero marito con l'aspirapolvere in mano o quant'altro per condividere reciprocamente la fatica del vivere quotidiano.


domenica 9 settembre 2012

Primo lustro (ovvero la lunga camminata)

E così ci siamo arrivati. Cinque anni non devono essere un periodo del tutto irrilevante se anche in campo medico assumono questo intervallo di tempo come valore minimo per considerare raggiunto uno stato di guarigione dopo una grave malattia. Il paragone non mi pare del tutto fuori luogo visto che sovente si usa riferirsi all'amore come a un malanno, ma certamente non è questo il nostro caso perché altrimenti non starei qui a parlarne con quello spirito gioioso che vorrei trasparisse ben evidente.

Per oggi nessun ragionamento troppo cervellotico. Molto semplicemente mi piacerebbe stendere una breve relazione riguardo alla nostra giornata di ieri in cui, appunto, abbiamo festeggiato il nostro primo lustro di matrimonio. Mi sarebbe piaciuto dare l'avvio al post con una bella foto scattata ieri mentre eravamo in giro, ma questo non è stato possibile per il motivo che avrò modo di raccontarvi con ordine in seguito.

Ci sono tre bellissime città italiane che Maria Luisa ed io non abbiamo ancora avuto modo di visitare insieme. Oltre che nostro privato, sono certamente considerate patrimonio dell'umanità e, quindi, è da tempo che abbiamo messo in cantiere una visita a Firenze, Roma e Venezia. Per il nostro anniversario avevamo praticamente già deciso di recarci a Venezia e di non fare come tutte le altre volte, andando e tornando in giornata, ma soggiornare almeno una notte per rendere il piacere della visita ancora più prolungato ed intenso. Poi, pensando che quest'anno ci siamo concesse già molte vacanze ed avendo inoltre appreso dalla TV che nel periodo in cui avremmo voluto esserci, Venezia era già fin troppo frequentata a causa della 69^ mostra internazionale d'arte cinematografica, abbiamo deciso di differire la nostra visita ad un'altra data.

Alessandra, durante uno dei suoi ultimi acquisti in un centro commerciale, aveva ricevuto in omaggio due biglietti d'ingresso per Parco Sigurtà e ce ne aveva fatto gentile dono. Dato che mia moglie non aveva ancora avuto occasione di vedere questo vastissimo giardino ubicato a Valeggio sul Mincio, le ho proposto il seguente programma alternativo per commemorare la nostra ricorrenza. La mattina del sabato avremmo effettuato una breve visita a Sirmione con sosta pranzo e poi nel primo pomeriggio ci saremmo spostati nel basso Garda per un po' di relax nel verde. Maria Luisa non è di gusti difficili e mi ha assecondato subito con grande entusiasmo.

Nessuna partenza di buon'ora, com'è nelle nostre solite abitudini. Quando abbiamo salutato i ragazzi uscendo di casa, eran già passate le ore dieci da un pezzo. Abbiamo percorso per un buon tratto la stessa strada che faccio abitualmente assieme ad Andrea per andare al lavoro, ma poi, passata la galleria di Lonato, abbiam proseguito diritto fino allo svincolo per Sirmione, uscendo dalla tangenziale proprio là dove c'è l'imboccatura sterrata che porta alla cascina della mia infanzia, esattamente dirimpetto alla fattoria America. Chi vive da quelle parti sicuramente ritrova nelle mie parole dei riferimenti precisi.

Mentre stiamo attraversando Colombare e mi appresto a svoltare per addentrarci nella penisola gardesana, vengo raggiunto telefonicamente dal collega Loris che abita da quelle parti e con cui non ero riuscito a mettermi in contatto telefonico la sera precedente per ottenere da lui un consiglio riguardo ad un buon locale in cui pranzare. Con mia sorpresa l'amico non sembra così pronto a suggerirmi nessuna indicazione particolare, pur essendo familiare con quei luoghi e notoriamente un buongustaio. Riesce però a dirmi che ha sentito parlare molto bene da altri di un ristorante vicino alle vecchie terme. Non lo voglio tenere troppo al telefono e lo ringrazio velocemente per la dritta che mi ha fornito e che può consentirci una buona sistemazione.

