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sabato 25 febbraio 2006

Utopie

Poco più di un anno fa il sud-est asiatico fu travolto dallo tsunami. A quell'orrore per la catastrofe naturale fece seguito una grande azione mondiale di solidarietà verso le popolazioni colpite. Quasi tutti, chi più chi meno, abbiamo contribuito economicamente aderendo alle numerose iniziative per la ricostruzione ed in sostegno delle persone sopravvissute.

Lo stimolo mediatico è stato rilevante. Certamente la rapidità con cui si diffondono le immagini e le notizie di queste calamità è uno degli aspetti positivi della globalizzazione. Questo potente strumento che è la comunicazione televisiva nel fare informazione si assume anche la responsabilità di veicolare le coscienze verso azioni concrete di assistenza e di aiuto.

Non capisco perché ultimamente sempre più spesso debba emergere il peggio del peggio. La polemica e la contrapposizione animano intancabilmente i nostri salotti televisivi.

Possibile che riusciamo a dare il meglio di noi stessi solo quando ci troviamo con le spalle al muro?

Se il clima del pianeta, a seguito di continue devastazioni da parte dell'uomo, dovesse improvvisamente mutare verso qualcosa d'immensamente catastrofico, come abbiamo potuto vedere grazie alla fervida immaginazione di qualche registra cinematografico, sono sicuro che smetteremmo di agitarci per le solite questioni. Lasceremmo da parte le banalità e le stupidaggini e cercheremmo di dare il meglio per fronteggiare la situazione.

Come un ammalato grave che sa di vedere presto la fine dei suoi giorni, tutti quanti sovvertiremmo l'ordine delle nostre prirità. Lasceremmo emergere le cose che veramente contano e nel contempo tralasceremmo quelle che non hanno più futuro.

Perché ci dibattiamo inutilmente per l'effimero? Forse che una cosa ha valore solo nel contesto in cui ci troviamo a viverla? In regime di emergenza contano le piccole cose, quelle a cui normalmente non diamo valore quando tutto va bene.

Se stiamo per morire di malattia, diciamo che la salute è la cosa più importante.
Se stiamo per annegare, diciamo che l'aria è la cosa più importante.
Se stiamo per morire di sete, diciamo che l'acqua è la cosa più importante.
Se stiamo per morire di fame, diciamo che è il cibo la cosa più importante.
Se stiamo per morire di solitudine, diciamo che è l'amicizia la cosa più importante.

Preveniamo le catastrofi. Facciamo progetti per prepararci ad affrontarle. Meglio ancora assumiamo uno stile di vita che prevenga la rovina. Evitiamo il degrado e la devastazione. Combattiamo le ingiustizie e le disparità sociali.

Poche persone ricche diventano sempre più ricche. Non contiamo su di loro. C'é una vasta moltitudine di persone comuni che non sta troppo male e che si può occupare del debole e del misero. Priviamoci tutti un poco del nostro benessere ogni giorno, con continuità ed elargiamolo in favore delle popolazioni meno abbienti. Una giustizia sociale che parte dal basso probabilmente ha maggiori possibilità di successo.

