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sabato 13 marzo 2010

Le scarpe


Oh, che bello potersi ritagliare un momento di relax davanti al PC e picchiettare le dita sulla tastiera nel tentativo di fissare su carta virtuale il proprio pensiero...

Questa settimana Alessandra è andata in gita scolastica a Firenze. Indi per cui mi sono lasciato convincere da mia moglie Maria Luisa a puntare la sveglia un'ora più avanti, anche se, come ogni sabato, ci dovevamo recare di buon mattino in piscina. Quando non si devono spingere i figli giù dal letto per avviarci faticosamente ai doveri della giornata, si riesce a fare tutto molto più in fretta, recuperando così qualche momento prezioso di sonno.

Senza il giro largo che dobbiamo fare le altre mattine per lasciare la figlia nei pressi della scuola, ci abbiamo messo veramente un attimo per raggiungere l'impianto sportivo che siamo soliti frequentare. Chi ha imparato a conoscermi può facilmente immaginare che la mia predilezione vada ad un centro non proprio alla moda, lontano dal clamore di altri ben più blasonati e frequentati nella nostra città. Si capisce anche da questo che mi sto inesorabilmente addentrando nell'età avanzata, per non usare termini ancor più espliciti nel tentativo di non suscitare la disapprovazione della consorte che al mio fianco dice di sentirsi ringiovanire ogni giorno sempre di più. Ma non m'illudo; sfioro ormai i cinquanta e gli anni verdi di sicuro non tornano più.

Mi resta talvolta il rimpianto di non aver osato maggiormente per non sentirmi ora addosso un mal celato senso d'insoddisfazione per una vita che sfugge via rapida con la certezza di non aver contribuito granché a lasciare questo mondo migliore di come l'ho trovato.

Poi nel fare le polveri di casa mi soffermo con lo sguardo sul calendario che Maria Luisa ha regalato ad Alessandra e vi leggo: "Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un'idea troppo alta di voi stessi". Ed allora le parole di San Paolo ai Romani (certamente, almeno per il nome, anch'io ne sono destinatario) mi ammoniscono ed al contempo m'acquietano l'animo.

Scendiamo le scale della piscina e prima di accedere agli spogliatoi ci dobbiamo levare le scarpe. Le disponiamo distrattamente su uno dei ripiani dell'armadietto di metallo posto nell'atrio di accesso. Torneremo a riprenderle più tardi. Non ce ne sono molte altre paia in loro compagnia. A quest'ora evidentemente sono pochi quelli che hanno avuto voglia di venire a tuffarsi in acqua. M'immergo con entusiasmo anche se talvolta mi coglie un brivido di freddo, soprattutto se non ho evitato di fare una doccia preliminare troppo calda per abituare meglio la pelle ed il corpo ad una temperatura più bassa.

Entro lentamente, senza prodigarmi subito in vigorose bracciate. Le prime vasche le completo a rana, con uno stile tutto mio, molto lontano dall'ortodossia sportiva, ma molto adatto a me perché mi consente di mantenere costantemente la testa fuori dal pelo dell'acqua. Poi da un po' di volte in qua, forse anche per rilassare maggiormente la schiena, ho provato a girarmi su me stesso nel tentativo di nuotare sul dorso. Ormai so stare a galla da parecchi anni senza problemi, ma non mi ero mai avventurato in uno stile diverso dal mio solito. Per un'ora intera non smetto di sguazzare, senza fermarmi mai, ma soprattutto senza mai poggiar i piedi sul fondo della vasca.

Adesso che ho imparato a muovermi ben disteso di schiena, trovo che il godimento sia massimo. Non uscirei più dall'acqua. Vado avanti ed indietro fissando il soffitto della piscina che scorre velocemente davanti a me (almeno così mi piace immaginare). Non si va a fondo neanche a volerlo. Se l'entusiasmo e la foga per bracciate più energiche ci arrecano un po' d'affanno, in questa posizione è molto facile recuperare fiato. Ho provato a muovermi anche a stile libero. Riesco soltanto a fare qualche metro in totale apnea. Magari più avanti sarò capace di trovare ritmo e coordinazione e, in tal caso, non mancherò di ragguagliarvi.

L'ora a disposizione vola via fin troppo velocemente. Non mi sento ancora stanco. A bordo vasca si muove circospetta l'istruttrice che tiene il corso di nuoto ai ragazzini che entrano subito dopo di noi. Forse un modo delicato per farmi capire che è purtroppo ora di uscire. Maria Luisa è già salita da qualche minuto perché dice di essere lenta e non vuole farmi attendere troppo. Lascio svogliatamente l'acqua. Mi chiedo se nel liquido amniotico materno si prova la stessa sensazione di benessere. Probabilmente è anche meglio. La temperatura è ancora più alta: chissà quante rughette sui polpastrelli delle dita!

Nonostante me la sia presa con calma nel farmi la doccia e rivestirmi, esco dagli spogliatoi prima di mia moglie. Un sabato precedente, seduto sulla panchina antistante, mi sono soffermato un attimo ad osservare le calzature disposte sugli scaffali. Uno psicologo attento potrebbe dire molte cose di noi guardando le nostre scarpe e come le disponiamo. Mi pareva di fare una cosa indiscreta, quasi di rubare un momento d'intimità, restandomene lì a fissarle. C'è chi le dispone con cura, con le calze ben ripiegate dentro ad ognuna; chi vi lascia pure la borsina di plastica in cui erano avvolte per portarsele appresso. Ce ne sono di modeste ed un tantino rovinate, come le mie, o di eleganti ed alla moda, come quelle della signora di cui ho incrociato fugacemente lo sguardo qualche settimana fa. Era esattamente come me la immaginavo. Non più tanto giovane, ma con una certa cura ed attenzione di sé. Le scarpe me l'avevano già presentata. Quanta umanità riesce a trasparire dalle nostre calzature. Quelle ormai sformate e consumate sul tacco, ci dicono che ci stiamo trascinando a fatica sotto il peso dei nostri anni. Quelle lucide e ben tenute dicono che vogliamo farci valere e contare qualcosa di più nella società: insomma, che non possiamo passare inosservati.

Quante scarpe abbiamo messo ai piedi, ora che il progresso ed il benessere ce lo consentono! Talvolta le compriamo più per sfizio che per bisogno e non riusciamo neanche a consumarle tutte fino al punto da non avere rimorsi nel buttarle. Non così i nostri padri che hanno camminato su strade sconnesse con ai piedi soltanto zoccoli, scarpe di pezza o talvolta niente affatto. Tutto quello che abbiamo oggi lo dobbiamo ad essi ed ai loro sogni ormai realizzati per un domani migliore, meno ricco di asprezze e di sacrifici.

Forse l'affanno per le cose che mancavano è stato eccessivo così che ora siamo sommersi dall'inutile e dal sovrappiù. Ci stiamo dimenticando di ciò che è veramente importante e per cui vale la pena di mettersi in viaggio sulla strada che ci può portare alla felicità duratura. Ma non la si trova se non si cerca la Verità, che ci spinge ad amare ogni uomo come nostro fratello, anche colui che si toglie le scarpe per entrare in una moschea a pregare.