Mentre riprendo la strada dopo la breve sosta a bordo carreggiata, per poter telefonare in tutta sicurezza, mi rendo conto che un sacco di automobili mi sono sfilate a fianco. La giornata è bella e, come prevedibile, un gran numero di turisti è venuto a fare un giro sulle terre di Catullo. Non che pensassi qualcosa di diverso. Soltanto credevo che il movimento maggiore l'avrei potuto incontrare nel pomeriggio, confidando che tanta gente a quell'ora dovrebbe essere ancora impegnata con le spese del sabato mattina oppure alle prese con le proprie faccende domestiche. Però non tenevo conto dei vacanzieri settembrini provenienti da altre regioni d'Italia o, a giudicare dalle targhe prima e dalla parlata poi, da altri stati dell'Europa.

Dopo aver raggiunto l'ampio parcheggio a pagamento, con rammarico ho dovuto constatare che un addetto stava tirando una catena di sbarramento ed apponeva il cartello che annuncia il tutto esaurito per le autovetture. Beh, se fossimo venuti in pullman, poteva andarci meglio. Non ci resta allora che invertire il senso di marcia e provare più indietro in altri parcheggi più piccoli incontrati lungo il percorso. Dopo due tentativi andati a vuoto, in uno dei quali abbiamo anche faticato a riguadagnare l'uscita per lo stretto spazio di manovra e la continua affluenza anche se ormai tutte le piazzole erano occupate, riusciamo finalmente a trovare posto in una zona di parcheggio libero. Ma siamo ben lontani dal centro di Sirmione e ci attende una lunga camminata per raggiungerlo.

Non siamo proprio dei polentoni e, visto che manca ancora un bel po' di tempo all'ora di pranzo, ci avviamo senza indugio ripercorrendo a piedi lo stesso tratto di strada che poco prima avevamo fatto comodamente seduti in auto. L'occasione mi sembra buona per sfoderare la mia compatta e scattarci le prime foto commemorative. Pigio il pulsante d'accensione e mi predispongo ad effettuare la prima inquadratura. L'obiettivo non si apre. Cosa succede, s'è guastata proprio oggi? La apro per controllare meglio e mi rendo subito conto che nella concitazione della partenza non avevo inserito la batteria e neppure la schedina flash. Pazienza! Dico a Maria Luisa che le belle immagini di quel giorno resteranno solo nella nostra memoria.

In una mezz'oretta o poco più arriviamo al ponte levatoio del castello. Mentre ci apprestiamo ad attraversarlo racconto a mia moglie che in quel luogo ebbi modo di sfogliare il mio primo giornalino di Topolino. Alcune signore amiche erano venute a trovare i miei genitori alla cascina Rocchetta e papà le aveva condotte in visita a Sirmione. In regalo avevo ricevuto quel mio primo giornalino di fumetti e così, mentre le signore facevano una visita all'interno delle mura, io e mio padre sostavamo proprio sotto l'arco d'ingresso, lì dove a lato ci sono quelle due panchine in pietra e da una fessura nel muro c'è pure modo di sbirciare l'acqua del fossato che cinge il castello.

Districandoci fra la folla e le poche automobili che hanno l'autorizzazione di accedere alla parte più interna della penisola, arriviamo al punto in cui la strada si biforca. Decido di prendere quella a sinistra ed evidentemente oggi è il mio giorno fortunato, perché dopo un po', in fondo alla via, riusciamo a leggere con chiarezza l'insegna del ristorante suggerito dal collega. L'aspetto è buono e con circospezione accediamo al locale. Il personale di servizio ci propone un tavolo fra quelli lì in sala oppure, se lo desideriamo, possiamo uscire all'esterno più avanti verso la riva del lago dove c'è un loro collega pronto ad accoglierci e sistemarci. Senza troppa esitazione, decidiamo di pranzare all'aperto. Anche il tavolo scelto risulta uno dei migliori, sia per l'ottima vista e sia per l'ombra che promette di durare a lungo nel pomeriggio.

Mando subito un sms di ringraziamento al collega per avermi permesso di non sfigurare con Maria Luisa e cominciamo a degustare le portate da noi ordinate e che indubbiamente confermano di essere state preparate con cura. L'extra che pagheremo per esserci seduti a pochi metri dall'acqua vale pienamente lo spettacolo esteriore ed interiore che stiamo godendo. Mia moglie ed io ci sorridiamo compiaciuti e ci stringiamo la mano in segno d'affetto e d'intesa.

