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domenica 29 marzo 2009

Brasato con polenta


Sono ancora un po' assonnato in questa domenica pomeriggio di fine marzo. Non ho voglia di grandi discorsi impegnativi, che magari verranno ugualmente da sé. Lascio quindi scorrere liberamente le dita sulla tastiera del PC, mentre qualche pensiero prende lentamente forma nella mia mente.

Quelli delle previsioni meteo ci avevano preannunciato un fine settimana piovoso, come poi è stato. Per il pranzo domenicale avevo deciso di preparare un brasato con polenta. Lo faccio secondo una ricetta tutta mia in deroga all'ortodossia culinaria. Si dovrebbe lasciare la carne in infusione per parecchie ore. Non l'ho mai fatto. Al massimo, per accorciare i tempi, sono arrivato a fare iniezioni di vino con una siringa, dopo averlo letto su una rivista che riportava l'intervista di un cuoco milanese d'avanguardia.

La cucina è creatività e, quando si ha confidenza, si finisce per trasgredire fin troppo facilmente quelle che sono le regole consolidate sperando comunque che il risultato sia altrettanto buono.

Dopo aver fatto soffriggere in un po' di olio e burro abbondante cipolla, aglio, prezzemolo, sedano bianco e carote finemente tritati, ho messo nella capiente pentola due pezzi di carne a rosolare. Un pezzo più grande di cappello di prete ed una parte più piccola di manzo meno pregiato. Quando cominciava a prendere colore ho aggiunto un bicchiere e mezzo di buon barbera ed una piccola scatola di polpa di pomodoro. Ho regolato il tutto, come si usa dire sui ricettari, con un po' di dado granulare, un pizzico di cannella, noce moscata sale pepe e peperoncino ed abbondante acqua fino a sommergere completamente la carne. Così a naso, "senza guardare", come faceva la mamma di Daria Bignardi di cui abbiamo letto nel suo recente libro.

Per aumentare un poco la consistenza ho aggiunto tre piccole patate. Rimestavo di tanto in tanto con un cucchiaio di legno in modo che la carne prendesse bene la cottura da ogni lato. L'ho lasciata cuocere così a fuoco lento per oltre due ore e mezza nella serata di sabato, che solitamente passo guardando in tv la trasmissione "Che tempo che fa".

Questa mattina ho tolto la carne e con il frullatore ad immersione ho tritato le verdure in modo da rendere il tutto omogeneo, senza troppo zelo perché qualche pezzettino allo stato naturale a me non dispiace. Dopo averla affettata per il verso giusto, ho immerso nuovamente la carne in pentola affondandola accuratamente nel suo denso brodo di cottura.

Al termine della messa son tornato lesto verso casa ed ho preparato l'immancabile polenta d'accompagnamento. Mancava Andrea che era impegnato in ritiro con gli adolescenti della parrocchia. Nonno Luigi ha preso il suo posto a tavola e ci ha intrattenuto allegramente con i suoi discorsi. Non sono mancati i complimenti di rito che riporto soltanto per dovere di cronaca, casomai qualcuno avesse nutrito qualche dubbio circa il buon esito del mio impegno in cucina.

Il barbera stappato la sera prima ha allietato il nostro pasto. Ne ho versato un goccio anche ad Alessandra e le ho racconto di quando, poco più che diciottenne, mi trovavo al Gottolengo di Torino per un'esperienza di servizio ai malati. Al reparto San Vincenzo avevo conosciuto l'affabile Gaetano che, nonostante la sua diversa abilità, si dimostrava uomo di mondo. Il giorno che me ne andai tolse dal suo armadietto una bottiglia di barbera e la stappò in mio onore come segno di gratitudine e di amicizia.

Ho bevuto altri barbera nella mia vita, ma quel gusto un po' frizzantino non lo avevo mai più riassaporato finché ieri sera non ho stappato quella bottiglia prelevata poche ore prima dallo scaffale del nostro supermercato.

sabato 7 marzo 2009

Otto marzo


Oggi è stata una gradevole giornata pre-primaverile. Ho vinto la pigrizia che di solito mi prende nel fine settimana ed ho proposto a Maria Luisa di uscircene per una passeggiata nel tiepido sole del primo pomeriggio.