domenica 19 febbraio 2006

Giornalismo pettegolo

Le vicende di questi giorni suscitano in me un pensiero ricorrente. Il giornalismo, ma farei meglio a dire la mente di molti giornalisti, ha perso la bussola e vaga senza più rotta. In nome di una presunta libertà di stampa sta passando di tutto e di più e lo sta facendo in modo tale che dubito sia trama e disegno precostituito da parte di qualcuno che dall'alto manovra tutto quanto. Mi pare invece di assistere a delirante pettegolezzo alla ricerca del sensazionale ad ogni costo sviando completamente da quelli che sono realmente i mali ed i problemi del nostro tempo. I potenti stessi, quelli insomma che hanno l'ingrato compito di governare, sono constantemente in lotta per incanalare entro giusti argini i vari sconquassoni che poche menti armate di parola procurano ogni giorno insensatamente. Non serve dare eco alle azioni scellerate di pochi che pubblicano vignette o altri che le ristampano sulle proprie magliette. Tutto l'occidente sembra ormai pensarla come loro e forse vorrebbero farci credere che il male sta altrove trascinandoci nuovamente in devastanti guerre di religione. Sicuramente non è questo il loro scopo, ma cosa importa se questi sono gli effetti? Libertà di stampa e di parola esistono realmente se il coraggio della denuncia non è omertoso e deferente nei confronti di chi veramente sta saccheggiando il nostro pianeta e rendendo le masse sempre più esasperate a cui non resta altro da fare che aggrapparsi a quanto di più sacro ancora possiedono. Noi a pancia piena ormai non combattiamo più per nulla, ma se non ci destiamo da questo colpevole torpore, se non riaccendiamo il lume della ragione, se non cambiamo presto le nostre prospettive, ci ritroveremo a dover rimpiangere presto il lusso trafugato. Non sappiamo più combattere ed abbiamo perso la voglia di lottare per i valori ed ideali che ci hanno tramandato i nostri padri. Quello che possediamo ci verrà presto tolto con rapida aggressione dall'esterno e da dentro. Non illudiamoci. Chi è qui tra noi è sopito, ma in caso di generale rivolta sarà certamente pronto ad unirsi nella lotta. Vi scongiuro. Abbia termine questo giornalismo pettegolo, fazioso ed ipocrita perché altrimenti la povera gente, come un ladro, verrà presto a riprendersi le sue cose e quello che abbiamo accumulato avidamente in questi anni non servirà minimamente a lenire il dolore delle nostre ferite. Non abbiate la coda di paglia perché non parlo per i giusti, ma per tanti che non riconoscono l'errore e perseverano. Il mondo è come noi lo facciamo. Felice di sbagliarmi e di non essere l'ennesima Cassandra.

sabato 18 febbraio 2006

Sabato italiano

Ooooh no! La sveglia suona ed io non ho voglia di alzarmi. Ma oggi è sabato e posso disinserire l'allarme perché domenica non serve.

Mi lavo, preparo colazione per Alessandra, riassetto i letti. Poi usciamo e l'accompagno a scuola.
Da qualche settimana ho preso l'abitudine di recarmi al bar della pasticceria mentre attendo che si apra il centro commerciale a cui sono solito andare per la spesa settimanale.

Cappuccino decaffeinato e brioches alla marmellata. Questa mattina treccia con l'uvetta, tanto per non apparire ripetitivo ed abitudinario. In verità lo sono, poiché il barista già ricorda i miei gusti...

Mi concedo questo piccolo lusso di farmi preparare una colazione. Mi coccolo seduto in un angolo ed intanto osservo chi va e viene. Operai che comunque lavorano in giorno prefestivo, mamme che hanno accompagnato i figli a scuola, coppie che anche loro si concedono qualcosa di diverso dalle solite mattine.
Pochi minuti e sono di nuovo in macchina. Avrei voglia di dirne quattro a chi col pick-up mi ha strombazzato perché in auto mi muovo troppo pigramente. Forse ha fretta di aprire l'officina lì vicino. Perché così susciettibili di buon'ora? Mi verrebbe voglia di dirgli che non serve correre se tanto il lavoro non gira... Una cattiveria gratuita sicuramente peggiore del piccolo "sgarbo" ricevuto che m'impone di portare pazienza.
Un attimo e sono col carrello in mano all'ingresso del supermercato. Mancano pochi minuti all'apertura. Si accendono le luci dei tornelli ed un'anziano scatta prontamente, ma viene subito stoppato da una commessa. Non ha visto che la saracinesca non è stata alzata completamente?

Prima di dirigermi verso gli scaffali dei generi alimentari, do un'occhiata a quello dei libri. Mi capita tra le mani "Le parole che non ti ho detto" che ho avuto modo di apprezzare nella versione cinematografica. Sarei tentato di prenderlo per conoscere quello che nel film non è stato riportato. Poi desisto senza però essermi soffermato qualche minuto a leggere le ultime pagine, così tanto per vedere se termina allo stesso modo. Theresa scrive anche lei un messaggio in bottiglia e lo affida all'oceano. E' grata per aver avuto l'amore di Garret e da lui ha imparato che si può amare ancora profondamente. Sente il suo uomo ancora vicino, nel vento che la scompiglia e si consola pensando che anche lei un giorno potrà riuscire a dimenticarlo senza per questo che il suo amore abbia fine. Mi ci ritrovo in pieno. Amo le cose cosidette sdolcinate, ma questa volta non ho voglia d'indulgere alle lacrime e prima che il groppo che mi si sta formando in gola si consolidi, ripongo il libro e scappo via.