Riusciamo ad alzarci da tavola che ormai son passate le due da un bel pezzo. Propongo una passeggiata fin verso le cosiddette grotte di Catullo per poi discendere verso la spiaggia e rientrare percorrendo l'ampio marciapiede a ridosso del lago e che guarda verso la sponda veronese. Non possiamo fare a meno di sentire qualche folata sulfurea che proprio in quel luogo fuoriesce dalle viscere della terra e viene incanalata e condotta altrove per cure termali che arrecano beneficio all'apparato respiratorio. Non ci sfugge neppure che questo lungo periodo di caldo e siccità ha fatto calare il livello del lago di circa un metro. Mentre passeggiamo all'ombra procedendo verso il castello, non posso fare a meno di raccontare a Maria Luisa di tutte le altre volte in cui ci sono venuto. La prima volta con Santina, ma poi con altre donne e non mi pare ancora vero che oggi Maria Luisa sia qui al mio fianco a riempire quel vuoto che quelle persone non han voluto colmare.

Nell'ultimo tratto c'imbattiamo in una serie di quadrettini in vetro malamente appesi al muricciolo di cinta che costeggia la nostra camminata. Uno è pure caduto e s'è rotto. Su ognuno di essi è riportato un sms e noi stiamo ripercorrendo all'indietro la storia che quei brevi scritti narrano e che, divenuti una forma d'arte, sono stati appesi per la visione del pubblico con tanto di locandina di presentazione. Mano nella mano continuiamo a procedere spediti, ma non troppo, in direzione della nostra auto. La visita al parco ci attende e dentro di me comincio a coltivare qualche timore di arrivare troppo tardi visto che ora, a stomaco pieno, mi sembra di metterci più tempo di quanto impiegato il mattino. Noto con piacere che le calzature da me indossate sono comode e non mi stanno per niente affaticando il piede pur con l'elevato numero di chilometri macinati. Solo un po' di preoccupazione per il ginocchio di Maria Luisa. Non vorrei che tornasse a farle male come lo scorso anno quando fummo costretti ad una corsa in ospedale.

L'ultimo tratto, prima di arrivare definitivamente all'auto, è molto assolato. Il caldo però non è così terribile e trovo che questo ritocco quasi fuori stagione alla nostra abbronzatura possa giovare al nostro aspetto che comunque diventerà più scialbo durante i lunghi mesi invernali. In auto c'è una bottiglietta d'acqua non del tutto vuota. Poi ci fermeremo a comperarne altra, ma adesso è questa che tampona momentaneamente la nostra sete.

Mi sto rendendo conto che questa volta mi sono lasciato prendere la mano e sto fissando nero su bianco fin troppi particolari. Ecco cosa vuol dire non aver portato al seguito la macchina fotografica funzionante. In verità Maria Luisa mi aveva proposto di comperarne una usa-e-getta, ma a me non andava di tornare a fare scatti con la tradizionale pellicola. Per frenare la sua insistenza e convincerla, arrivo addirittura a dirle che così almeno non dovrà continuamente pazientare in attesa che io abbia terminato questo o quello scatto. Ovviamente lei mi risponde che non è mai stato un peso. Questa santa donna, se non l'avessi sposata cinque anni fa, dovrei sicuramente farlo ora.

E così, tra una chiacchiera e l'altra, non senza qualche correzione di rotta per indicazioni viarie non troppo precise e puntuali, arriviamo in quel di Valeggio. I posti vicini per parcheggiare sono anche qui tutti occupati. Poco importa: oggi siamo allenati a camminare e vorrà dire che lasceremo l'auto più in là come ormai è abitudine fare. Il bello è che viene pure consigliato dai salutisti. Trovo una piazzola libera nella via a senso unico che porta verso la Rocca. Ricordo con piacere che avevo lasciato l'auto lì anche una precedente volta. Allora però ero riuscito a parcheggiarla meglio. Non riesco proprio a prendere bene le misure con quest'altra auto. Credevo di essere a ridosso del muretto ed invece, una volta sceso, constato che son fin troppo in fuori. Non ho voglia di rimediare e, confidando nella clemenza dei vigili urbani, ci dirigiamo verso l'ingresso di parco Sigurtà.