Ci siamo incamminati verso la zona collinare denominata Campiani. Mano nella mano abbiamo attraversato il quartiere e siamo passati davanti alla chiesa parrocchiale di Urago Mella. Le campane a morto ci preannunciavano un funerale. Ci siamo dati braccetto per un maggior contegno esteriore mentre camminavamo sul sagrato della chiesa. La cerimonia era ormai conclusa ed il breve corteo stava già muovendosi in direzione del cimitero, mentre poche persone anziane si attardavano ancora sul piazzale.

Indico alla moglie l'edificio più piccolo della pieve antica che sorge proprio a fianco della nuova chiesa. Il suono delle campane proviene dal campanile del vecchio edificio e la cosa desta in me un certo stupore perché pensavo fossero ormai in disuso.

Il nostro cammino prosegue, in verità non troppo spedito. Attraversiamo le vie del vecchio borgo su cui si affacciano tanti cascinali ristrutturati, presumibile dimora di benestanti, a giudicare dalle autovetture parcheggiate nei silenziosi cortili.

Lasciato l'asfalto, ascendiamo ora lungo una ciottolosa strada. Vien voglia di togliersi il maglione ed arrotolare le maniche della camicia. Maria Luisa sfoggia una candida maglietta con lo stemma del collegio Ghislieri di Pavia dove ha studiato. Mi viene in mente che, durante il cenone di fine anno, dall'amica Flavia avevamo fatto il proponimento di fare un salto a Pavia durante la prossima festa del primo maggio. Mando un SMS a Flavia per rammentarle la proposta.

Volgendoci indietro, attraverso i rami ancora spogli, riusciamo ormai a scorgere in distanza quasi tutta la città. Nel clima gradevole di questo pomeriggio ogni tanto ci facciamo raggiungere da qualche camminatore più lesto di noi, nonostante l'aspetto tradisca un'età più avanzata. Non abbiamo fretta. Ci lasciamo piacevolmente sorprendere da qualche farfallina che svolazza qua e là e dal frusciare delle lucertole lungo il sentiero. E' lo stesso che in gioventù avevo percorso con Santina ed altri pochi amici fino a Santa Maria del Giogo, sopra il lago d'Iseo. Il sentiero delle tre valli bresciane facilmente riconoscibile per le due strisce di colori sovrapposti: il bianco e l'azzurro, come quelli della squadra di calcio della nostra città.

Chiacchierando amabilmente, con qualche tenera effusione quando non incrociamo altri passeggiatori, arriviamo in cima e la vista dall'alto apre il nostro cuore alla gioia. Giunti nel punto in cui i vari sentieri s'incrociano decidiamo di fermarci. Lì nei pressi c'è uno spiazzo con un roccolo per cacciatori. Le gabbie son tutte vuote. Maria Luisa getta il maglione per terra e si stende al sole, con il viso protetto dall'ombra di un piccolo cespuglio.

Non sono vestito così sportivamente da potermi permettere la stessa mossa. Recupero un masso, non troppo grande da poter essere spostato con una sola mano. Nell'altra tengo il maglione che non ho voluto allacciare in vita per non stiracchiare le maniche. Mi accorgo che quella candida pietra di origine calcarea mi lascia i polpastrelli imbiancati ed allora vi poso sopra un fazzoletto. Poi mi siedo dando sollievo alle gambe e mi godo la vista in lontananza del monte Guglielmo scintillante per le recenti nevicate.

Ci vien voglia di condividere la gioia di quel momento con qualche amico ed allora apriamo il cellulare e chiamiamo Emanuela e Gianni. Anche loro stanno passeggiando nel parco vicino a casa, spinti fuori da questo bel sole di marzo.

Qualche attimo ancora ed è già ora di scendere. Il ciottolato rende la discesa un tantino scomoda. La suola non troppo spessa delle mie scarpe non ammortizza bene le asperità del percorso. Ma la piccola pena non dura a lungo ed in breve ritorniamo a pestare l'asfalto.

Facciamo una piccola sosta in un bar del quartiere, dove ci ristoriamo con un buon thé caldo.

Domani sarà l'8 marzo. Festa delle donne e di tutti gli uomini che le amano.