Oggi il carrello non è particolarmente pieno. Mi metto in coda ed attendo il mio turno. Le cassiere sono poche e la fila si sta allungando. Sento passare alcune commesse alle spalle che dicono: dovrebbero mettere l'altoparlante anche al bar. Infatti, dopo poco scorgo nel corridoio un trio di cassiere che se la prendono comoda. La mia cassiera invece è stata solerte. Eppoi la conosco. E' vicina di casa dei miei cognati e volentieri faccio la fila alla sua cassa.

E' una delle poche persone che mi abbia rivolto complimenti. Una mattina mi ha detto: Sei bravissimo. Altri nella tua situazione si sarebbero persi d'animo. Mi ha fatto piacere e forse un giorno glielo dirò. A volte ti aspetteresti apprezzamenti dai congiunti e non ti vengono. Poi inaspettatamente vieni gratificato da persone poco più che estranee.

Quando viene il mio turno ci salutiamo e subito mi dice: Allora hai saputo la notizia? Capisco che si riferisce alla gravidanza di mia cognata e faccio seguito affermando che avere figli è ancora la cosa migliore. Ma ci vuole coraggio dato il mondo in cui viviamo, obbietta lei. Sorridendo le dico: Facciamo figli migliori per un mondo migliore. Ride e con stupore mi ammira. Poi con un brivido penso a chi insensatamente ha pubblicato quelle vignette ed ancora più scelleratamente le ha ristampate sulla propria maglietta. Mentre ripongo le cose già battute le dico chiaramente che, potendo, di figli ne farei ancora. L'anziana signora in coda dopo di me sembra interessata alle mie affermazioni. Verso la fine della spesa la commessa nota la biancheria che ho acquistato per mia figlia come pure gli assorbenti. Mentre fa un positivo commento sulla prima sorvola discreta sui secondi. Gia una volta le ho confidato che questo è il genere di spesa che mi pesa di più. Non sono le bottiglie dell'acqua o del vino. Sono pochi capi d'intimo. Mi pesa perché mi ritrovo da solo a vivere queste tappe senza Santina qui con me a condividerle. Mentre mi presenta il conto dice che avrebbe avuto voglia di fare altro oggi. Cerco di consolarla dicendole che anch'io questa mattina non sarei uscito dal letto. Il sabato non posso, ma domani è domenica e allora mi concederò di starmene a letto di più. Non riesco a dirle che comunque assolvo i mie doveri di cristiano recandomi alla messa. Aggiungo: solo fino alle otto. Ci sarà tempo per dormire negli anni a venire e con un ciao mi congedo.

Sabato italiano ed intanto fuori piove...

sabato 11 febbraio 2006

Il colore dei tuoi occhi

Parafrasando Pavese verrà l'amore ed avrà il colore dei tuoi occhi. Avrà termine la stagione dell'arsura e del pianto. Le lacrime lasceranno il posto alla tenerezza ed al calore. Il gelo triste di tanti momenti fuggirà via e come ghiaccio al sole si scoglerà l'opprimente catena di questi giorni.

Siamo passati attraverso la grande tribolazione ed abbiamo reso le nostre vesti candide come la neve lavandole nel sangue dell'Agnello. Orsù dunque facciamo frutti degni di conversione poiché l'uomo è come la polvere e come cenere ritornerà. Memento es pulvis. Giovane, non sprecare il fiore dei tuoi anni. Tempus fugit. Chi non vive per servire non serve per vivere. C'é posto per tutti. Il Dio paziente ci aspetta. Dobbiamo sceglierlo e non ha senso farlo se non in modo libero ed incondizionato. A chi cerca la via Tu hai detto di essere Via, Verità e Vita. In questa valle di lacrime, com'é possibile avere Fede? Pensaci. Questo è l'unico modo possibile. Non pensare al dopo, al premio sempiterno. Questa non è una prova. Giocatela nel migliore dei modi. Vivi e non lasciarti vivere. Sii testimone dell'Amore. Non ribellarti a Lui. Fidati di Lui proprio perché hai la libertà di non farlo. Rifiutalo ed avrai fortuna ugualmente, successo, denaro, ma non avrai Lui.

Guardi avanti e tutto ti sembra confuso, annebbiato, buio. Volgi lo sguardo indietro e tante cose acquistano maggior senso, per altre un senso non sai ancora trovarlo.

E sia la luce. Tu non hai che le nostre mani. Fa che noi siamo le tue mani. Tu non hai che il nostro volto. Fai che noi siamo il tuo volto. Nel delirio d'onnipotenza non c'é salvezza. Per giungere a Te si deve passare per la porta stretta. I tuoi sovrastanti pensieri solo l'uomo umile li può intuire. Venga il tuo Regno ora e per sempre.