Dopo una piccola deviazione all'annesso bar per acquistare un paio di bottigliette di acqua minerale, di cui una è stata completamente prosciugata da me in pochi istanti, procediamo con lento incedere nel verde di quei prati. Maria Luisa esterna le sue sensazioni positive e la meraviglia da lei provata non è pari alla mia per il solo fatto che quella gradevole visione non rappresenta più una novità. Il parco è praticamente identico a come lo avevo visto negli anni addietro e comunque sempre bello. La calura estiva che ha portato all'essicazione di tante piante, in questo luogo non ha fatto sentire i suoi effetti nefasti perché il personale si è occupato con cura dell'irrigazione.

Non c'è l'affollamento delle altre volte e così riusciamo a godercelo in tutta tranquillità. Dico a Maria Luisa di togliersi i sandali e lei senza indugio segue il mio consiglio, che comunque aveva già in animo di fare e che aspettava soltanto un piccolo input per essere messo in pratica. Vorrei fare come lei, ma poi per la pigrizia di dovermi rimettere i calzini, lascio perdere e mi sento pago del sollievo che prova mia moglie a camminare a piede libero su quel bel tappeto erboso. Non riusciamo a vedere proprio tutto perché ormai siamo quasi prossimi all'orario di chiusura fissato per le 19. Vorremmo ristorarci un poco al bar prima di lasciare il parco. In alternativa propongo di pazientare ancora un po' e di scendere a Borghetto che merita senz'altro una visita e che non dista molto da dove abbiamo lasciato l'auto.

Avremmo voluto scendere a piedi, ma dato che un cartello stradale indicava una distanza di circa un chilometro e mezzo, concordiamo che per oggi di strada a piedi ne abbiamo già fatta fin troppa e quindi lo raggiungeremo in macchina. Un paio di tornanti e siamo subito giù ad occupare un altro parcheggio, questa volta a pagamento. La nostra fermata sarà di breve durata. Giusto un'occhiata in giro ed un aperitivo e poi si torna a casa. Per non essere presi in contropiede, decidiamo però d'infilare nel parcometro una moneta da mezzo euro in più per prolungare di mezz'ora la sosta prevista.

Percorriamo mollemente il breve tratto di strada che ci porta nel cuore di questo piccolo borgo, per lo più costituito da vecchi mulini che sfruttano l'acqua del Mincio per far girare le ruote. Alcune ormai arrugginite giaccioni immobili, ma altre seguitano a roteare vorticosamente e mi domando cosa mai potranno muovere all'interno di quelle piccole casette che mi paiono tutte riammodernate in foggia di piccoli ristoranti o gelaterie. Il luogo è sicuramente caratteristico ed è molto suggestiva anche la vista del diroccato ponte che fa da sfondo al piccolo abitato. Mentre ci attardiamo a guardare i vari scorci, veniamo a più riprese raggiunti da coppie di neo sposi che son qui giunti per le immancabili foto ricordo. Alla fine della serata arriveremo a contare ben quattro coppie.

Vedendo gli altri sposini non possiamo fare a meno di pensare a come ci sentivamo noi cinque anni fa e, complice anche il luogo, di quanta acqua sia passata sotto ai ponti. Di farina ne abbiamo macinata tanta, ma non è nulla se pensiamo a quella che ancora ci attende. L'età per noi non è più così tenera, ma in amore quella anagrafica non conta. Ci muoviamo con slancio in avanti dove ci attende il prossimo lustro con ancora un po' di quel miele che all'inizio del cammino ci auguravamo di conservare come tesoro prezioso.

domenica 2 settembre 2012

Lettera aperta a M5S e PD

Cari M5S e PD,

mi pare che stiate entrambi cadendo vittime di un raffinato gioco condotto abilmente da chi ha intenzioni serie per screditare entrambi di fronte agli occhi dell'elettorato che presumibilmente voterebbe per uno di voi alle prossime elezioni. Non cadete nel tranello e trovate il modo di attirare l'attenzione su di voi con serie proposte per il dopo Monti senza demonizzare l'avversario. C'è del buono nel M5S di Beppe Grillo, ma anche in quello del PD di Renzi. Il "vecchio" che ha dominato la scena negli ultimi anni non lo vuole più nessuno, ma ci sono forti strumenti di condizionamento e la prossima legislatura potrebbe non essere la boccata d'aria nuova e fresca che tanti italiani di buona volontà auspicherebbero.