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venerdì 30 giugno 2006

Il profeta

E una donna domandò: Parlaci del Dolore.
Ed egli disse:
Il dolore è la rottura dell'involucro che racchiude la vostra comprensione.
Come il nocciolo del frutto deve rompersi, affinché il suo cuore possa stare al sole, così voi dovete conoscere il dolore.
Se voi in cuore sapeste continuamente meravigliarvi dei miracoli quotidiani della vostra vita, il dolore non vi sembrerebbe meno ammirevole della gioia;
E accettereste le stagioni del cuore, come avete sempre accettato il passar delle stagioni sui campi;
E vegliereste con serenità negli inverni del vostro dolore.

Gran parte del vostro dolore viene scelto da voi stessi.
E' l'amara pozione con la quale il medico dentro di voi guarisce il vostro io malato.
Perciò abbiate fede in lui e bevete il suo rimedio in silenzio e tranquillità:
Poiché la sua mano, sebbene dura e pesante, è guidata dalla tenera mano dell'Invisibile,
E la coppa che porge, malgrado scotti le labbra, è stata modellata con la creta che il Vasaio ha inumidito con le Sue sante lacrime.

KAHLIL GIBRAN - IL PROFETA - Feltrinelli

venerdì 2 giugno 2006

Ciò che non muore

Riporto un altro brano di Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra - Longanesi.

Poi, con la stessa intonazione, la stessa pronuncia, lo stesso ritmo usato da millenni, recitavamo alcuni dei mantra più belli e più famosi delle Upanishad. Uno che mi piaceva tanto cantare a squarciagola, attirandomi con le mie stecche gli sguardi severi delle <<sagrestane>> e i sorrisi divertiti del mio compagno di banco, Sundarajan, era il mantra della Brihadaranyaka Upanishad:

Asato ma sadgamaya, dall'irreale conducimi al Reale
Tamaso ma jyotirgamaya, dall'oscurità conducimi alla Luce
Mrityorma amritam gamaya, dalla morte conducimi all'Immortalità.

E pronunciando quella parola <<immortalità>>, fatta di una a privativa e di mrityo, la morte, sentivo la bellezza del sanscrito, che - mi rendevo conto - ci ha dato così la parola <<a-more>>: ciò che non muore.

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<<DIO E' AMORE; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui>> (1 Gv 4, 16).
Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l'immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell'uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell'esistenza cristiana: <<Noi abbiamo riconosciuto l'amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto>>.

Dall'introduzione all'enciclica DEUS CARITAS EST di Benedetto XVI.

L'amore umano che non muore è figura dell'amore di Dio. Impariamo dall'amore umano che vediamo a scorgere Dio che non vediamo.

Colui che scaccia la tenebra

Guru è una bella parola, purtroppo avvilita dall'uso che se ne è fatto a sproposito in Occidente, dove ormai si parla dei guru della moda, della salute o del sesso. Gu in sanscrito significa <<tenebra>>, ru vuol dire <<cacciare, disperdere>>. Per cui il guru è colui che scaccia la tenebra, colui che porta la luce nel buio dell'ignoranza. L'arancione del suo vestito ricorda appunto il colore della fiamma che risplende nell'oscurità, la forza del fuoco che consuma la materia.

Tiziano Terzani - Un altro giro di giostra - Longanesi.