Verrà l'amore ed avrà il colore dei tuoi occhi ed io non avrò più paura perché Tu sei qui con me. Deus caritas est.

mercoledì 8 febbraio 2006

Il complemese

Il complemese - 17/11/2002

Il millenovecentottantuno fu un anno particolare. In quell’anno veniva ordinato sacerdote un nostro comparrocchiano. Partecipammo in gruppo alla celebrazione di consacrazione anche se per noi due fu più che altro occasione per stare insieme, sia pure in mezzo agli altri. La nostra testa era altrove e finimmo col chiacchierare un po’ più del dovuto. Ad un certo punto una suora, che evidentemente aveva sopportato fin troppo, non si trattenne dal farcelo notare e ci chiese maggior contegno.

Mentre tornavamo in auto, Santina disse che verso fine mese ci sarebbe stato un concerto di Ron proprio qui a Brescia. Se la cosa m’andava a genio potevamo andarci. Accolsi la proposta di buon grado. Non sono mai stato un patito per la musica né tanto meno per i concerti dal vivo, ma era un’ottima scusa per uscire insieme da soli. La nostra prima volta. Fino a quel momento c’eravamo sempre trovati in gruppo, con amici o coetanei. Era giunto il momento di ritagliarci uno spazio tutto per noi.

Quella mattina veniva a trovarci dalla California una zia di mio padre. Io e lui ci recammo di buon mattino all’aeroporto di Malpensa per accoglierla al suo arrivo. La zia si fermò poco da noi. Il pomeriggio stesso fu accompagnata dai miei su in montagna al paese d’origine. Io non volli andare. Preferii restarmene a casa a recuperare qualche ora di sonno.

E venne la sera. Avevo avuto da mio padre in prestito l’auto per uscire. Non era una bella giornata. Non lo era stata fin dal mattino, quando sotto la pioggia rientravamo da Milano. Mi fermai con la centoventisette davanti alla casa di Santina. Suonai il campanello. I suoi, visto il temporale in atto si dimostrarono un poco preoccupati, ma un concerto non si può far aspettare e saltammo in macchina di tutta fretta. Trovai posto nei pressi dello stadio. Parcheggiai e ci dirigemmo verso il teatro tenda allestito per l’evento musicale.

Senza nulla togliere al cantautore, certamente l’acquazzone di quel 28 giugno deve aver scoraggiato tutti i fan che non avevano già acquistato i biglietti in prevendita. Prendemmo posto su una panca laterale un poco a sinistra rispetto al palco. Credo di essere stato io per primo a chiederle se potevo tenerle la mano. Acconsentì. Ripeto che non ho mai avuto particolare inclinazione verso l’ascolto della musica e men che meno per quel genere. Comunque mi adattai. Era un po’ tutto una novità per me. Man mano che il tempo passava cominciai a provare dolore ai timpani per il fragore di quelle canzoni accompagnate a toni insostenibili per il mio udito. Continuarono a ronzarmi le orecchie per parecchie ore, come sarà capitato a tutti la prima volta in cui si è assistito ad un concerto ad alto volume.

Purtroppo, anche se a tratti mal sopportato, ad un certo punto il repertorio fini. Santina aveva gradito tantissimo ed aveva avuto modo di apprezzare il cantautore anche in precedenza, ma non dal vivo come in quella nostra prima serata insieme. Mentre spioveva ritornammo verso casa. Non ci eravamo detti granché. Avevo passato con lei i miei primi momenti di tenerezza, mano nella mano. Fermi in auto davanti a casa sua stavamo per salutarci ed io feci la fatidica domanda: "Posso darti un bacio?" Credo che se lo aspettasse. La sua risposta non fu per me scontata e quando acconsentì mi avvicinai a lei con trepidazione.

Non provai nessuna emozione particolare. Tutti si domandano com’è la prima volta. Fu quanto di più naturale mi potessi aspettare. Il giorno successivo volli sapere com’era andata. Noi uomini finiamo sempre col domandare com’è stato. Vogliamo sempre sapere se siamo stati all’altezza. Se abbiamo fatto faville. 

Quanto ero ingenuo. Sapete cosa mi rispose? Mi disse che quello era un bacio da fratelli. In tutto il mio ardore la sera prima le avevo scoccato un sonoro bacio sulla guancia. Per me era naturale esordire così. Lei si era preparata a qualcosa di più ardito, ma la mia inesperienza deve comunque averla confortata.

Ora non ricordo quando ci siamo baciati sulla bocca, anche se mi parve di lì a non molto. Quel che è certo è che da quel giorno cominciammo ufficialmente a contare i giorni del nostro stare insieme. Ogni ventotto del mese era il nostro complemese. Più le ricorrenze passavano e più sentivo il nostro rapporto consolidarsi. Ma non fu tutto idillio. Fin da subito ci furono scosse di assestamento che permisero però di poggiare bene le fondamenta del nostro rapporto. (...)

Nota del 04/02/2006 - Lo scritto originale prosegue con la narrazione di un altro fatto. Ho riflettuto sull'opportunità o meno di pubblicarlo e dato che non posso conoscere il desiderio di Santina in merito a questo, mi baserò su quanto espresso da mia figlia per una circostanza analoga ed in cui mi ha chiesto esplicitamente di mantenere la discrezione.

Quello che le donne non vogliono più

A chi non piacerebbe sapere quello che le donne vogliono? Ci sono fior d'interessi economici che ruotano intorno a questa domanda. I desideri delle donne mutano nel tempo ed è abbastanza banale affermare che le nostre figlie non desiderano più le stesse cose che hanno desiderato un tempo le nostre madri. Esistono comunque valori fondamentali ed irrinuciabili che il tempo non cambia, ma che le abitudini soffocano non poco. L'emancipazione femminile, se da una parte è stata una conquista più che necessaria, dall'altra è concausa di quello che definirei "squilibrio relazionale" fra uomini e donne.

E' luogo comune, e come tale con un certo fondamento di verità, che i maschi italiani siano un popolo di mammoni. Più di una volta ho sentito affermare che le donne si stufano di noi perché si scoprono a doverci fare da mamme. Divertente è contatare che chi dice questo finisce poi con lo sposare proprio quella categoria di uomini di cui dicono di averne le tasche piene. Anche noi abbiamo la nostra parte di colpa per questo stato delle cose. Ci siamo fatti da parte, abbiamo applaudito all'ingresso in società del gentil sesso, abbiamo dischiuso le porte del potere, abbiamo consentito l'accesso alle poltrone ed ai ruoli storicamente riservati a noi uomini. Chi dice che ancora troppi posti sono in mano agli uomini non tiene conto del fattore tempo. In certi settori ci sono poche donne, non perché gli uomini le respingano, ma perché le donne non si fanno avanti con maggiore energia e determinazione. A quei livelli, nessun uomo è disposto a farsi da parte solo per galanteria: chi muove le leve del comando se le tiene ben salde finché qualcun altro meglio dotato, uomo o donna che sia, non è in grado di prenderne il posto. Contemporaneamente noi uomini ci siamo dedicati maggiormente alle attività che in passato più frequentemente sbrigavano le nostre madri. In questa commistione di ruoli però si sono persi di vista alcuni punti fondamentali. La donna non sarà mai un uomo e viceversa un uomo non sarà mai una donna. E' ovvio! E quindi è sbagliato pensare che entrambi abbiano il medesimo approccio alle cose da fare. Entrambi possono giungere al successo anche se per strade diverse.

Quello che le donne non vogliono più è di lasciarsi guidare da noi, di essere da noi protette perché non ne hanno più bisogno. Tipico dell'uomo è badare all'apparenza, mentre la donna da sempre è stata abituata a far emergere la sostanza. L'idealità maschile è sempre stata ben bilanciata dal pragmatismo e dalla concretezza femminile. Purtroppo mi duole constatare che le donne stanno diventando sempre più superficiali e a caccia dell'effimero. Non sembrano più interessate alla sostanza ed all'essenza della vita. Questo lo si constata anche nel sempre minor desiderio delle donne di fare figli. Procreare non è più tra gli obiettivi primari anche se fare figli sarà la cosa migliore che ci resti da fare ancora per molto tempo. Generare una nuova vita richiede tutta la concretezza delle donne di un tempo, ma questo atteggiamento sta via via scomparendo in favore di cose meno meritevoli. Le donne non cercano più un uomo con cui fare un figlio e sempre più uomini rifuggono da relazioni sterili in tutti i sensi. Apparentemente il tenore di vita è alto, ma nella realtà dei fatti sono le cose vane che ci muovono ogni giorno.